Verona, 12 Marzo 2024 Matteo Salvini visita il Consorzio Zai

Verona, 12 Marzo 2024 Matteo Salvini visita il Consorzio Zai

Il Consorzio ZAI è orgoglioso di annunciare il recente incontro a porte chiuse con il Ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Senatore Matteo Salvini, in occasione della fiera di settore “LetExpo 2024” che si terrà a Verona dal 12 al 15 Marzo. Durante l’incontro, il Ministro Salvini ha avuto l’opportunità di visitare le strutture del Consorzio ZAI e di conoscere da vicino le iniziative e gli obiettivi legati alla sostenibilità, all’efficienza energetica e alla modernizzazione delle infrastrutture logistiche. Accompagnato dall’Ing. Elisabetta Pellegrini, il Ministro ha potuto apprezzare gli sforzi del Consorzio ZAI nell’implementazione di soluzioni innovative, come l’uso di tecnologie green, l’ottimizzazione delle reti ferroviarie e l’introduzione di pratiche sostenibili nell’interporto. Il Presidente del Consorzio ZAI, Matteo Gasparato, ha guidato il Ministro Salvini e gli ospiti in un incontro che ha illustrato le best practices implementate per ridurre l’impatto ambientale delle attività logistiche e per promuovere l’intermodalità come fondamentale strategia per il futuro del trasporto delle merci. Durante l’incontro sono stati discussi temi cruciali riguardanti il potenziamento delle infrastrutture logistiche, la promozione della sostenibilità ambientale nel settore dei trasporti e le prospettive di collaborazione tra il settore pubblico e privato per lo sviluppo infrastrutturale del paese.

Dichiara così il Presidente Gasparato: “Siamo grati al Ministro Matteo Salvini per aver visitato il Consorzio ZAI. Il primo ministro dei trasporti in visita presso i nostri uffici dopo oltre dieci anni. È stato un momento importante per presentare le nostre iniziative e discutere delle sfide e delle prospettive nel settore della logistica sostenibile. La sua presenza ha rappresentato un’opportunità per esplorare insieme le soluzioni innovative che stiamo implementando per rendere il trasporto merci più efficiente, sostenibile e competitivo”.

 

“In materia monetaria i nostri politici sono dei dilettanti oppure degli incapaci?” la risposta di Michel Santi

“In materia monetaria i nostri politici sono dei dilettanti oppure degli incapaci?” la risposta di Michel Santi

 

di Michel Santi

Il Ministro delle Finanze tedesco, Lindner, grande stratega agli occhi dell’Onnipotente, annuncia l’attuazione di un piano di austerità che consiste nel ridurre la spesa pubblica di 30 miliardi nel 2025…condannando così il suo Paese e il resto dell’Europa a una recessione garantita.

Una recessione si verifica quando uno Stato è improvvisamente attanagliato dal desiderio di risparmiare, di spendere meno, portando inevitabilmente a un’esacerbazione della disoccupazione, che inevitabilmente porta a un’ulteriore diminuzione dei consumi. Questo circolo vizioso non lascia dubbi, non va soggetto a dibattiti, e può essere esorcizzato solo se lo Stato in questione neutralizza il calo della spesa e degli investimenti privati aumentando i propri, anche se ciò significa prendere più prestiti.

All’alba di questo secolo, è emersa una nuova ortodossia secondo la quale gli Stati dovrebbero affidarsi principalmente alla politica monetaria della loro banca centrale – cioè ai tassi di interesse – che incoraggerebbero la spesa e gli investimenti, abbassandoli e che ritirerebbe la liquidità dall’economia alzandoli per rallentarla. In ogni caso, gli Stati sono stati istruiti a monitorare meticolosamente la spesa pubblica per non incorrere nell’ira dei mercati finanziari, che avrebbero reso più costosi i loro prestiti.

Nell’interesse della nostra classe media sull’orlo del baratro, per proteggere i cittadini più vulnerabili, il nostro sistema ha urgentemente bisogno di una revisione completa. Dobbiamo ripensare collettivamente l’azione e la spesa pubblica, il ruolo delle tasse e delle imposte, in breve, lo scopo del denaro.

L’austerità è un atto deliberato e coscienziosamente decretato dai nostri leader. È sempre e solo per  per secondi fini? O son solo dei motivi politici che spingono i nostri leader a tassare, spendere, favorire un gruppo o una classe rispetto ad altri. Non vedo altre motivazioni se non la politica, per la quale un governo arbitrerebbe a favore o contro una spesa o un’altra, perché il denaro è lì, disponibile! Smettiamo di annunciare presunte decisioni difficili da prendere, perché abbiamo effettivamente i mezzi per ridurre in modo significativo la disoccupazione, reinvestire nell’economia e nei cittadini, invece di peggiorare deliberatamente una situazione già depressa, nascondendoci dietro lo schermo logoro di un’austerità che sappiamo essere mortale.

L’aumento di tasse e imposte (sui ricchi e sui meno ricchi) sottrae somme preziose all’economia e aggrava la crisi. L’aumento dei tassi di interesse mette in moto una spirale dannosa, poiché drena liquidità preziosa dal sistema. L’aumento dei prezzi dell’energia erode il nostro potere d’acquisto e consolida gli effetti perversi dell’austerità. Infine, la riduzione della spesa pubblica colpisce in primo luogo coloro che hanno più bisogno di protezione e mette a rischio il futuro e il benessere di una Nazione.

No, gli stati non hanno bisogno di risparmiare, perché il bilancio di uno Stato sovrano non è gestito come quello di una famiglia. Comprendiamo che il nostro debito nazionale non è tanto un “debito” quanto un “deficit”. Questo deficit del nostro Stato è il denaro che ho in tasca, sono gli investimenti che il mio Paese fa nel mio Paese e che in quanto tali non devono essere rimborsati. Gli Stati sovrani – ossia quelli che emettono la propria valuta senza alcuna indicizzazione – dovrebbero imparare a domare il loro deficit, un termine che uso intenzionalmente al singolare perché non è necessario drammatizzare il suo significato usando il plurale. Una nazione che controlla la propria valuta è in grado di stimolare la crescita e sostenere l’occupazione attraverso la leva della spesa pubblica, senza rischiare il default.

È quindi impossibile – e assolutamente indesiderabile – ridurre il deficit, perché ciò significherebbe confiscare i nostri risparmi e disinvestire nello Stato, dato che il deficit del nostro Stato è proprio la nostra ricchezza. Alla fine la domanda che dobbiamo porci è: i nostri politici sono dei dilettanti o solo degli ignoranti?

La siccità potrà essere battura da una invenzione italiana

La siccità potrà essere battura da una invenzione italiana

Centrale e Castello visconteo di Trezzo
Centrale e Castello visconteo di Trezzo

 

La Scienza italiana, in collaborazione con quella svedese ha creato un materiale capace di conservare l’energia solare.

(ANSA) – Un nuovo materiale in grado di assorbire la totalità della radiazione solare, ed al contempo trattenere il calore accumulato, è stato realizzato da un gruppo internazionale di scienziate e scienziati dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Lulea University of Technology (Svezia), Consiglio nazionale delle ricerche e Linköping University (Svezia). Il progetto su cui lavora il gruppo ha lo scopo di produrre nuovi materiali capaci di assorbire completamente la radiazione solare, ottenendo superfici ultra-calde per varie applicazioni, tra cui la desalinizzazione dell’acqua con basso consumo energetico e la cottura di cibi in zone isolate ad alta insolazione.

L’invenzione è stata presentata in un articolo scientifico pubblicato su Nature Communications. Attualmente la desalinizzazione dell’acqua è un processo estremamente energivoro, ma è di capitale importanza in regioni con scarsità di acqua potabile, la cui estensione aumenta di anno in anno a causa del riscaldamento globale.

Il risultato della ricerca potrà contribuire allo sviluppo di nuovi sistemi semplici, a basso costo e basso impatto ambientale per la desalinizzazione dell’acqua in zone aride o con mancanza di acqua potabile, o per la realizzazione di superfici ultra-calde in zone ad alta insolazione.

 

I libri che, secondo Elon Musk, andrebbero letti assolutamente

I libri che, secondo Elon Musk, andrebbero letti assolutamente

Quando non lancia razzi, non trivella sotto alle strade di Los Angeles e non spedisce navicelle oltre l’ atmosfera, Elon Musk passa molto tempo a leggere.

Ecco i libri di saggistica raccomandati da Musk che, secondo lui, tutti dovrebbero leggere.  Elon Musk, il miliardario CEO di SpaceX, Tesla e altre aziende tecnologiche rivoluzionarie, in qualche modo trova sempre il tempo di leggere molti libri quando non sta lanciando razzi nello spazio. Dalle opere classiche di fantascienza agli studi complessi sull’intelligenza artificiale. Musk attribuisce ai libri il merito di averlo aiutato a raggiungere il suo successo. Infatti, quando gli fu chiesto come ha imparato a costruire razzi, ha risposto: “Ho letto libri”. E lo dimostra, perché i libri consigliati da Musk sono più che semplici titoli: ma sono percorsi che hanno dato forma alle sue imprese rivoluzionarie.

L’ampia gamma di libri consigliati da Elon Musk rivela non solo i suoi molteplici interessi, ma anche la sua profonda cultura e conoscenza. Che si tratti di contemplare il destino dell’umanità o di comprendere le complessità dell’intelligenza artificiale, l’elenco di letture di Musk è una finestra sul suo universo intellettuale. Tuttavia, il lusso di approfondire i libri quotidianamente non è qualcosa che tutti possono permettersi. Secondo uno studio del Bureau of Labour Statistics, la maggior parte degli americani trova il tempo di leggere solo 17 minuti al giorno. A questo ritmo, gli americani potrebbero impiegare più di un mese per leggere uno dei libri di saggistica consigliati da Musk.

1. Human Compatible di Stuart Russell Human spiega perché la creazione di un’intelligenza artificiale potrebbe essere l’atto finale dell’umanità, un argomento su cui Musk è stato molto esplicito. Il libro richiama l’attenzione sulla potenziale catastrofe verso la quale si sta dirigendo la società e discute di quel che bisogna fare per evitarla.

2. Zero to One di Peter Thiel, Musk ha twittato: “Peter Thiel ha costruito diverse aziende rivoluzionarie e (questo libro) mostra come”.  Zero to One  studia come le aziende possono prevedere meglio il futuro e agire per garantire il successo delle loro start-up. L’autore arricchisce i punti chiave del libro con le sue esperienze personali.

3. Merchants of Doubt di Naomi Oreskes & Erik M. Conway.  Questo libro esamina alcuni dei principali dibattiti scientifici del mondo sull’ambiente, il fumo e le armi nucleari.  Descrive come un piccolo gruppo di scienziati molto attivi abbia pesantemente travisato questi temi attraverso i media tradizionali, spesso per favorire gli interessi delle aziende e dell’industria.

4. Life 3.0 di Max Tegmark. In quest’opera, il professore del MIT Max Tegmark scrive che per mantenere l’intelligenza artificiale utile per la vita umana e garantire che il progresso tecnologico resti allineato agli obiettivi dell’umanità per il futuro, è necessario essere molto all’erta. Questo è uno dei pochi libri consigliati da Elon Musk dove si tratta della possibilità che l’AI venga utilizzata come forza per il bene del mondo, anziché per il suo male.

5. The Big Picture di Sean M. Carroll. The Big Picture getta uno sguardo ambizioso sul mondo come lo conosciamo e su come possiamo usare il pensiero scientifico per dare un senso alla maggior parte di esso. Un esame approfondito delle origini della vita, della coscienza e dell’universo stesso, questo libro offre ai lettori un modo deduttivo di considerare le domande più impegnative che la filosofia, la fisica e la biologia hanno da offrire.

6. Mentire di Sam Harris. Questo tratta di tutte le bugie, dalle piccole bugie che le persone dicono quotidianamente e alle enormi bugie che a volte vengono dette sulla scena mondiale. In definitiva, è sempre meglio dire la verità.

7. Superintelligenza di Nick Bostrom. Musk ha ripetutamente messo in guardia contro ai pericoli di un’intelligenza artificiale non controllata. “Dobbiamo essere super attenti con l’AI”, ha twittato nel 2014, affermando che è “potenzialmente più pericolosa delle bombe atomiche”. Per scoprire perché questi rischi sono così spaventosi, Musk dice che vale la pena leggere Superintelligenza. Il libro nella lista di lettura di Elon Musk fa un’audace indagine su ciò che accadrebbe se l’intelligenza computazionale superasse l’intelligenza umana.

8. La ricchezza delle Nazioni di Adam Smith. Questo classico è un punto fermo nella lista di Elon Musk, La ricchezza delle Nazioni è un’opera profondamente influente nel regno dell’economia ed esamina proprio come le nazioni diventano ricche, o povere. Adam Smith – di cui Musk è un fan – sostiene che permettendo agli individui di perseguire liberamente il proprio interesse personale, in un mercato libero, senza regolamentazioni governative, le nazioni prospereranno.

9. Radical Candor di Kim Scott. Uno dei fattori fondamentali di Elon Musk per una leadership di successo è il suo incrollabile apprezzamento per il feedback, sia esso positivo o negativo. È un fan del ciclo di feedback, e in un’intervista ha dichiarato che “è molto importante avere un ciclo di feedback, in cui si pensa costantemente a ciò che si è fatto e a come si potrebbe farlo meglio”. Il libro di Kim Scott è una preziosa tabella di marcia per i leader che cercano di costruire relazioni forti con i loro dipendenti. Questo approccio manageriale perspicace svela i segreti per creare un ambiente di lavoro in cui fioriscono grandi idee, gli individui raggiungono il loro pieno potenziale e i dipendenti sono orgogliosi di seguire la guida del proprio capo.

10. Storia delle banche centrali di Stephen Mitford Goodson. Le banche centrali possono provocare guerre e controllano le nostre vite in maniera nascosta, sono entità private sulle quali l’uomo della strada sa molto poco.

Perché i trattori bloccano le piazze?

Perché i trattori bloccano le piazze?

Ogni due giorni in Francia un agricoltore si suicida. Altri abbandonano l’industria.  E in Italia la situazione sta diventando difficile. Dal Mediterraneo alla Normandia, gli allevatori di bovini, pecore, polli e colture stanno manifestando fuori dalle prefetture e scaricano il fieno nei ristoranti fast-food. Lunedì hanno utilizzato trattori e balle di fieno per bloccare le autostrade di accesso a Parigi.  La loro determinazione è incrollabile: “Andremo fino in fondo!”.

La loro rabbia è rivolta a Bruxelles più che a Parigi. I regolamenti dell’UE stanno rendendo la vita degli agricoltori una miseria, e incolpano i burocrati di Parigi per aver applicato le regole con tanto zelo. I loro terreni sono sorvegliati dai droni. ‘Non possiamo nemmeno tagliare le nostre siepi senza permesso’, dicono. Ciò che più di ogni altra cosa fa arrabbiare è che hanno praticato l’agricoltura biologica per molti anni. E per cosa? Guadagnano meno rispetto al passato, ma continuano a subire soprusi e molestie dai burocrati europei e da gli uomini politici che li assecondano.

Anche chi è passato a coltivare cereali, biologici, è disilluso. Dicono che gli sembra di essere più un burocrate che un agricoltore, e che ogni settimana passa ore a compilare moduli e a spuntare caselle.
La rivolta non è limitata alla Francia. In tutta l’Unione Europea, gli agricoltori si stanno sollevando contro ai loro governi e, in particolare, contro a Bruxelles. Gli agricoltori spagnoli hanno annunciato questa settimana che anche loro si uniranno al movimento di protesta a causa della ‘burocrazia soffocante generata dai regolamenti europei’, e anche gli agricoltori belgi si stanno mobilitando. Le manifestazioni sono iniziate in Olanda nell’autunno del 2019, quando più di 2.000 trattori si sono diretti all’Aia. C’era stato un crescente malcontento per i piani di restrizione delle emissioni di azoto, ma il catalizzatore della protesta dei trattori è stata la proposta di un parlamentare di sinistra di dimezzare il numero di capi di bestiame. ‘Gli agricoltori e i coltivatori sono stanchi di essere dipinti come un ‘problema’ che ha bisogno di una ‘soluzione”’, ha detto Dirk Bruins, un portavoce del settore.

In Germania la rabbia è esplosa il mese scorso, quando il governo di Olaf Scholz ha annunciato un piano per eliminare un’agevolazione fiscale sul gasolio agricolo. Quello è stato il punto di rottura per un settore esasperato da un ‘sovraccarico amministrativo’. Cinquemila trattori si sono portati a Berlino per manifestare contro a un governo che, secondo loro, non ha alcun rispetto o comprensione per l’industria agricola.

Le proteste in Romania e Polonia sono contro quella che i loro agricoltori considerano una concorrenza sleale da parte dell’Ucraina. La Russia ha bloccato le esportazioni di grano ucraino via mare verso l’Africa, quindi per aiutare gli agricoltori ucraini, l’UE lo importa senza quote o dazi d’importazione.

Lo stesso risentimento si avverte in Francia. Quando si chiede loro  perché stessero protestando, parlano di due lamentele in particolare: troppa amministrazione e troppa concorrenza sleale da parte dell’Ucraina.

Tuttavia, non è solo la concorrenza ucraina ad aver spinto gli agricoltori francesi a presidiare le barricate. Certi agricoltori che producono un’ampia varietà di verdure, sono battuti da altri Paesi all’interno dell’UE, così come al di fuori di essa. Per esempio i pomodori spagnoli inondano il mercato francese.

Un chilo di pomodori francesi costa 1 euro in più rispetto a un chilo di pomodori coltivati in Spagna, perché gli spagnoli producono di più a un costo inferiore. ‘Non c’è una produzione sufficiente in Francia e c’è una concorrenza sui costi di produzione, ma anche sui differenziali di costo dei salari’, afferma Thierry Pouch, capo economista della Camera dell’Agricoltura francese.

I costi di produzione sono più bassi anche per gli allevatori ucraini di polli e cereali. Inoltre, i metodi di allevamento dell’Ucraina non sono sottoposti agli stessi standard rigorosi degli agricoltori dell’UE. Lo stesso vale per altri agricoltori stranieri con cui l’UE fa affari, come i neozelandesi e i sudamericani.

Tutte queste misure incomprensibili sono legate al Green Deal dell’UE, introdotto nel 2019 dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Il suo obiettivo è che l’UE sia neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050. La Commissione si è vantata di trasformare ‘le sfide climatiche e ambientali in opportunità’ e di rendere così ‘la transizione giusta e inclusiva per tutti’.

Molti agricoltori si erano opposti fin dall’inizio. La Global Farmer Network, un’alleanza di agricoltori di tutto il mondo, ha riassunto il Green Deal come il ‘piano dell’UE per eliminare l’agricoltura moderna in Europa’. Si tratta di un progetto irrealistico, hanno affermato, ideato da burocrati che non conoscono il settore agricolo.

In particolare, hanno criticato la componente ‘Strategic Farm to Fork’ dell’accordo, che dovrebbe promuovere un’alimentazione più sana e sostenibile in Europa entro il 2030. “Nel prossimo decennio, gli agricoltori dovranno dimezzare l’uso di prodotti per la protezione delle colture, ridurre l’applicazione di fertilizzanti del 20% e trasformare un quarto dei terreni agricoli totali in produzione biologica”, ha dichiarato Marcus Holtkötter, un agricoltore tedesco. ‘Niente di tutto questo, ovviamente, dovrebbe disturbare la cena di qualcuno’.

Tra gli altri atti legislativi contenuti nel Green Deal, ci sono le norme sulla riduzione dell’uso di pesticidi, sul miglioramento del benessere degli animali e sull’aumento della quantità di terra lasciata a riposo.

Lasciare i terreni a maggese non è un requisito nuovo. È stato reso obbligatorio nel 1992 come parte della Politica Agricola Comune (PAC), in cambio di un pagamento. È stato sospeso nel 2008 e poi reintrodotto l’anno scorso. Per le aziende agricole con più di dieci ettari, il 4 percento del terreno coltivabile deve essere accantonato o utilizzato per habitat semi-naturali adatti alla biodiversità. Alcuni politici ambientalisti dell’UE vogliono che la percentuale di terreno lasciato a riposo aumenti al 10 percento.

Gli agricoltori denunciano questa imposizione come insostenibile, citandola come un’ulteriore prova che i burocrati di Bruxelles non hanno alcuna stima del loro settore. Un campo incolto non diventa un prato pieno di fiori; si trasforma in una monocultura di erbe che richiede una manutenzione regolare, che costa tempo e fatica, ma senza alcuna ricompensa finanziaria.

Non è così, sostiene François Veillerette, portavoce dell’ONG Générations Futures, che afferma che questi campi incolti saranno ‘utili agli agricoltori’ in futuro.

Veillerette è un attivista ambientale veterano, non un agricoltore. Ho posto la questione dei campi ritirati dalla produzione a un’amica, che gestisce due aziende agricole di cereali nel dipartimento del Loiret. Lo descrive come un’assurdità. ‘Ho 11 ettari, quindi significa che molti terreni rimangono incolti se voglio ottenere delle sovvenzioni’, dice. “Ma che senso ha mettere da parte così tanta terra? Lo scopo dell’agricoltura è produrre, o no?”.

I critici dell’industria agricola francese citano le ricchezze che ricevono in sussidi dalla PAC dell’UE. L’anno scorso è stato versato un totale di 53,7 miliardi di euro, la fetta più grande – 9,5 miliardi di euro – è andata agli agricoltori francesi. I sussidi operativi, pari a 8,4 miliardi di euro, sono distribuiti in base alla quantità di terreno e al numero di capi di bestiame. Il resto, 1,1 miliardi di euro, viene pagato in base a ciò che l’agricoltore produce.

Ma non è così semplice. I sussidi vengono distribuiti agli agricoltori che si conformano alla miriade di regolamenti dell’UE; per molti piccoli agricoltori questi sono impraticabili o impossibili da seguire, quindi non ricevono i sussidi.

Stéphanie ha un profilo insolito per un agricoltore francese. Ha ricevuto un’educazione in istituzioni d’élite e per alcuni anni è stata un’alta dirigente nel mondo aziendale. Ma a quarant’anni è tornata a casa, in campagna, quando suo padre è diventato troppo vecchio per gestire le due aziende agricole della famiglia. Lui è stato un agricoltore per tutta la vita, ma Stéphanie è ora più adatta al lavoro di quanto lo fosse lui, perché l’industria è più legata alle pratiche burocratiche che all’agricoltura. ‘I burocrati francesi ci danno davvero la caccia’, dice. Le regole che siamo costretti a rispettare sono più severe che altrove in Europa’.

Il suo terreno viene anche scansionato da droni per verificare che sia conforme a tutte le nuove direttive ambientali. L’anno scorso le è stato ordinato di ridurre l’utilizzo dell’acqua del 30 percento e Parigi ha anche reso più difficile la certificazione dei suoi raccolti da parte degli agenti di assicurazione delle colture. ‘Essere in regola è diventato un incubo a causa dell’amministrazione’, dice.

La protesta degli agricoltori ha cristallizzato la sensazione nella Francia provinciale che Parigi e Bruxelles vogliano sradicare il loro stile di vita. La deindustrializzazione è stata disastrosa per la Francia rurale e l’agricoltura è l’unica industria rimasta; se questa viene distrutta, cosa rimane della “belle France”? Stéphanie ritiene che la questione possa essere inquadrata come città contro campagna. ‘Le persone che fanno le regole e le attuano non provengono dalla campagna’, dice. “Sono burocrati ignoranti”.

Molti degli uomini e delle donne che bloccano le autostrade dicono di farlo perché ‘non hanno più nulla da perdere’. Stanno lottando per i loro mezzi di sostentamento e per il loro stile di vita.

Questo non è il popolo di Emmanuel Macron. Sei anni fa le province si sono sollevate e hanno marciato verso Parigi con i loro gilet gialli per protestare contro una nuova tassa sul carburante. Il portavoce del Governo Benjamin Griveaux guardò dall’alto in basso queste ‘persone che fumano e guidano auto diesel’ e dichiarò che ‘non sono la Francia del XXI secolo’.

Oh, ma lo sono, che piaccia o no. La domanda ora, non solo in Francia ma in tutta Europa, è: come risponde l’élite politica a questa insurrezione agricola?

La Von der Leyen discuterà della crisi questa settimana in occasione di un vertice del Consiglio Europeo a Bruxelles, con i 27 capi di Stato dell’UE. Anche molti agricoltori europei sono attesi nella capitale belga, e arriveranno con i loro trattori.

 

 

Il film “stupido” di Albanese

Il film “stupido” di Albanese

 

Il film del comico Antonio Albanese “100 domeniche” tocca un grosso problema: quello della gente onesta che perde i propri risparmi perché si è fidata della propria banca. La soluzione proposta da Albanese (sparare al direttore della banca) per quanto suggestiva, non pare essere consigliabile. Bisognerebbe piuttosto andare alla radice del problema. Albanese allude al problema delle “banche venete” e riaffiora la storia delle famose “baciate” che furono spinte per giungere a una capitalizzazione veloce, dopo le gravi minacce europee, assecondate dal duo Renzi-Padoan, che imposero un passaggio da popolari, dopo più di 150 anni, a Società per Azioni, in soli tre mesi.

Le nuove regole del “Bail-In” ovvero che azionisti in primis e obbligazionisti in secundis avrebbero dovuto rimetterci i propri soldi in caso di fallimento bancario, è uno dei tanti “regali” fatti dalla BCE. Prima dell’Euro, una banca più grossa o la Banca d’Italia, sarebbe intervenuta per coprire la corsa agli sportelli. Ma ormai viviamo in un mondo di smemorati.

Matteo Renzi fu Primo ministro, dopo Letta, dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016, con Padoan ministro delle finanze. A Renzi seguì Gentiloni, dal 12 dicembre 2016 al 1 giugno 2018. Dunque, il crack della banche e la fregatura degli operai, come il povero Riva/Albanese, accadde in quel lasso di tempo e non certo per colpa delle dirigenza o della proprietà della nostre banche.

Il protagonista del film pensava che le sue fossero obbligazioni, ma in realtà erano azioni, ma avrebbe perso pure le obbligazioni. Il bail-in entrò in vigore il 1° gennaio 2016 e, secondo quel trattato, il salvataggio delle banche in crisi non avviene con soldi dei contribuenti (bail-out), bensì con risorse interne alla banca (bail-in). In sostanza, in caso di crack bancario, a mettere mano al portafoglio saranno prima gli azionisti della banca, poi gli obbligazionisti e infine i depositanti con liquidità superiore a 100.000 euro.

Quindi, il salvataggio delle banche in difficoltà avviene con soldi di privati, attingendo in modo selettivo da azionisti e creditori e non con denaro pubblico. Chi ha investito in strumenti finanziari rischiosi sostiene prima degli altri le eventuali perdite o la conversione in azioni. E solo dopo aver esaurito tutte le risorse della categoria più rischiosa si può passare alla categoria successiva.

Il lettore dirà, e va bene ma un operaio come Antonio Riva/Antonio Albanese non poteva sapere queste cose…vero, ma finché vi saranno smemorati, come il regista Antonio Albanese, che racconteranno delle storie parziali, senza studiare nulla,  e che voteranno a sinistra, le cose non cambieranno mai.

 

La BCE è una delle peggiori banche centrali del mondo?

La BCE è una delle peggiori banche centrali del mondo?

 

Ci scrive il nostro autore, l’economista Michael Santi: “La Banca Centrale Europea ha appena dichiarato, tramite il suo vicepresidente tedesco, che non si dovrà contare su una diminuzione dei tassi di interesse nel 2024.

Allo stesso tempo, la Federal Reserve statunitense prevede ben 7 tagli, il primo dei quali già nel marzo 2024! Cosa abbiamo fatto per meritarci dei leader così super ortodossi che fanno del loro meglio per minare la poca crescita rimasta in Europa?”.

Ormai è chiaro che l’inflazione nell’eurozona non fosse dovuta a cause monetaria ma al mercato successivo al Covid 19 e agli shock energetici e alimentari dovuti alla guerra in Ucraina. La Lagarde non ha fatto nulla per contenerla, questa è calata per conto suo e il costo del denaro è stata una sciagura che ha messo sul lastrico molta gente.

 

 

Consorzio ZAI, si festeggiano i primi 75 anni di storia

Consorzio ZAI, si festeggiano i primi 75 anni di storia

In una Gran Guardia al completo, si è celebrato stamattina alla presenza viceministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami l’anniversario dell’interporto. Gasparato: «Motore dello sviluppo della nostra città»

Festeggiati oggi alla Gran Guardia i 75 anni del Consorzio Zai, dedicati al servizio di Verona e della sua economia. All’evento hanno partecipato oltre al presidente del Consorzio Matteo Gasparato ed ai membri del consiglio d’amministrazione, il sindaco di Verona Damiano Tommasi, il vice ministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami, la vice-presidente del Consiglio Regionale Elisa De Berti, diversi parlamentari e autorità.

La storia del Consorzio Zai comincia nel 1948, spiega il presidente del Consorzio Zai Matteo Gasparato: «Partito da un’idea innovativa nostri predecessori, è diventato il motore dello sviluppo della nostra città. Ha quindi creato Verona Sud e successivamente è nato l’Interporto ed oggi stiano sviluppando una nuova area che si chiama Area dell’Innovazione Marangona.“

«Oggi – ha continuato Gasparato – il nostro terminale lavora 16 mila treni all’anno, ed è al vertice della classifica italiana degli interporti. A livello immobiliare abbiamo da sviluppare un’area di più di 1 milione di metri quadri che andrà ad integrare un’area di 2 milioni di metri quadri. Abbiamo un terminale ferroviario di oltre 750 metri di lunghezza che non appena il Tunnel del Brennero sarà aperto potrà ospitare i treni che vengono dal nord Europa».

Il sindaco Damiano Tommasi ha sottolineato la lungimiranza «di chi ha pensato a questa modalità di gestione di uno spazio della città mettendolo al servizio delle attività produttive» ed ha definito il Consorzio Zai come fondamentale per rilanciare il ruolo di Verona nei rapporti con il Nord Europa, ruolo da cui deriva una grande responsabilità di gestione.

Il viceministro alle Infrastrutture Galeazzo Bignami ha sottolineato l’eccellenza nazionale del centro Interzonale di Verona, fondamentale per lo sviluppo di tutta l’area.

 

La BCE deve risarcire l’Italia per aver permesso l’assassinio delle Banche Venete

La BCE deve risarcire l’Italia per aver permesso l’assassinio delle Banche Venete

Daniéle Nouy

Di notte, un uomo cerca qualcosa sotto a un lampione. Gli si avvicina uno che lo vuole aiutare e gli chiede: “Che sta cercando?”.

L’uomo risponde: “Cerco una banconota da venti euro che mi è caduta”. La cercano entrambi, ma senza successo. Il nuovo arrivato, chiede: “Esattamente dove l’ha persa?”. E quello gli dice: “Trecento metri più avanti”. “Ah, e perché la cerca qui?”. Stupito, quello gli risponde: “Ma perché qui c’è luce!”.

Questa vecchia storia mi torna in mente pensando al processo per il crac BPVI tenuto a Mestre. Conosco abbastanza bene, dal di dentro, questa tragedia tutta italiana e sono convinto che tutti gli imputati andrebbero assolti, in quanto vittime e non criminali.

Piuttosto, alla sbarra andrebbero portati certi funzionari della BCE, in particolare due donne, completamente incompetenti di economia e, forse, anche l’ex primo ministro Matteo Renzi e l’ex ministro delle finanze Pier Carlo Padoan. Una nota di forte biasimo andrebbe poi inviata al presidente della Regione Veneto, Luca Zaia per aver permesso che gli sfilassero di tasca due gioielli di banche, quali furono la Popolare Vicenza e la Veneto Banca. Avrebbe dovuto urlare “Al ladro!” e poi picchiare i pugni sul tavolo. Fosse successo a un presidente di un Lander tedesco, in condizioni simili, con qualcuna delle sue Genossenschaftsbanken gli urli li avrebbero sentiti sino a Berlino.

Le cose riguardanti la finanza vengono spesso complicate dai gestori di tali attività, a nomina politica e ora questi funzionari innocenti sono essi stessi prigionieri della rete di ragno che si erano costruiti intorno. Non è quindi possibile che dei semplici magistrati possano capire certi sottili dettagli e perciò essi vanno da anni alla ricerca di crimini grazie ai quali possano sbattere in galera delle persone oneste e così placare l’odio di chi ci ha perso parecchi soldi.

Non è facile condensare tanti argomenti nello spazio di un breve articolo per provare la nostra tesi, ma citeremo solo alcuni fatti principali. Per chi voglia saperne di più consigliamo un libro, ormai introvabile, uscito nell’aprile del 2019 a Udine e intitolato Romanzo imPopolare di Cristiano Gatti e Ario Gervasutti e che, nonostante il tono sbarazzino, racconta con estrema precisione tutti i passaggi fondamentali di questo dramma.

Gli attacchi mediatici contro alle due banche venete sono state una cosa vergognosa e immotivata o, forse, motivata da certe losche figure che scommettevano sulla loro morte. In ciò si è distinto il Giornale di Vicenza, che ha pubblicato paginate di pettegolezzi e di dati errati. Nessuna banca, per quanto solida come fu sino alla fine la Popolare di Vicenza, avrebbe potuto reggere a lungo quello tsunami di escrementi. Ma i numeri dicono che, sino alla fine, la Banca Popolare di Vicenza ha mantenuto livelli di solvibilità altissima e aveva del personale dedicato ed efficiente.

Si fa un grande parlare della “baciate” un tipo di finanziamento da sempre adottato dalle Banche Popolari, sia pur con la dovuta cautela e con le dovute regole. Nel caso della Popolare di Vicenza, effettivamente, esagerarono con questo strumento, prendendo dei grossi azzardi per via delle feroci pressioni della BCE di ricapitalizzazione. Si tratta comunque di qualcosa di relativamente limitato: parliamo di 130 milioni spalmati su 1930 soci, che senza gli interventi della BCE (che nulla conoscevano degli statuti delle banche popolari, vera spina dorsale dell’industria italiana negli ultimi 150 anni) sarebbero stati assorbiti.

La bomba atomica sulle banche venete fu lanciata da Matteo Renzi il 20 gennaio 2015, in un Consiglio dei ministri, quando inserì fra le “varie ed eventuali” senza nessuna preliminare discussione, che le banche popolari vengano obbligate a quotarsi in borsa nel giro di 18 mesi. Non tutte, solo quelle con un patrimonio superiore a 8 miliardi.

Si trattò di una azione mirata, perché queste banche erano tre: Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Popolare di Bari. Per la cronaca, l’ultima ancora esiste, perché se ne infischiò del decreto di Renzi, che fu comunque annullato due anni dopo. Cancellarono anche il voto capitario, colonna portante delle banche popolari, dove uno vale uno, indipendentemente dal numero di azioni che detiene. In Italia nessuno ci fece caso, tranne chi se ne intende, come l’economista Stefano Zamagni, il quale scrisse: “A me pare che esista un preciso disegno che punta a eliminare le popolari, non in maniera diretta ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti”. E aggiunse Marco Vitale, un altro economista di valore: “Le pressioni, unite alla tradizionale mancanza di coraggio degli intellettuali italiani, chiusero rapidamente la partita e tutti, o quasi tutti, si ritirano zitti, in buon ordine nel loro banco. Einaudi, Menichella, Mattioli, Baffi si rivoltano nella tomba”.

Nulla da fare: i panzer della BCE si trovarono la strada spianata per distruggere le due venete. Arrivò una lettera di Daniéle Nouy, ora in pensione, una ex bancaria laureata in scienze politiche e in legge, che si trovò a capo della vigilanza della BCE. La gentil signora decise, seduta stante, di cambiare i parametri degli accantonamenti e, dunque, il bilancio della banca che era stato chiuso alla fine del 2014, passò da un surplus di 350 milioni a una perdita di 757 milioni.

Qualche mese dopo, sempre tale signora, insisterà per il fallimento della Popolare di Vicenza, senza alcun motivo logico, s’impuntò e basta, forse fu per via del tradizionale disprezzo per gli italiani che, come i greci, vanno sempre messi in riga. Voleva lo scalpo della banca di Vicenza e furono costretti a fare intervenire il vicepresidente della Banca d’Italia per farle cambiare idea. L’altra funesta dama, responsabile del disastro, anche se in misura minore, è Margrethe Vestager, una ex militante comunista danese, che dal 2014 è Commissario europeo per la concorrenza (oggi è secondo vicepresidente della Commissione Europea).

Da quel momento sarà la BCE, tramite il rappresentante in Italia, Emanuele Gatti a teleguidare la banca. Addirittura Gatti si spinse avanti, al punto di passare a Zonin un foglietto con scribacchiati sopra tre nomi per indicare il nuovo amministratore delegato, in sostituzione del povero Emanuele Sorato, pure lui innocente, mandato a casa per quietare la BCE. Che quel funzionario basato a Milano, laureato in giurisprudenza presso l’Università di Bari, ex Banca d’Italia dal marzo 1992, decida con un foglietto chi è gradito o sgradito alla BCE dovrebbe essere, questo sì, oggetto d’indagine giudiziaria. Gianni Zonin pescò uno di questi “graditi” alla BCE, tal Francesco Iorio, una pessima scelta, proveniva dalla Popolare di Bergamo, laureato in giurisprudenza, con una corso in economia bancaria, il quale guadagnò delle cifre spropositate per il suo intervento, tutto sommato inutile e dannoso. Il Corriere della Sera stimò che durante la sua permanenza, includendo bonus in entrata e in uscita, guadagnò circa 20.000 euro al giorno!

Gianni Zonin nulla sapeva dell’entità di tale baciate e che, comunque, non ne spiegano assolutamente il fallimento, perché la banca è saltata per ben altro. Il processo dovrebbe essere annullato, perché non esiste un reato e gli imputati vanno mandati a casa, con tante scuse. E comunque le pene detentive comminate durante il primo grado, sotto alla pressione del popolo inferocito, erano assurdamente elevate, neanche fossero degli assassini.

Questa azione legale era iniziata la mattina del 22 settembre 2015, con un blitz, teletrasmesso in mondovisione, effettuato dalla Procura di Vicenza, con perquisizioni a Vicenza, Milano, Roma, Palermo, nelle abitazioni e negli uffici dei dirigenti. Si videro agenti uscire con faldoni di carte (ma che speravano di trovarci?) e il Procuratore capo Antonio Cappelleri dichiarò ottimisticamente che: “Conto su un’indagine veloce che entro un mese stabilisca le eventuali responsabilità delle persone coinvolte…”. Entro un mese!

Chi ha perso soldi andrebbe pienamente risarcito dalla Banca d’Italia, che si mostrò impotente davanti alle prepotenze della BCE e dai loro giannizzeri calati da nord. La Banca d’Italia dovrebbe poi chiedere un rimborso alla BCE, per via della loro evidente e criminale mala gestio di queste due gloriose banche.

Angelo Paratico

 

Ed è solo l’inizio dei guai per il sistema bancario svizzero

Ed è solo l’inizio dei guai per il sistema bancario svizzero

 

IL CONTO DEL SALVATAGGIO DI CREDIT SUISSE? 30MILA LAVORATORI A CASA – SECONDO LA STAMPA ELVETICA, LA FUSIONE TRA UBS E LA BANCA RIVALE FINITA SULL’ORLO DEL FALLIMENTO PORTERÀ AL TAGLIO DEL 30% DEI POSTI DI LAVORO TOTALI DEL NUOVO GRUPPO – NEL FRATTEMPO, MOLTI DIPENDENTI DI CREDIT SUISSE SONO “SCAPPATI” E SI SONO GIÀ ACCASATI PRESSO ALTRI ISTITUTI, PORTANDOSI DIETRO I DEPOSITI CONSISTENTI DEI CLIENTI.

Questo è il cappello dell’articolo pubblicato da Dagospia. In realtà questo pare solo l’inizio, anche perché a causa dei colossali errori fatti dalla BNS negli ultimi anni, la Banca Centrale Svizzera, il prestatore di ultima istanza svizzero, non potrà intervenire.

Dunque, guai in vista per il personale di CS e UBS, come prima conseguenza della fusione tra Ubs e Credit Suisse. Resasi necessaria il 19 marzo scorso, per evitare il fallimento della seconda delle due banche. La notizia non è stata smentita né da UBS né dai sindacati dei bancari. In aprile l’amministratore delegato, Sergio Ermotti, aveva comunque preannunciato «cambiamenti e decisioni difficili », promettendo di trattare tutti i dipendenti di Credit Suisse e UBS in modo equo.