La fine del Carro Armato, a 100 anni dalla nascita

La fine del Carro Armato, a 100 anni dalla nascita

 

L’era dei mostri d’acciaio che hanno seminato la morte sui campi di battaglia, mitragliando, cannoneggiando, stritolando il povero fante con i loro cingoli, sta per tramontare.

Parliamo del Carro Armato, del Panzer, del Tank. Un veicolo che fu sognato da quel genio di Leonardo Da Vinci e poi descritto da un altro sognatore, H.G. Wells nel 1903,  nel suo racconto The Land Ironclads.

Nel 1916 gli inglesi gettarono in battaglia i primi esemplari di carri, simili a quelli che vediamo oggi in azione. Portavano solo una mitragliatrice pesante, ma nel 1917 apparvero i primi Renault francesi con torretta rotante e cannoncini. I carri tedeschi apparvero in ritardo, nel 1918 e si ebbe così la prima battaglia fra carri della storia, il 24 aprile 1918, durante la seconda battaglia di Villers-Bretonneux. Vinsero gli inglesi facendo saltare un carro tedesco con uno dei loro veicoli dotati di cannone. I primi carri armati presenti in Italia furono 7 Renault, tenuti da parte a Verona, lontani dal fronte e che non furono mai impiegati.

Vari teorici della guerra intuirono la sua forza e svilupparono le proprie teorie basandosi sul loro impiego massiccio e concentrato, capendone il potenziale. I primi a farlo furono i tedeschi, seguiti dai francesi, con Charles De Gaulle. In Italia il messaggio non giunse ai vertici del nostro esercito.

Giunti alla Seconda guerra mondiale e contrariamente a quanto si pensa, il miglior carro armato fu certamente il T34 sovietico, grazie alle sospensioni Christie, da loro copiate agli americani. Questo consentì il massimo della versatilità e mobilità.  Nonostante la qualità e il numero dei carri sovietici, questi furono fortunati per il fatto che i tedeschi non furono in grado di mettere in campo più aerei Stuka dotati di cannoncini anticarro, altrimenti questi, e non i carri Panther e Tigre, li avrebbero neutralizzati. Per esempio, un solo pilota, Ulrich Rudel, che pilotava questo modello di Stuka, distrusse più di 500 carri armati russi.

La vulnerabilità, o meglio i limiti, dei mostri d’acciaio è stata dimostrata più volte a partire dalla fine della II Guerra mondiale, per esempio durante la I Guerra del Golfo. I carristi iracheni seppellivano nel deserto i loro mezzi, per renderli invisibili all’aviazione americana. Questo durò fin quando un pilota non pensò che stando sotto alla sabbia con un sole cocente, di notte l’acciaio sarebbe stato ancora surriscaldato. Montarono dei visori a infrarossi e di notte li videro brillare sotto alla sabbia e li fecero saltare a uno a uno.

Durante l’insurrezione di Piazza Tienhanmen del 1989, a Pechino, tutti abbiamo visto arrestarsi una colonna di carri davanti a un impiegato che gli si era posto davanti (sta ancora in galera) e anche questo ha mostrato i loro limiti. Oggi, con l’avvento dei droni, possiamo essere certi che il terribile regno dei mostri d’acciao è giunto al termine, a poco più di cento anni dalla loro comparsa. La guerra di Putin in Ucraina è stato uno spartiacque e presto sarà inutile tenerli nel proprio arsenale, perché sono costosi, hanno bisogno di molta logistica e sono effettivi solo su certi terreni.

L’Italia, sulla carta, possiede solo 200 carri Leopard, ma quelli effettivamente funzionanti sono circa 60. Ebbene, non servirà aggiungerne altri, come qualcuno chiede, basterà potenziare il nostro arsenale di droni, armati di missili anticarro, per neutralizzare quelli nemici e consegnarli definitivamente ai musei di guerra.

 

Ambrogio Bianchi

 

 

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