Diego Bianchi su Propaganda Live parla del nostro libro “Mussolini in Giappone”, che aveva in mano on. La Russa

Diego Bianchi su Propaganda Live parla del nostro libro “Mussolini in Giappone”, che aveva in mano on. La Russa

L’intento del presentatore Diego Bianchi era chiaramente satirico (Propaganda Live del 16.09.2022) nei confronti di Ignazio La Russa e di me. L’ho comunque ringraziato per avermi fatta pubblicità e credo che, anche on. La Russa, si sia fatto due risate.

Diego Bianchi ha seguito on. La Russa per le vie di Roma e l’ha fotografato con un libro sottobraccio, appunto il mio “Mussolini in Giappone” che penso egli abbia acquistato in una libreria. Ne avevo inviato una copia a Giorgia Meloni, ma credo che quella, a lei dedicata, se la sia tenuta. Il mio libro è un romanzo con tenui basi storiche. Un po’ come “I Vestiti Nuovi dell’Imperatore” di Simon Leys (orig. The Death of Napoleon) nel quale si crea una storia alternativa, ovvero la sostituzione, con un sosia, di Napoleone Bonaparte a Sant’Elena.

Diego Bianchi ha poi mandato una schermata con la recensione fatta al mio libro da Ambrogio Bianchi (i due non sono parenti) sul popolare blog “La Nostra Storia” curato da Dino Messina del Corriere della Sera, nel quale si valutano le varie opzioni presentate nel romanzo.

Ecco l’articolo di Ambrogio Bianchi:

Un recensione sul Corriere della Sera dedicata al mio libro Mussolini in Giappone – Giornale Cangrande

Ecco la puntata completa del 16/09 di Diego Bianchi:

Propaganda Live – Puntata del 16/9/2022 (la7.it)

 

Si inizia a parlare di on. Ignazio La Russa e del mio libro al punto 1:05

Il libro è acquistabile sul sito della Gingko Edizioni

Mussolini in Giappone – Gingko Edizioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La fine del Carro Armato, a 100 anni dalla nascita

La fine del Carro Armato, a 100 anni dalla nascita

 

L’era dei mostri d’acciaio che hanno seminato la morte sui campi di battaglia, mitragliando, cannoneggiando, stritolando il povero fante con i loro cingoli, sta per tramontare.

Parliamo del Carro Armato, del Panzer, del Tank. Un veicolo che fu sognato da quel genio di Leonardo Da Vinci e poi descritto da un altro sognatore, H.G. Wells nel 1903,  nel suo racconto The Land Ironclads.

Nel 1916 gli inglesi gettarono in battaglia i primi esemplari di carri, simili a quelli che vediamo oggi in azione. Portavano solo una mitragliatrice pesante, ma nel 1917 apparvero i primi Renault francesi con torretta rotante e cannoncini. I carri tedeschi apparvero in ritardo, nel 1918 e si ebbe così la prima battaglia fra carri della storia, il 24 aprile 1918, durante la seconda battaglia di Villers-Bretonneux. Vinsero gli inglesi facendo saltare un carro tedesco con uno dei loro veicoli dotati di cannone. I primi carri armati presenti in Italia furono 7 Renault, tenuti da parte a Verona, lontani dal fronte e che non furono mai impiegati.

Vari teorici della guerra intuirono la sua forza e svilupparono le proprie teorie basandosi sul loro impiego massiccio e concentrato, capendone il potenziale. I primi a farlo furono i tedeschi, seguiti dai francesi, con Charles De Gaulle. In Italia il messaggio non giunse ai vertici del nostro esercito.

Giunti alla Seconda guerra mondiale e contrariamente a quanto si pensa, il miglior carro armato fu certamente il T34 sovietico, grazie alle sospensioni Christie, da loro copiate agli americani. Questo consentì il massimo della versatilità e mobilità.  Nonostante la qualità e il numero dei carri sovietici, questi furono fortunati per il fatto che i tedeschi non furono in grado di mettere in campo più aerei Stuka dotati di cannoncini anticarro, altrimenti questi, e non i carri Panther e Tigre, li avrebbero neutralizzati. Per esempio, un solo pilota, Ulrich Rudel, che pilotava questo modello di Stuka, distrusse più di 500 carri armati russi.

La vulnerabilità, o meglio i limiti, dei mostri d’acciaio è stata dimostrata più volte a partire dalla fine della II Guerra mondiale, per esempio durante la I Guerra del Golfo. I carristi iracheni seppellivano nel deserto i loro mezzi, per renderli invisibili all’aviazione americana. Questo durò fin quando un pilota non pensò che stando sotto alla sabbia con un sole cocente, di notte l’acciaio sarebbe stato ancora surriscaldato. Montarono dei visori a infrarossi e di notte li videro brillare sotto alla sabbia e li fecero saltare a uno a uno.

Durante l’insurrezione di Piazza Tienhanmen del 1989, a Pechino, tutti abbiamo visto arrestarsi una colonna di carri davanti a un impiegato che gli si era posto davanti (sta ancora in galera) e anche questo ha mostrato i loro limiti. Oggi, con l’avvento dei droni, possiamo essere certi che il terribile regno dei mostri d’acciao è giunto al termine, a poco più di cento anni dalla loro comparsa. La guerra di Putin in Ucraina è stato uno spartiacque e presto sarà inutile tenerli nel proprio arsenale, perché sono costosi, hanno bisogno di molta logistica e sono effettivi solo su certi terreni.

L’Italia, sulla carta, possiede solo 200 carri Leopard, ma quelli effettivamente funzionanti sono circa 60. Ebbene, non servirà aggiungerne altri, come qualcuno chiede, basterà potenziare il nostro arsenale di droni, armati di missili anticarro, per neutralizzare quelli nemici e consegnarli definitivamente ai musei di guerra.

 

Ambrogio Bianchi

 

 

Consorzio Zai – Storia

Consorzio Zai – Storia

Quadrante Europa – Consorzio Zai, è una grossa realtà nella Verona moderna, proiettata verso un propsero futuro.

Nel 1948 la cultura legata alla vita dei campi e la vocazione mercantile del Nord Est del Veneto, trovano la loro sintesi nel Decreto legislativo che istituì il Consorzio Zai. La prima Zona agricola industriale d’Italia e che sarebbe nata nell’area immediatamente a Sud del centro storico, dove dal 1926 esistevano i Magazzini Generali e dove, al tempo della Prima guerra mondiale, esisteva l’aeroporto militare di Verona, dal quale decollarono Francesco Baracca e Gabriele D’Annunzio.

A metà degli anni ’50 si considerò l’opportunità di inserire in quest’area anche delle attività non legate alla produzione agricola, come complementari a un’economia in costante evoluzione. Una scelta felice, accompagnata da politiche di agevolazione e di credito nei confronti di commercianti e artigiani per incentivare i trasferimenti. La lavorazione dei prodotti della terra, in una zona strategica per quanto riguarda il traffico con l’estero, richiede nuovi spazi e cosi, nel ’52 su un’area di 100 mila metri quadrati entra in funzione il nuovo Mercato Ortofrutticolo.

Nel 1955 nella Zai storica, detta anche Zai Uno, sono presenti 42 industrie, distribuite su una superficie complessiva di 230.000 metri quadrati. In seguito, all’inizio degli anni ’60 le industrie che operano in Zai erano salite a 230, di cui 137 manifatturiere e 61 sono metallurgiche e meccaniche. 67 aziende appartengono al settore commerciale, di cui 49 ortofrutticole; sono 15 invece le imprese che si occupano dei servizi (uffici di rappresentanza, spedizioni, pubblicita’) e 10 quelle che operano nel settore alimentare. Negli anni ’70, con un incremento del 100%, le imprese insediate salirono a 409, di cui 263 manifatturiere. Continua intanto a crescere il numero delle aziende nell’area storica della Zai: ai giorni nostri sono oltre 600, con oltre 20 mila addetti.

 

Giunta PD a Verona, oppure Giunta Opus Dei?

Giunta PD a Verona, oppure Giunta Opus Dei?

Si racconta che il PD abbia espugnato Verona. Eppure i suoi attivisti non mostrano un eccessivo entusiasmo per la vittoria.
Anzi, alcuni di loro sono oggettivamente infuriati per le scelte fatte dal sindaco, Damiano Tommasi, e cominciano a sospettare di essere stati usati come dei taxi.
Damiano Tommasi non si era mai dichiarato di sinistra, o vicino al PD e ad alcuni dei loro cavalli di battaglia, come il gender e lo jus soli, ma aveva piuttosto  mantenuto un cauto silenzio, sfoggiando costantemente un enigmatico sorriso, che ci ricordava la Gioconda.
La rabbia degli attivisti PD dopo le sue scelte per le posizioni nella giunta sono comprensibili. Questa vede il predominio di membri, simpatizzanti o aderenti, della Opus Dei. Anche il vecchio sindaco, Federico Sboarina, era un Opus Dei, ma le scelte di Tommasi, attivo membro Opus Dei, paiono essere state guidate più dalla sua appartenenza all’ordine creato da San Josemaria Escrivà, che alla partitica.
Niente di male, anzi, tranquillizzante, essendo l’Opus Dei un ordine benefico di grande spessore morale, che fa tutto alla luce del sole. Dobbiamo dimenticare Il Codice da Vinci, scritto da quel analfabeta di ritorno di Dan Brown.

 

 

MARCINELLE. Non bisogna dimenticare!

MARCINELLE. Non bisogna dimenticare!

Il Consigliere Comunale di FdI, Massimo Mariotti interviene sulla tragedia della miniera di Marcinelle in Belgio, della quale l’8 agosto prossimo  ricorre il 66mo anniversario.

«Un autorevole settimanale italiano, pubblicato in Belgio nei primi anni del dopoguerra, riportava l’annuncio della tragedia di Marcinelle con un titolo su otto colonne laconico nella sua drammaticità: “Al Bois du Cazier tutti morti a 1035!”. Una notizia agghiacciante che provocò un brivido di terrore nell’opinione pubblica mondiale e in particolare in quella di casa nostra, visto che il numero di morti italiani era il più alto. Dei 262 minatori europei deceduti, ben 136 provenivano dall’Italia, fra questi 8 dal Veneto, uno di questi, Giuseppe CORSO, da Verona» afferma Mariotti, che negli anni scorsi gli fece intitolare una strada nel Comune di Verona, dove ogni anno viene ricordato con una Cerimonia alla presenza di Autorità Istituzionali e rappresentanti delle Associazioni dell’Emigrazione Veneta.

«Il 23 giugno 1946 l’Italia firmava un accordo bilaterale scandaloso con il Belgio che prevedeva l’invio settimanale di duemila operai in cambio di duecento chili di carbone per ogni giornata lavorativa di ciascun minatore italiano. Con l’accordo veniva sancita una tacita “deportazione economica” in cambio di un lavoro. Un baratto ignobile siglato da governi del tempo, messo sotto accusa dieci anni dopo dalle vittime di Marcinelle che gridavano vendetta perché, sempre in Belgio, non si contavano ormai i morti italiani Caduti nelle miniere.» prosegue Mariotti.

«Complessivamente sono stati 867 gli italiani periti nelle miniere del Belgio. Una cifra significativa, emblematica,  uno stillicidio di sofferenza per i nostri emigranti continuato per decenni e vissuta sulla pelle delle loro famiglie in Italia, senza che nessuno nei palazzi romani si scomponesse».

A Marcinelle, l’Onorevole Mirko TREMAGLIA ebbe a dichiarare in uno dei tanti pellegrinaggi effettuati in silenzio: «Così è finito il sogno di chi, piangendo, lasciava la terra per cercare, nel durissimo lavoro, la soluzione di chi in Patria non trovava occupazione. La memoria storica di quanto è accaduto deve far rivivere, davanti a noi, non solo le immagini di quel giorno spaventoso, ma deve costituire la stella polare di chi, su quel grande sacrificio, vuole costruire una nuova società».

«Vi è il sacro dovere di rispettare a tutti i costi il lavoro, che deve essere il protagonista di una nuova politica di sicurezza, di partecipazione e di giustizia sociale, dove nessuno possa imporre con il danaro il proprio tornaconto e dove i lavoratori, in collaborazione con i datori di lavoro, tornino ad essere i protagonisti del loro avvenire».

Queste parole, pronunciate in anni non sospetti sono l’essenza chiara e lucida di questa Giornata del Sacrificio del Lavoro Italiano nel Mondo, come più volte dichiarato anche all’On. Piero Fassino affermando che «gli italiani all’estero sono un fattore di sviluppo per i Paesi di accoglimento e una ricchezza per l’Italia».

«La miniera maledetta del Bois du Cazier di Marcinelle rimane come monito per un domani migliore, un futuro più giusto di quello che milioni di italiani hanno dovuto conoscere e subire negli anni passati. – continua Mariotti – L’8 agosto deve essere un momento di riflessione per tutti, per porre fine ad ogni forma di vergognoso sfruttamento e di sottomissione, nel rispetto assoluto delle leggi, della giustizia sociale e della politica dei diritti negati per ogni lavoratore, da sempre rivendicata dentro e fuori dal Parlamento dal CTIM, Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo, in ogni contrada del mondo, assieme alle storiche associazioni nazionali della nostra emigrazione».

«Il calvario degli italiani nel mondo rimanga da monito per tutti, anche nei momenti più difficili della nostra Patria che, come Nazione antica di civiltà vuole ricordare per mai più dimenticare» conclude Mariotti.

Il post elezioni a Verona

Il post elezioni a Verona

Rileggendo gli articoli postati su questo giornale, ci rendiamo conto di quanto speravamo in una riconferma del sindaco uscente, Federico Sboarina, anche e nonostante una mano invisibile avesse già tracciato le parole mene, tekel, fares sui muri dell’Arena.

Ci siamo sbagliati. Non avevamo voluto leggere i fatti e la realtà delle cose, e questo è stato un grave errore del quale ci scusiamo. Gli inglesi lo chiamano wishful thinking ossia volere a tal punto una cosa da crederla possibile, pur essendo sempre stata impossibile.

Federico Sboarina ha dimostrato di non essere in grado di far politica. Questo non è il suo mestiere e non è la sua carriera. Certo, ha messo in cantiere dei grandi progetti che quando, arriveranno a compimento, entreranno nel carniere di Damiano Tommasi, ma ha peccato di presunzione, non curandosi dei dettagli. E spesso i dettagli contano più dei fatti.

Qualcuno, a destra, aveva lodato la sua intenzione di farsi harakiri  pur di non unirsi a Tosi e così mantenere intatta la propria verginità. Giuseppe Garibaldi scrisse al figlio, come primo comandamento, che: “Il migliore generale è sempre quello che vince”. Ecco, Sboarina non ha tenuto conto del consiglio di Garibaldi, preferendo salvare la propria “grande faccia”.

Questa crisi con Flavio Tosi era prevedibile da anni e, dunque, un politico di razza avrebbe dovuto trovare una strategia per neutralizzarla, molto prima del voto, per non spezzare in due la destra, come poi è accaduto. “Se non puoi batterlo, unisciti a lui”, dice il vecchio adagio. Inoltre, avrebbe dovuto consigliarsi con i suoi sostenitori, chiedendo il loro parere e poi decidere, ma a quanto pare non ha mai chiesto consiglio a nessuno.

La conferma della sua inadeguatezza la si è vista durante lo scontro televisivo con Tommasi, durante il quale ha voluto fare il “carino” invece che affondare i colpi, con un avversario che era chiaramente impreparato e all’oscuro di tutto. Inoltre, durante il primo consiglio comunale, l’ex sindaco rideva, scherzava e scattava selfie con tutti, invece che rassegnare le dimissioni e scusarsi con chi lo aveva sostenuto. Ora non ci resta che sperare che il 26 settembre, né lui, né Tosi, li vedremo eletti in Parlamento.

L’Italia è il Paese di Nicolò Machiavelli, una grande pensatore che ha saputo leggere la realtà dei fatti, non l’ha inventato, come molti credono. E un uomo politico, come un condottiero, deve pensare prima a suo popolo e poi a sé stesso, pronto anche a vendere la propria anima al diavolo, pur di raggiungere la vittoria. Machiavelli seppellì per una seconda volta il Gonfaloniere della Repubblica fiorentina, Pier Soderini, uomo tutto sommato onesto e mite, quando scrisse il celebre aforisma: “La notte che morì Pier Soderini/l’anima andò de l’inferno alla bocca;/ gridò Pluton – ch’inferno? anima sciocca, va su nel limbo fra gli altri bambini -.

Ecco, lo stesso potrebbe valere per il nostro Federico Sboarina.

I denti dei Draghi fanno sorgere giganti…preparatevi

I denti dei Draghi fanno sorgere giganti…preparatevi

Gli orfani di Draghi in Parlamento sono ancora storditi per la botta ricevuta, ma si stanno riorganizzando per sopperire alla scomparsa del loro dragone. La loro autostima è a pezzi, si credevano i più furbi del reame, ma si sono fatti infinocchiare da Conte, Salvini, Meloni e Berlusconi. Li davano per addormentati e invece questi si sono mossi rapidamente e con passo felpato per far saltare il banco. Vi saranno conseguenze sul piano economico? Certamente sì, ma lo spettacolo sarà grandioso e impagabile. Parafrasando Kipling, possiamo dire che è meglio un anno di politica italiana che un intero ciclo dinastico del Kathay.

Ora gli orfani del drago si stanno rialzando e organizzando, e se davvero le elezioni si terranno il 25 settembre non hanno un minuto da perdere. Quel che resterà del 5Stelle primigenio finirà nelle mani di Di Battista e della Raggi e quindi perderanno quella sponda. E la destra ricompattata, dopo aver scaricato la Gelmini, Brunetta e qualche altro pezzo, si sta muovendo bene. La campagna del PD s’incentrerà su due pilastri: abbasso i fascisti (a 100 anni dalla marcia su Roma, e te pareva…) e abbasso la ducetta. Dunque argomenti assai sofisticati, giusto perché altri argomenti più intelligenti prima delle elezioni non ne troveranno.

Dunque, si dispongano i divani e si preparino i popcorn!

20 luglio 1969. L’uomo sbarca sulla Luna, ma non per tutti…

20 luglio 1969. L’uomo sbarca sulla Luna, ma non per tutti…

Il 20 luglio 1969, gli astronauti americani Neil Armstrong (1930-2012) e Edwin “Buzz” Aldrin (1930-) divennero i primi esseri umani ad atterrare sulla Luna. Circa sei ore e mezza dopo, Armstrong divenne la prima persona a camminare sulla Luna. Mentre muoveva il primo passo, Armstrong disse: “Un piccolo passo per l’uomo, un grande balzo per l’umanità”. La missione Apollo 11 avvenne otto anni dopo che il presidente John F. Kennedy (1917-1963) aveva annunciato l’obiettivo nazionale di far atterrare un uomo sulla Luna entro la fine degli anni Sessanta. L’Apollo 17, l’ultima missione lunare con equipaggio, ebbe luogo nel 1972.

All’epoca, gli Stati Uniti erano ancora indietro rispetto all’Unione Sovietica negli sviluppi spaziali e l’America dell’epoca della Guerra Fredda accolse con favore l’audace proposta di Kennedy. Nel 1966, dopo cinque anni di lavoro da parte di un team internazionale di scienziati e ingegneri, la National Aeronautics and Space Administration (NASA) condusse la prima missione Apollo senza equipaggio, testando l’integrità strutturale della capsula.

Ecco la cronologia semplificata dello sbarco sulla Luna del 1969:

Alle 9:32 del 16 luglio, sotto agli occhi di tutto il mondo, l’Apollo 11 decolla dal Kennedy Space Center con a bordo gli astronauti Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins. Armstrong, un pilota di 38 anni, era il comandante della missione.

Dopo aver percorso 385.000 chilometri in 76 ore, l’Apollo 11 entrò in orbita lunare il 19 luglio. Il giorno successivo, alle 13:46, il modulo lunare Eagle, con a bordo Armstrong e Aldrin, si separò dal modulo di comando, dove rimase Collins. Due ore dopo, l’Eagle iniziò la discesa verso la superficie lunare e alle 16:17 atterrò sul bordo sud-occidentale del Mare della Tranquillità. Armstrong trasmise immediatamente via radio al Controllo Missione di Houston, in Texas, un messaggio ormai famoso: “L’Aquila è atterrata”.

Alle 22:39, con cinque ore di anticipo sul programma originale, Armstrong aprì il portello del modulo lunare. Mentre scendeva la scaletta del modulo, una telecamera collegata all’astronave registrava i suoi progressi e trasmetteva il segnale sulla Terra, dove centinaia di milioni di persone lo guardavano con il fiato sospeso.

Alle 22:56, quando Armstrong scese dalla scaletta e posò il piede sulla superficie polverosa della Luna, pronunciò la sua famosa frase, che in seguito sostenne essere stata lievemente confusa dal suo microfono e che voleva essere “un piccolo passo per un uomo, un grande balzo per l’umanità”.

Aldrin lo raggiunse sulla superficie lunare 19 minuti dopo e insieme scattarono fotografie del terreno, piantarono una bandiera statunitense, eseguirono alcuni semplici test scientifici e parlarono con il presidente Richard Nixon (1913-94) via Houston.

Alle 1:11 del 21 luglio, entrambi gli astronauti erano di nuovo nel modulo lunare e il portello fu chiuso. I due uomini dormirono quella notte sulla superficie lunare e alle 13:54 l’Eagle iniziò la sua risalita verso il modulo di comando. Tra gli oggetti lasciati sulla superficie lunare c’era una targa che recitava:

“Qui gli uomini del pianeta Terra hanno messo piede per la prima volta sulla Luna – luglio 1969 d.C. – Siamo venuti in pace per tutta l’umanità”.

Alle 17:35 Armstrong e Aldrin si agganciarono con successo e si ricongiunsero a Collins, e alle 12:56 del 22 luglio l’Apollo 11 iniziò il suo viaggio verso casa, per poi atterrare nell’Oceano Pacifico alle 12:50 del 24 luglio.

Ci sarebbero state altre cinque missioni di atterraggio lunare di successo e un passaggio lunare non pianificato. L’Apollo 13 dovette interrompere l’allunaggio a causa di difficoltà tecniche. Gli ultimi uomini a camminare sulla Luna, gli astronauti Eugene Cernan (1934-2017) e Harrison Schmitt (1935-) della missione Apollo 17, lasciarono la superficie lunare il 14 dicembre 1972.

Il programma Apollo fu un’impresa costosa e ad alta intensità di lavoro, che coinvolse, secondo le stime, 400.000 ingegneri, tecnici e scienziati e costò 24 miliardi di dollari (quasi 100 miliardi di dollari in dollari attuali) e dozzine di uomini e donne vi persero la vita per poterci arrivare. La spesa era giustificata dal mandato di Kennedy del 1961 di battere i sovietici sulla Luna e, una volta compiuta l’impresa, le missioni in corso persero la loro redditività.

Pare impossibile crederlo, ma esistono centinaia di migliaia di persone che, in realtà, non credono che questo sia davvero avvenuto, non pensando che l’URSS si sarebbe precipitata immediatamente a smentire questo successo americano.

Esaminiamo qualcuna di queste fake news in circolazione, anche se sono state tutte contraddette:

Teoria del complotto 1: le ombre nelle foto dello sbarco sulla Luna provano che le immagini sono state falsificate. Esiste una fotografia scattata da Neil Armstrong dopo l’allunaggio dell’Apollo 11 (NASA) e la sua ombra non è parallela all’ombra di palo.

A causa della prospettiva, nella foto le linee parallele appaiono non parallele. Se si cerca di ridurre su un piano bidimensionale una situazione tridimensionale, si può far fare alle linee ogni sorta di stranezza. Gli artisti lo usano da secoli. Uscite fuori quando il sole è basso nel cielo e osservate voi stessi questo effetto. Proprio come nelle immagini dell’Apollo 11, le ombre non saranno parallele.

Teoria del complotto 2: gli astronauti dell’Apollo non sarebbero potuti sopravvivere al campo di radiazioni della Terra. La Terra è circondata da una zona di particelle cariche nota come fascia di radiazioni “Van Allen”.  Essendo questo è il caso, come hanno fatto gli astronauti dell’Apollo ad attraversare la fascia di radiazioni di Van Allen e ad uscire indenni dall’orbita terrestre? Sicuramente la quantità di radiazioni li avrebbe uccisi? Questo non dimostra che gli sbarchi sulla Luna erano una bufala?

Se avete mai fatto firewalking (camminare sul fuoco), saprete che l’unica cosa che non si fa è indugiare nel mezzo del fuoco. Si attraversa il più velocemente possibile. Da un punto di vista scientifico, se si attraversa abbastanza velocemente, considerando la conduttività termica dei piedi, non si avrà un’energia termica sufficiente a bruciare le piante dei piedi. Non c’è alcun problema. Basta non rimanere nel mezzo! In modo simile, il tempo di transito attraverso la fascia di radiazioni di Van Allen all’inizio dei viaggi Apollo era incredibilmente breve. Viaggiare attraverso la fascia di radiazioni di Van Allen, se si va abbastanza veloci – e bisogna farlo se si va sulla Luna – non è assolutamente un problema.

Teoria del complotto 3: perché non ci sono stelle nelle foto degli sbarchi sulla Luna della NASA? Se l’immagine è stata davvero scattata sulla Luna, il cielo non dovrebbe essere pieno di stelle? Dopotutto, non c’è atmosfera che possa distorcere l’immagine, né nuvole che possano interrompere quella splendida vista. I teorici della cospirazione sostengono che la mancanza di stelle nelle fotografie della missione Apollo 11 dimostra che l’evento è stato inscenato. La NASA non avrebbe potuto simulare l’intera meraviglia del cielo lunare e quindi ha semplicemente scelto di non includere alcuna stella.

Se si vuole fotografare una scena fortemente illuminata, la velocità dell’otturatore della fotocamera deve essere rapida e l’apertura incredibilmente piccola. In questa situazione, gli oggetti deboli come le stelle semplicemente non si vedranno.

Teoria del complotto 4: la bandiera americana dell’Apollo 11 sventola al vento… ma non c’è vento sulla Luna

Guardate di nuovo l’immagine, in particolare lungo il bordo superiore della bandiera, e troverete la risposta. Un’asta telescopica è stata estesa lungo la parte superiore per far sventolare la bandiera tenendola distesa (sì, la NASA aveva pensato davvero a tutto).

Teoria del complotto 5: se siamo davvero andati sulla Luna nel 1969, perché non ci siamo mai tornati?

Ci siamo tornati. L’Apollo 17, l’ultima missione Apollo a far atterrare astronauti sulla Luna, è avvenuta nel 1972. Da allora, gli esseri umani non sono mai tornati. L’Apollo 17 non doveva essere la fine della storia, naturalmente. Per tutti gli anni ’70 c’era l’ambizione di stabilire una base lunare permanente prima di passare alla prossima grande sfida dell’esplorazione spaziale: Marte. La risposta è che cambiarono le priorità.

L’attenzione si è invece rivolta al programma dello Space Shuttle e, da ultimo, alla Stazione Spaziale Internazionale, che dal novembre 2000 è abitata in modo permanente da squadre di astronauti. Ma questo non significa che l’uomo non possa tornare sulla Luna in futuro.

Teoria del complotto 6: perché resta l’immagine così nitida della scarpa di Armstrong se non  piove?

La luna è coperta da polvere finissima. Provate a stendere del borotalco sul pavimento e otterrete lo stesso risultato.

Teoria del complotto 7: donarono all’Olanda un pezzo di roccia lunare ma in seguito risultò falsa

Sì, ma la donazione fu una truffa, nella quale la NASA e il governo americano non c’entravano. Del resto solo dei fessi possono credere che la NASA si sia privata di un prezioso frammento lunare a soli tre mesi dall’allunaggio.

Lo sbarco sulla Luna non è stato una bufala. L’Apollo 11 è avvenuto davvero. Gli esseri umani hanno davvero messo piede sulla Luna. Abbiamo innumerevoli immagini, video, campioni lunari e dati scientifici che lo dimostrano. Ma soprattutto, l’esplorazione umana ha letteralmente lasciato il segno sulla superficie lunare.

Nel 2009 abbiamo inviato un orbiter in ricognizione lunare per mappare la superficie lunare con una risoluzione di tre o quattro ordini di grandezza superiore a quella mai raggiunta prima. È stato fotografato ogni singolo sito di atterraggio dell’Apollo. Ciò che colpisce davvero di queste immagini è che quelle impronte, quelle tracce dei veicoli lunari, manterranno la loro integrità per milioni di anni. Indipendentemente da ciò che faremo a noi stessi come civiltà, perché abbiamo davvero lasciato il nostro segno nel cosmo.

 

 

 

Mariotti e Giorgetti ricordano Paolo Borsellino – Uomo tutto d’un pezzo, vicino al MSI

Mariotti e Giorgetti ricordano Paolo Borsellino – Uomo tutto d’un pezzo, vicino al MSI

 

 

 

Gli esponenti di Fratelli d’Italia Massimo Mariotti e Massimo Giorgetti si sono recati nella via che il Comune di Verona ha dedicato a Paolo Borsellino  al Bassone per rendere omaggio alla memoria del giudice ucciso trent’anni fa, a Palermo in via D’Amelio, assieme ai cinque agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. “ Con questo gesto abbiamo voluto ricordare l’impegno di un Magistrato in prima linea nella lotta a Cosa Nostra e il cui ricordo è ancora vivo tra gli italiani, come testimoniano le numerose iniziative di questi giorni in tutta Italia da parte delle istituzioni e di numerose associazioni, oltre a quello degli appartenenti alle Forze dell’Ordine caduti nell’adempimento del loro dovere”, spiegano i due appartenenti storici alla destra veronese.

Paolo Borsellino fu un simpatizzante del Movimento sociale italiano, nel quale aveva militato da giovane.  Come ha rimarcato Marcello Veneziani nel suo splendido editoriale su La Verità di ieri, Paolo Borsellino poteva essere salvato proprio da quel Parlamento che oggi si affanna a ricordarlo. E forse quella scelta avrebbe salvato l’Italia intera. Fu il MSI che lo votò per nominarlo Presidente della Repubblica.

In quel periodo di grandi stravolgimenti politico-istituzionali, per la prima volta nella storia tormentata della nostra Repubblica, il Presidente Francesco Cossiga rassegnò le dimissioni, costringendo il Parlamento a nuove votazioni. Il pomeriggio del 19 maggio 1992, nel corso dell’XI scrutinio delle elezione del Presidente della Repubblica italiana, l’allora segretario del MSI Gianfranco Fini diede indicazione ai suoi parlamentari di votare per Paolo Borsellino Presidente della Repubblica. In quello scrutinio ebbe 47 preferenze (il morto che parla, ci ricorda Veneziani…) piazzandosi quarto.

Ci vollero ben 16 scrutini per eleggere il Presidente della Repubblica: Oscar Luigi Scalfaro, che ottenne 672 voti. La fumata bianca arrivò appena 2 giorni dopo la strage di Capaci.

 

 

I danni collaterali fatti dai virologi d’assalto e dagli economisti conniventi

I danni collaterali fatti dai virologi d’assalto e dagli economisti conniventi


Foto: dreamstime_l_1074074

Una certa mentalità vede nell’economia un gigantesco casinò in cui i suoi manager possono aprire o chiudere le porte a piacimento senza grosse conseguenze. Le entrate che si perdono oggi si possono recuperare domani. In questa prospettiva semplificata, è troppo facile dimenticare le catene di approvvigionamento, le piccole imprese, l’industria dei servizi, l’alimentazione e l’energia, e persino la fornitura di assistenza sanitaria. La vasta e globale matrice di scambi che costituisce il mercato globale viene caricaturizzata come un semplice progetto ingegneristico che può essere posto in stand by e poi riavviato a piacimento.

Questa potrebbe sembrare una posizione morale, come ci hanno detto: prima vengono le vite umane e poi l’economia, ma questo avviene solo se si separa l’economia dalla vita umana. Questo è sbagliato! L’economia è una preoccupazione umana legata all’intera esperienza della vita sulla terra. Non può essere accantonata. Del resto, la stessa erogazione dell’assistenza sanitaria non può essere separata dall’economia, come gli eventi hanno duramente rivelato.
I ministri si sono sottomessi alle direttive dei Centri per il controllo e di prevenzione delle malattie, e hanno ordinato agli ospedali di terminare gli interventi chirurgici selettivi, dando priorità ai pazienti COVID. Questo è stato un errore enorme, che sicuramente è costato molte vite.
Ogni volta che si parlava di danni collaterali e di dubbi sul fatto che le chiusure avrebbero potuto mitigare il virus, si veniva liquidati e caratterizzati come ignoranti e no vax. Nel frattempo, gli economisti che sapevano dei danni provocati, tacevano, schiacciati dalla paura di essere giudicati insensibili alle vite umane. Queste persone avevano una formazione eccellente in alcuni settori, ma pochi avevano studiato la storia delle malattie infettive o sapevano qualcosa sulle traiettorie dei virus, tanto meno avevano una conoscenza pratica della biologia cellulare. Erano ignoranti su questi argomenti come lo erano sull’astronomia e sulla divisione dell’atomo. Così la maggior parte di loro si è rassegnata e ha lasciato che i professionisti della salute pubblica facessero il loro corso. Si tratta di rimanere nella propria corsia, proprio come il mondo accademico moderno addestra le persone a fare e come i Big Media e le Big Tech svergognano le persone che non lo fanno.
Questo pensiero altamente settoriale ha causato gravi danni durante tutta la pandemia. Gli economisti avevano sbagliato a caratterizzare la salute pubblica che aveva alterato l’economia come una preoccupazione per domani. Il risultato è stato un disastro, e sono passati molti mesi durante i quali la vita come la conoscevamo è stata distrutta con la forza.
Le due persone che alla fine esercitarono una profonda influenza nel riaprire e sostanzialmente salvare il mondo furono i dottori Scott Atlas e Jay Bhattacharya. Atlas aveva una formazione medica e scientifica e aveva scritto diversi libri sulle politiche pubbliche che esploravano l’intersezione di entrambe le discipline. Bhattacharya aveva conseguito un dottorato in economia e una laurea in medicina. Questi due pensatori erano e sono unici nel comprendere che la separazione tra “denaro e vite” è davvero artificiale. Entrambe le discipline hanno a che fare con la vita umana, le scelte, i vincoli e i compromessi.
Sono stati impavidi nell’intrecciare le due preoccupazioni. L’economia non è un progetto ingegneristico. Si occupa della vita stessa. Lo stesso vale per la salute pubblica: la povertà e la disperazione portano alla morte con la stessa sicurezza di un virus mortale. Non è possibile riflettere sull’una senza includere le preoccupazioni dell’altra.
Il dollaro americano ha perso il 13,5% del suo valore da quando sono iniziati i blocchi, il che è un altro modo per dire che i salari stanno diminuendo, le tasse nascoste stanno aumentando e i risparmi vengono erosi. Improvvisamente, gli economisti si mettono in mostra per spiegare cosa fare al riguardo, mentre gli esperti di salute pubblica si affannano a cercare qualche altra malattia in libertà per riguadagnare il loro profilo pubblico. Sono in competizione con i climatologi che vengono arruolati per affrontare il problema del cambiamento climatico, anche se i media continuano a chiedere alla classe di magnati guidata da Bill Gates di intervenire su tutto nella speranza di ottenere sovvenzioni dalla sua fondazione.

Non possiamo vivere in questo modo. È ridicolo. Dite quello che volete degli scolastici del tardo Medioevo; almeno loro sapevano che c’era un’unità nella verità. Di conseguenza, studiavano tutto, cercando sempre interrelazioni tra le discipline. Fu in quel periodo che nacque la disciplina dell’Economia, non come branca dell’ingegneria o della tecnologia, ma come percorso per comprendere come le vite umane possano prosperare e per esaminare le forze all’opera nel mondo che lo rendono possibile. Non è che ogni intellettuale debba avere una conoscenza universale di tutto; dovrebbe averne quanto basta per non farsi abbindolare dalla falsa competenza degli altri.

Ancora oggi, la letteratura del 18° secolo offre ampie conoscenze. Adam Smith scrisse un libro sulle forze economiche e un altro sulle norme, la morale e la comunità umana. L’intera generazione di intellettuali che lo seguì fece un’impollinazione incrociata delle proprie idee. Per loro imparare da tutti era un obbligo morale.
Gli intellettuali della sanità pubblica non possono semplicemente fornire indicazioni per il futuro, settorializzando e liquidando le preoccupazioni economiche come una mera questione di dollari e centesimi. E allo stesso tempo, non ci si può aspettare che l’economia, come disciplina, dia un grande contributo alla comprensione umana fingendo che l’ignoranza delle questioni di base della salute e del benessere sia totalmente irrilevante per il loro compito.
Queste discipline hanno bisogno l’una dell’altra. L’isolamento intellettuale di qualsiasi tipo, specialmente quando è legato al potere governativo, dà vita a una pericolosa miopia, all’intolleranza e al fanatismo.