La BBC mette a capo della squadra anti fake news una giornalista che ha falsificato il proprio CV

La BBC mette a capo della squadra anti fake news una giornalista che ha falsificato il proprio CV

Marianna Spring

 

 

Oh, cielo. Le cose potrebbero andare di male in peggio per la neonata “BBC Verify” lanciata per combattere la piaga delle fake news. Il servizio di fact-checking è già stato criticato per non aver individuato le gaffe della BBC, come il servizio sbagliato su Nigel Farage e Coutts. Ora, però, sembra che il reporter di punta del servizio si trovi in un mare di guai.

Secondo il New European, Marianna Spring, corrispondente della BBC contro la disinformazione (Fake News), sarebbe stata sorpresa ad abbellire il proprio CV quando fece la sua domanda di lavoro nel 2018. Il giornale sostiene che cinque anni fa la Spring voleva lavorare come corrispondente da Mosca per l’outlet statunitense “Coda Story” e scrisse sul suo curriculum:

‘Giugno 2018: Ha lavorato a notizie internazionali durante la Coppa del Mondo, in particolare sulla percezione della Russia, con la corrispondente della BBC Sarah Rainsford”.

Ma, stando a quanto riportato da NE, la cosa andò a monte quando Coda Story verificò con la Rainsford e scoprì che i due si erano incontrati solo un paio di volte per un drink. Il New European afferma di aver visto le e-mail di Spring che insisteva sul fatto che fosse una “brillante reporter” e si scusava per l’errore:

Mi sono solo imbattuta in Sarah mentre lavorava e ho chiacchierato con lei in vari momenti, ma niente di più. Tutto il resto del mio CV è completamente vero…Ma non ci sono assolutamente scuse e mi dispiace molto… L’unica spiegazione è la mia disperazione di mandare rapporti a Mosca e il fatto di pensare che non sarebbe stato un grosso problema, il che è stato totalmente ingenuo e stupido da parte mia. Mi dispiace ancora una volta per questo mio terribile errore di valutazione.

A quanto pare, la cosa non è piaciuta al capo redattore di Coda Story che rispose:

Raccontarmi  che sei un brillante reporter che esercita l’integrità e l’onestà quando hai letteralmente dimostrato il contrario è stata una pessima idea.

Amen, indiscrezioni passate, ma la situazione sembra piuttosto imbarazzante per la BBC, che aveva deciso di fare della Spring la star della sua campagna contro la disinformazione e la conduttrice dell’omonimo podcast “Marianna in Conspiracyland“, nel quale ci si chiede “Che fine hanno fatto le persone che sono cadute nella tana del coniglio in un mondo di teorie cospirative?”. E poi, solo questa settimana la Spring è stata oggetto di un profilo adorante sul Guardian che la pone ancora una volta al centro degli sforzi contro la disinformazione della BBC. Forse Verify dovrà iniziare a indagare sui suoi stessi giornalisti…

La BBC ha rifiutato di commentare questa storia.

 

(Fonte: Spectator)

Maurizio Gioco il prossimo 15 settembre a San Rocco di Quinzano. Adulti e bambini saranno i benvenuti!

Maurizio Gioco il prossimo 15 settembre a San Rocco di Quinzano. Adulti e bambini saranno i benvenuti!

Maurizio Gioco è un artista, scrittore, poeta e burattinaio, nato a Verona nel 1959.
Inizia ad occuparsi di sperimentazione artistica negli anni ‘80 utilizzando la Fotografia e la Copy Art. Successivamente intraprende esperienze legate alla pittura mantenendo però un rapporto con la tecnologia, in particolare con la video-art, e partecipando sin dagli anni ‘90 a importanti festival nazionali. In quegli anni conduce numerosi laboratori creativi con bambini sviluppando in loro principalmente il dialogo tra movimento corporeo e creatività. Queste esperienze lo hanno condizionato e portato ad approfondire e sintetizzare nella forma teatrale l’esperienza artistica, sia come “progettazione-creazione” dell’oggetto, sia come performance-rappresentazione.
I suoi spettacoli sono celebri in tutto il mondo, di recente è stato invitato a una università americana per una presentazione.
Il teatro d’oggetto e il teatro di figura sono stati i naturali contenitori per la sua espressione creativa perché la sintetizzano mediante l’uso dell’aspetto narrativo (anche autobiografico) e perché trova che nell’animazione dell’oggetto si verifichi una forma di “vita” dell’opera artistica che prende talvolta strade “magiche e inaspettate”, creando con gli spettatori un dialogo empatico ed emotivo molto intenso. Negli ultimi anni ha affiancato al suo lavoro, una ricerca anche nella scrittura, ponendosi come obiettivo di verificare la possibilità di sperimentare nuove drammaturgie per il teatro dei burattini.
Sta preparando uno spettacolo dedicato a SOGNO VENEZIANO, l’opera mai scritta da Giacomo Puccuini, nel centenario dalla sua morte.
Non mancate, 15 settembre 2023, ore 21. INGRESSO LIBERO sino all’esaurimento dei posti.
Una coppia reale egizia al Louvre di Parigi

Una coppia reale egizia al Louvre di Parigi

Durante una recente visita alla sala egizia del Museo del Louvre, mi ha colpito la bellezza di statuina, rappresentante Nefertiti con il consorte, Akhenaton.

Il faraone sta in piedi, con perizoma plissettato con fronte, corona blu, uraeus, collana ousekh, sandali e tiene per mano la regina anche lei in piedi, abito lungo plissettato, corona di Amarna, collana ousekh, orecchini e sandali. Questa meravigliosa coppia fu donata del filantropo americano, Athernon Curtis, nel 1910 e da sua moglie.

 La coppia è alta 22,4 cm; larghezza: 11,2 cm; profondità: 9.8 cm. di calcare colorato.
Dietro si vedono dei cartigli, con Amenhotep IV Akhenaton (1352 a.C. – 1335 a.C.). Mi hanno colpito anche i grossolani errori contenuti nella targhetta posta dal Museo (rigorosamente solo in francese). Il luogo di scoperta della statuina è stato a Tell el-Amarna. Scattando delle foto mi sono tenuto i riferimenti e delle immagini.

STORIA DELLA MOSTRA

ANTHONY LAWRENCE ~ L’UOMO CHE SUSSURRAVA AGLI ELEFANTI. UNA STORIA COMMOVENTE

ANTHONY LAWRENCE ~ L’UOMO CHE SUSSURRAVA AGLI ELEFANTI. UNA STORIA COMMOVENTE

 

Lawrence Anthony, nato il 17 settembre 1950, morto il 2 marzo 2012, è stato un ambientalista sudafricano, noto come “l’uomo che sussurra agli elefanti”. Nel suo paese natale, il Sudafrica. Quella di Anthony è stata una figura chiave nel promuovere il concetto di unire le terre tribali alle riserve di caccia per dare alle comunità tribali remote un interesse nella conservazione. Oltre a creare due nuove riserve di caccia africane, ha gestito una riserva privata di sua proprietà dove ha acquisito il suo soprannome dopo aver salvato un branco di elefanti ribelli destinati alla fucilazione.

Lawrence Anthony è nato a Johannesburg, dove suo nonno, un minatore di Berwick-upon-Tweed, era emigrato negli anni ’20 per lavorare nelle miniere d’oro. Suo padre fondò un’impresa di assicurazioni e, mentre apriva nuovi uffici in tutta l’Africa meridionale, Lawrence venne cresciuto in una serie di piccole città della Rhodesia rurale, dello Zambia, del Malawi e infine dello Zululand, in Sudafrica. Anthony seguì il padre nel settore assicurativo e in seguito lavorò nello sviluppo immobiliare. Ma il suo cuore è sempre rimasto nella savana africana che aveva amato da bambino. Si impegnò a lavorare con le tribù Zulu per cercare di ricostruire il loro rapporto storico con la savana e a metà degli anni ’90 decise di trasformare il suo hobby in una carriera, acquistando la riserva di caccia Thula Thula di 5.000 acri nel KwaZulu-Natal. In seguito ha fondato la Earth Organisation, un gruppo di conservazione che incoraggia un’azione pragmatica a livello locale, ed è stato determinante per la creazione di due nuove riserve, la Royal Zulu Biosphere nello Zululand e la Mayibuye Game Reserve nel Kwa Ximba, che danno lavoro e reddito alle popolazioni locali grazie al turismo, contribuendo al contempo a garantire il futuro della fauna selvatica della regione da uno sviluppo strisciante.

Gli elefanti non hanno mai fatto parte dei piani di Anthony per Thula Thula, ma nel 1999 fu chiamato da un’organizzazione per la conservazione della natura che gli chiese se fosse disposto a prendersi cura di un branco di nove animali che erano fuggiti da tutti i recinti in cui erano stati rinchiusi, creando scompiglio in tutto il KwaZulu-Natal ed erano considerati altamente pericolosi. Consapevole che gli elefanti sarebbero stati abbattuti se avesse rifiutato, Anthony accettò di dare loro una casa. “Erano un gruppo difficile, senza dubbio”, ha ricordato. “Erano tutti delinquenti. Ma potevo vedere anche molto di buono in loro. Avevano passato un periodo difficile ed erano tutti spaventati, eppure si prendevano cura l’uno dell’altro, cercando di proteggersi a vicenda”.

Anthony decise di trattare gli elefanti come se fossero dei bambini disubbidienti, lavorando per convincerli, con parole e gesti, che non dovevano comportarsi male e che potevano fidarsi di lui. Concentrò la sua attenzione su Nana, la matriarca del branco: “Andavo giù al recinto e pregavo Nana di non romperlo”, racconta. “Sapevo che non capiva l’inglese, ma speravo che capisse dal tono della mia voce e dal linguaggio del mio corpo quello che stavo dicendo”. E una mattina, invece di cercare di abbattere la recinzione, è rimasta lì. Poi ha attraversato la recinzione con la proboscide e si è diretta verso di me. Sapevo che voleva toccarmi. Quello fu un punto di svolta”. Presto fu permesso loro di uscire nella riserva.

Anthony e sua moglie, Françoise, si avvicinarono così tanto agli elefanti che in alcune occasioni dovettero quasi scacciarli dal loro salotto. Alcuni giorni dopo aver dato alla luce un figlio, Nana uscì dalla boscaglia per mostrare il neonato al suo amico umano. Qualche anno dopo, dopo la nascita del primo nipote, Anthony ricambiò il complimento, anche se ricorda che passò del tempo prima che la nuora gli rivolgesse nuovamente la parola.

Anthony balzò agli onori della cronaca nel 2003 quando è arrivato a Baghdad, devastata dalla guerra, per salvare gli animali dello zoo di Saddam Hussein.Nel 2003, mentre Anthony guardava le immagini televisive dei bombardamenti su Baghdad, ricordò di aver letto che la città aveva il più grande zoo del Medio Oriente: “Non potevo sopportare il pensiero che gli animali morissero nelle loro gabbie. Contattai gli americani e gli inglesi e chiesi: “Avete dei piani di emergenza? Nessuno era interessato”.

Nel giro di pochi giorni era al confine tra Kuwait e Iraq, a bordo di un’auto a noleggio carica di forniture veterinarie. Gli americani si rifiutarono di lasciarlo passare, ma le guardie di frontiera kuwaitiane glielo permisero e, insieme a due operatori zoologici kuwaitiani, Anthony si unì ai carri armati e ai convogli diretti a Baghdad. Quando arrivò a destinazione, tra le rovine del parco al-Zawra, un tempo maestoso, trovò una “storia dell’orrore”. Incontrando un Husham Hussan in lacrime, il vicedirettore dello zoo, Anthony fu inizialmente tentato di rinunciare. Nuvole di mosche brulicavano sulle carcasse degli animali morti. Babbuini e scimmie correvano liberi, mentre pappagalli, falchi e altri uccelli in fuga volteggiavano sopra la testa. Alcuni leoni erano fuggiti; un orso aveva ucciso alcuni saccheggiatori. Gli animali sopravvissuti, tra cui leoni, tigri e un orso bruno iracheno, erano affamati e profondamente traumatizzati. Non c’era cibo né acqua.

Con un manipolo di aiutanti, Anthony iniziò l’urgente lavoro di salvataggio degli animali sopravvissuti. Con le infrastrutture della città distrutte, l’acqua doveva essere trascinata con un secchio da un canale stagnante, mentre gli asini fornivano la carne per i carnivori. “Andavamo a comprare gli asini per strada e l’asino aveva sempre un carretto, quindi i ragazzi non vendevano l’asino senza il carretto”, ha ricordato. “Penso ancora a come abbiamo lasciato quei carretti in giro per Baghdad”.

Nel giro di poche settimane i soldati americani e anche quelli iracheni posarono le armi e si misero al lavoro: “Avevamo soldati della Guardia Repubblicana che lavoravano con le truppe americane nello zoo due settimane dopo che si stavano uccidendo a vicenda sul campo di battaglia”, ha ricordato Anthony. I mullah locali istruirono i loro seguaci affinché Anthony e la sua squadra fossero lasciati indisturbati. Lavorò a Baghdad per sei mesi, durante i quali trasformò il destino dello zoo. Quando se ne andò, gli animali sopravvissuti erano sani, le gabbie pulite e lo zoo era di nuovo un’attività redditizia.

Anthony ha ricevuto la medaglia della Giornata della Terra dalle Nazioni Unite per il suo lavoro ed è stato decorato con la medaglia reggimentale della 3a Divisione di Fanteria dell’esercito degli Stati Uniti per il suo coraggio. Ha raccontato la sua storia in Babylon’s Ark (2007, scritto insieme a Graham Spence). Quando uno studio di produzione di Los Angeles annunciò di aver commissionato un importante film hollywoodiano sul salvataggio dello zoo di Baghdad, il burbero e barbuto Anthony suggerì di chiedere a Brad Pitt – “una buona somiglianza” – di interpretare il suo ruolo.

Baghdad non è stata l’unica esperienza di Anthony nel lavorare in zone di guerra. Nel 2006 ha convinto i leader dell’Esercito di Resistenza del Signore (LRA), coinvolto in una sanguinosa lotta con il governo ugandese da oltre vent’anni, ad aderire a un progetto di conservazione per salvare il rinoceronte bianco settentrionale, uno degli animali più rari al mondo. L’LRA, nota per l’uso di bambini soldato e accusata di numerose atrocità, aveva stabilito una roccaforte nel Parco Nazionale di Garamba, nella Repubblica Democratica del Congo, dove vivono gli ultimi quattro esemplari di questa specie in libertà.

Subito dopo la sua morte, le sue amate mandrie di elefanti vennero a casa sua per dirgli addio.

Per 12 ore, due branchi di elefanti selvatici sudafricani si sono fatti lentamente strada nel bush dello Zululand fino a raggiungere la casa dello scrittore Lawrence Anthony, l’ambientalista che aveva salvato loro la vita. Gli elefanti, un tempo violenti e ribelli, destinati a essere abbattuti qualche anno fa come parassiti, sono stati salvati e riabilitati da Anthony. Per due giorni le mandrie si sono fermate nella tenuta rurale di Anthony, nella vasta riserva di caccia Thula Thula, nel KwaZulu sudafricano, per dire addio all’uomo che amavano. Ma come facevano a sapere che era morto? Noto per la sua capacità unica di calmare gli elefanti traumatizzati, Anthony era diventato una leggenda. È autore di tre libri: Babylon Ark, che racconta i suoi sforzi per salvare gli animali dello zoo di Baghdad durante la guerra in Iraq, il prossimo The Last Rhinos e il bestseller The Elephant Whisperer. A Thula Thula ci sono due branchi di elefanti.

Secondo il figlio Dylan, entrambi sono arrivati nella casa della famiglia Anthony poco dopo la sua morte. “Non visitavano la casa da un anno e mezzo e devono averci messo circa 12 ore per fare il viaggio”, dice Dylan in diversi resoconti giornalistici locali. “La prima mandria è arrivata domenica e la seconda un giorno dopo. Sono rimasti in giro per circa due giorni prima di tornare nella savana”.

“Gli elefanti sono noti perché  piangono i loro morti. In India, i cuccioli di elefante vengono spesso cresciuti con un ragazzo che sarà il loro “mahout” per tutta la vita. La coppia sviluppa un legame leggendario e non è raro che quando uno dei due si spegne,  l’altro non voglia più vivere.

 

Angelo Paratico

Viaggio lampo di papa Francesco in Mongolia, perché ci va?

Viaggio lampo di papa Francesco in Mongolia, perché ci va?

La domanda che ci poniamo è perché il papa vada in Mongolia, dato che egli severamente proibisce il proselitismo cattolico. Ci va per turismo? Non credo, perché è piuttosto acciaccato dal punto di vista fisico, e non potrà certo godersi lo spettacolo. Pensiamo che ci vada per esercitare la propria sempre più invasiva “power-politics” bergogliesca, come si fosse un presidente dell’ONU o della NATO. Cristo e il Vangelo, di solito, non sono nell’agenda di questo papa.

Papa Francesco sarà in Mongolia dal 31 agosto al 4 settembre. E sfrutterà l’occasione per inaugurare la “Casa della Misericordia”. Motto del viaggio sarà “Sperare insieme”, forse questa sua speranza riguarda il cambiamento climatico causato dall’uomo e i diritti degli LGBTQ+.

Il programma pare che sarà questo: “Il 31 agosto partirà, di sera, e arriverà la mattina dopo a Ulanbaatar. Dopo l’accoglienza ufficiale la giornata sarà dedicata al riposo. L’attività comincerà il 2 settembre, con la cerimonia di Benvenuto, la visita di cortesia al presidente nel Palazzo di Stato, e poi il consueto incontro con autorità, società civile e corpo diplomatico, dove il Papa terrà il suo primo discorso. Dopo il discorso, il Papa incontrerà il presidente del Grande Hural di Stato e quindi il Primo ministro. Nel pomeriggio, alle 16, un altro incontro: quello con vescovi, sacerdoti, missionari, consacrati, consacrate e operatori pastorali nella Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo. Lì udiremo il secondo discorso. Il 3 settembre, alle 10,  avverrà l’incontro ecumenico e interreligioso all’Hun Theatre, dove il Papa terrà il suo ultimo discorso, e nel pomeriggio la Messa nella Steppe Arena”.

La Mongolia teme grandemente le mire espansionistiche della Cina popolare ed è uno stretto  alleato della Russia. Il nostro Angelo Paratico aveva pubblicato un romanzo storico ambientato in Mongolia, assai accurato per quanto riguarda le vicende dei suoi ultimi mille anni e veritiero al duecento per cento, approfittiamo dell’interesse sollevato dalla visita papale per consigliare la sua lettura a chi ci segue. Ripostiamo qui sotto una recensione al suo libro, uscita sul blod del Corriere della Sera, la Nostra Storia di Dino Messina, nel 2020.

Ambrogio Bianchi

 

Oggi (01/09/2023) ha trovato il tempo per inviare un messaggio al Presidente XI JINPING

(ANSA) – “Invio auguri di buoni auspici a Sua Eccellenza e al popolo cinese mentre attraverso lo spazio aereo del suo Paese in rotta verso la Mongolia. Assicurandovi la mia preghiera per il benessere della Nazione, invoco su tutti voi le benedizioni divine dell’unità e della pace”.

 

 

1 AGOSTO 2020 | di Ambrogio Bianchi

Il genocidio dei mongoli è poco conosciuto, eppure centinaia di migliaia d’innocenti vennero trucidati dai bolscevichi russi, affiancati dai loro complici mongoli. Ciò avvenne a partire dalla morte della massima autorità religiosa e politica del Paese, il Bogd Khan, conosciuto come il Budda Vivente, avvenuta il 17 aprile 1924. L’ultimo libro di Angelo Paratico, intitolato “Una Feroce Compassione” e pubblicato dall’editore Gingko di Verona ripercorre quegli avvenimenti, intrecciandoli con la vicenda di un ufficiale italiano che partecipò alla nostra spedizione armata, a Pechino, del 1900, stabilendosi poi a Macao e a Hong Kong.

La narrazione inizia con l’intervento del Barone Pazzo, l’austriaco Roman von Ungern-Sternberg (1886-1921) che, a capo di un piccolo esercito personale, composto essenzialmente da russi bianchi e di altre nazionalità, il 4 febbraio 1921 occupò Urga, la capitale della Mongolia, massacrandovi la guarnigione cinese. Nativo di Graz, in Austria, Unger-Sternberg condivideva alcuni tratti del suo carattere con il suo più celebre connazionale, Adolf Hitler. Credeva di essere la reincarnazione di Jamsaran, il dio tibetano della guerra. Per eliminarlo, alcune unità dell’esercito sovietico invasero la Mongolia e presero Urga il 6 luglio 1921. Il Barone Pazzo tentò di ritirarsi in Tibet, ma fu catturato e poi fucilato, il 15 settembre 1921. Fu grazie al principio della eterogenesi dei fini, ovvero grazie all’intervento del Barone Pazzo e della successiva invasione sovietica per eliminarlo, che la Mongolia oggi non fa parte della Repubblica Popolare Cinese. Questa resta una grossa perdita territoriale per la Cina, considerando che ha una superficie cinque volte maggiore dell’Italia e una popolazione di soli tre milioni e trecentomila abitanti, con un sottosuolo ricchissimo di minerali.

Il Bogd Khan era nato in Tibet, e fin dall’infanzia era stato riconosciuto come una reincarnazione dei suoi predecessori e posto sul trono della Mongolia nel 1911, quando i mongoli conquistarono l’indipendenza dalla Cina. Dopo che il Barone Pazzo venne fucilato, i bolscevichi accordarono solenni garanzie d’indipendenza alla Mongolia, promettendo di rispettare gli accordi che avevano sottoscritto a Kiakhta, ma quasi subito cominciarono a frapporre ostacoli tra il Budda vivente e i suoi sudditi. Dopo essersi sbarazzati del Bogd Khan, che forse avvelenarono, i bolscevichi diedero inizio al genocidio mongolo, radendo al suolo più di cinquecento monasteri, bruciando antiche biblioteche dedicate allo studio del pensiero buddista, fucilando migliaia di lama, distruggendo preziose opere d’arte sacra. Fu in quell’occasione che il vessillo spirituale di Gengis Khan, noto come Khara Sulde – un tridente d’acciaio, con degli anelli d’argento che portavano intrecciata la criniera nera del suo cavallo da guerra – scomparve per sempre dal monastero di Shankh a Ovorkhangai Aimag, nella Mongolia occidentale. Gli antichi mongoli, prima di abbracciare il buddismo tibetano, erano degli animisti e credevano che in quel tridente risiedesse l’anima di Gengis Khan e che il suo possesso garantisse il controllo del mondo intero. Anche Heinrich Himmler cercò di entrane in possesso, seguendo le indicazioni ricevute da Sven Hedin, il famoso esploratore svedese e ammiratore di Hitler e del nazismo. Questa è una leggenda che ricorda quella che circonda la lancia di Longino, conservata a Vienna e che fu sottratta da Hitler durante l’Anschluss del 1938.

I sovietici temevano la rinascita dello spirito d’indipendenza mongolo e portarono a compimento delle feroci purghe, anche di quei mongoli comunisti che non credevano abbastanza zelanti nel voler fare tabula rasa del passato e delle tradizioni. Solo quelle del 1937 portarono alla morte circa trentamila persone. La Mongolia si trasformò in uno stato che ricorda il libro “1984” di Orwell, o l’occupazione della Cambogia da parte dei Khmer Rossi, raggiungendo livelli di psicosi mai visti in precedenza. Basti come esempio ciò che accadde nel 1962, a Tomor-ochir, vicepresidente del Consiglio dei ministri mongolo, che incautamente approvò l’emissione di una serie di francobolli per commemorare gli ottocento anni dalla nascita di Gengis Khan e la costruzione di un piccolo monumento a lui dedicato. Questo causò una sanguinosa epurazione di accademici  e storici che avevano appoggiato quel piano. Lo stesso Primo ministro fu improvvisamente destituito e mandato a lavorare in una fabbrica, come accadde a Dubcek in Cecoslovacchia. Un giorno lo trovarono morto, con la testa spaccata da un colpo d’ascia, ma i suoi assassini non vennero mai trovati.

Dopo l’invasione giapponese della Manciuria nel 1931, anche il Giappone mise gli occhi sulla Mongolia, invadendola nel 1939, ma vennero pesantemente battuti. Si dice che  anche loro avessero formato un plotone di storici in divisa, incaricati di trovare il famoso tridente d’acciaio di Gengis Khan e poi portarlo a Tokyo. Ma non trovarono mai traccia della portentosa reliquia.

 

Ambrogio Bianchi

 

 

 

Un mio libro che, forse, verrà apprezzato fra 50 anni, o giù di lì…

Un mio libro che, forse, verrà apprezzato fra 50 anni, o giù di lì…

Questo libro, che, a differenza dei miei altri, non è stato apprezzato, né capito, forse un giorno verrà capito e apprezzato. Questo è un pensiero un poco vano e puerile, ma che mi conforta e mi fa credere che non abbia buttato tutto il tempo che mi è costato.

Ci avevo lavorato per anni, con grande impegno e svolgendo ampie ricerche storiche, quando abitavo a Hong Kong. Ma si tratta di poesia in forma di romanzo. Lo scrissi in inglese e uscì a Tempe, in Arizona, presso a una piccola casa editrice, sotto al titolo di The Dew of Heaven. La casa editrice era la Cactus Moon, che oggi non esiste più. Dunque, questa edizione in italiano è una traduzione, con modifiche, fatta da me.

Quando mi chiedono se mi manca la Hong Kong nella quale ho vissuto per quasi 40 anni, provando tanti momenti felici e anche tristi, rispondo di no, non mi manca. E, questo, indipendentemente dal fatto che quella città sia molto mutata.

In realtà non mi manca perché l’uomo che sono stato resta imprigionato in questo romanzo, come dentro una gabbia. Vive lì dentro nuovi tramonti e nuove albe, nuove primavere e nuovi autunni.

Angelo Paratico

 

 

 

Non sapevo di aver studiato per 5 anni in un edificio “brutalista”

Non sapevo di aver studiato per 5 anni in un edificio “brutalista”


Il Brutalismo è una corrente architettonica caratterizzata dai materiali che vengono lasciati a nudo, questa è una tendenza architettonica sviluppatasi nel dopoguerra.

Il primo epicentro per la formulazione dei principi brutalisti fu il Regno Unito. Gli edifici dovevano essere lasciati a nudo nell’oggettività dei loro materiali; cemento, vetro, mattoni, acciaio, e dovevano essere assemblati senza alcuna mediazione formale, con gli artifizi tecnici che dovevano essere lasciati in bella vista, tiranti, colonne, cerniere.  La prima ondata di ricerca brutalista condividerà infatti sia il periodo storico che le idee con i dipinti informali di Jackson Pollock e i sentimenti anti-artistici dell’art brut di Jean Dubuffet, ma soprattutto con quelle riflessioni sulla società del dopoguerra posta tra urbanizzazione, produzione e consumo di massa, automatizzazione e che apriranno la strada alla Pop Art, attraverso le opere come “Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?” (1956) di Richard Hamilton o la mostra “This is tomorrow” alla Whitechapel Gallery di Londra (1956). Alison e Peter Smithson furono di fatto le figure più rilevanti del brutalismo britannico.

Sembrerà un po’ assurdo ma questi movimenti artistici avevano una forte base trotzkista, volta a far apparire l’arte sovietica antiquata e rivolta al passato. I suoi padrini, tutti rigorosamente “liberal” erano filo trotzkisti celati nella amministrazione governativa statunitense.

Con il progredire della storia dell’architettura e l’espansione della nozione di scala globale, il termine “brutalismo” è stato sempre più collegato a una estetica caratterizzata da un uso massiccio del cemento a vista (béton brut) nel suo potenziale di potenza, di definizione dei volumi tettonici, tendenti alla monumentalità scultorea.

La mia scuola superiore, per 5 anni, fu un imponente edificio brutalista alle porte di Busto Arsizio, nel territorio di Castellanza, che fu inaugurata nel 1965. Gli architetti furono  Enrico Castiglioni e Carlo Fontana e tale Istituto tecnico statale industriale fu intitolato a Cipriano Facchinetti (1889-1952). Nato a Campobasso, deputato prima dell’avvento del fascismo e senatore dopo la guerra, padre costituente, presidente dell’aeroporto di Malpensa e grosso massone, appartenente al Grande Oriente d’Italia.

L’edificio,  inaugurato nel 1965, non era certo fatto per ispirare confidenza o fratellanza, con tutti quegli spigoli vivi. In effetti lo ricordo per tutto quello che feci fuori di lì, piuttosto che dentro lì, e ancor oggi mi fa tornare in mente i “falansteri” sognati dal Fourier e “1984” di George Orwell

Angelo Paratico

Un successo il convegno sul turismo ricettivo. Grande entusiasmo per il Ministro Santanchè

Un successo il convegno sul turismo ricettivo. Grande entusiasmo per il Ministro Santanchè

 

 

L’appuntamento tenutosi alla Gran Guardia promosso da Italy Discovery.

Notevole successo, sia come presenza di pubblico sia come partecipazione di relatori qualificati del settore, ha riscontrato il convegno internazionale ospitato  per due giorni alla Gran Guardia di Verona sul tema:  ” La campagna italiana: straordinaria risorsa per il turismo ricettivo”. Appuntamento promosso da Italy Discovery, introdotto dal responsabile del progetto “ Italy Discovery & Countryside” Roberto Perticone, che ha visto tra gli altri la presenza del Ministro del Turismo Daniela Santanchè la quale ha sottolineato come “ questo è uno dei segmenti del settore sul quale possiamo investire perché può darci grandi soddisfazioni, considerato che dobbiamo diversificare dalle destinazioni turistiche classiche a quelle appunto rurali che poi comprendono anche i piccoli borghi che in Italia sono 5.600 offrendo peraltro  il 90% delle eccellenze del settore enogastronomico”. Tra gli intervenuti l’assessore al turismo del Comune di Verona, Marta Ugolini e il sottosegretario all’Istruzione on. Paola Frassinetti, l’assessore regionale Elena Donazzan, l’on. Matteo Gelmetti, l’amministratore delegato di Enit Ivana Jelinic, il vice presidente della Camera di Commercio di Verona, Paolo Tosi, il presidente del gruppo giovani imprenditori di Confindustria Veneto Marco Dalla Bernardina, il ristoratore veronese e componente del gruppo di lavoro della Fisped onlus Antonio Leone e Leopoldo Ramponi per l’Associazione dei Ristoratori Veneto HoRe.Ca.

Un saluto è quindi giunto dal Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Ministro Urso e dal Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Tra le sessioni previste nell’ambito del convegno, anche quella delle associazioni Italiani nel Mondo a sostegno del progetto “ Italy Discovery” che hanno affrontato in particolare il tema dei percorsi territoriali di campagna quale risorsa inestimabile del turismo della radici. “ Il convegno ha ottenuto un grande successo in quanto è stato un felice incontro tra esperienze diverse tra le varie tipologie del mondo del turismo e le associazioni degli immigrati”, commenta il consigliere comunale di Verona di Fratelli d’Italia, Massimo Mariotti. Con l’obiettivo “di recuperare i valori culturali, artistici, architettonici ed anche ovviamente enogastronomici, il ritorno in patria di molti italiani che risiedono all’estero che potrebbero magari cogliere l’occasione per ristabilirsi nel nostro Paese”. Per Gianlugi Ferretti, membro del CGIE, “ di questi due giorni intensi tenutisi alla Gran Guardia ho apprezzato in maniera particolare la professionalità. Finalmente il turismo delle radici è stato affrontato da relatori di altissimo livello, ma questa è stata solo la prima tappa per cui nei prossimi appuntamenti si affronteranno nello specifico come poi concretizzare le idee che sono uscite dal convegno”.

Soddisfatto anche Luciano Corsi, presidente dell’associazione “Veronesi  nel Mondo”, auspicando che “ ogni Regione possa replicare  appuntamenti come quelli tenuti a Verona. E’ chiaro però che bisognerà lavorare anche per far conoscere località poco conosciute che finora non hanno avuto riscontri sotto il profilo mediatico e che invece meriterebbero maggior attenzione da parte dei turisti”.

Per Francesco Alfieri, rappresentante nel Liechtenstein  delle associazioni straniere presenti sul territorio, “Oggi  è emerso in maniera chiara che il turismo è una parte integrante dell’opera svolta dagli italiani nel mondo, perché, per un fattore  emozionale ma anche culturale e conoscitivo,  promuove all’estero l’interesse verso l’Italia deve essere un obiettivo primario. Io dico che dovrebbe anche sorgere  un interesse per  i corsi di lingua e cultura italiana, per  le nuove generazioni, perché, così facendo, sensibilizziamo gli oriundi nati  all’estero a scoprire la storia e le tradizioni della nostra Italia”.

Il sorgere del pensiero Politicamente Corretto

Il sorgere del pensiero Politicamente Corretto

 

A partire dagli anni 1990, è avvenuto un importante cambiamento all’interno delle democrazie occidentali industrializzate. Si tratta di un cambiamento che viene ora riconosciuto da molte persone, tante volte criticato, e spesso considerato divertente. Altrettante persone tendono a negare ciò che sta avvenendo o le conseguenze che comporta. Lo scrittore conservatore americano William Lind ha coerentemente riassunto il fenomeno con le seguenti parole:

“Viene chiamato politicamente corretto. Il nome è stato inventato quasi per scherzare, in un fumetto, e si tende ancora sottovalutare la gravità di questo fenomeno. Si tratta di una questione estremamente seria. È l’epidemia peggiore del nostro secolo, che ha causato la morte di decine di milioni di persone in Europa, in Russia, in Cina e in tutto il mondo. È l’epidemia dell’ideologia. Il politicamente corretto non fa ridere. Se osservata da un punto di vista critico o storico, si riesce a capire esattamente di cosa si tratta. Si tratta di marxismo culturale, di marxismo dell’economia applicato alla cultura. È un tentativo iniziato, non negli anni Sessanta, nell’era degli hippie e del movimento pacifista, ma durante la Prima Guerra Mondiale. Se consideriamo i principi fondamentali del politicamente corretto e quelli del marxismo classico, i parallelismi sono evidenti. Prima di tutto, entrambe le ideologie sono totalitarie. Questa caratteristica totalitaria del politicamente corretto è evidente nei contesti dei campus universitari, i quali al giorno d’oggi sono diventati sistemi nordcoreani mascherati, dove gli studenti o gli altri membri della facoltà si ritrovano ad affrontare problemi legali quando osano non rispettare i principi imposti dai gruppi di attiviste femministe, per i diritti delle persone omosessuali, delle persone di colore locali o con origini sudamericane o di altri gruppi elogiati attorno ai quali ruota il politicamente corretto. All’interno del sistema legale dell’università, si ritrovano ad affrontare accuse formali e punizioni”.

Sono venuto a conoscenza della questione del politicamente corretto completamente per caso. Come amico di elementi della sinistra, alla fine degli anni ‘80 e all’inizio degli anni ‘90, sono entrato in contatto con atteggiamenti esageratamente critici, così come atteggiamenti e azioni inquisitoriali e isterici che sono al giorno d’oggi eccessivamente diffusi tra i sostenitori del politicamente corretto e del cambiamento climatico antropico. Allora tendevo a sottovalutare certi avvenimenti, considerandoli semplici manifestazioni di un eccessivo entusiasmo da parte di persone che, altrimenti, avevano solamente delle buone intenzioni.

Nel corso del decennio successivo, mi sono reso conto che il politicamente corretto non era semplicemente una questione di atteggiamenti eccessivamente moraleggianti con una facciata progressista, ma il risultato di una tradizione antica all’interno della sinistra che esiste dai tempi della Rivoluzione francese. Il segno di riconoscimento del pensiero della sinistra è la sua insistenza sul concetto di uguaglianza universale tra le persone e la sacralità del progresso.

Questa è un’evidente tendenza tra queste persone verso una visione dualistica del mondo che considera il conflitto sociale e politico come uno scontro tra le forze di reazione e di progresso. La prima rappresenterebbe l’oscurità e il male, mentre la seconda la giustizia e l’onestà. Di conseguenza, i movimenti della sinistra spesso assumono un carattere religioso che rispecchia un’insistenza messianica o apocalittica che viene spesso associata al fondamentalismo. Come i crociati fondamentalisti sentono il bisogno di eliminare i peccati o le eresie del mondo, così le persone di sinistra sentono un bisogno simile di intraprendere una guerra santa contro una particolare situazione di apparente disuguaglianza. Alcuni esempi sono: razzismo, sessismo, omofobia, xenofobia, classismo, islamofobia, negazionismo del cambiamento climatico, transfobia, patriarcato, gerarchie, abilismo, specismo e discriminazioni dovute all’obesità e all’aspetto di una persona, così come qualunque altra cosiddetta offesa che porti a diseguaglianze. Nel frattempo, la lista di questo tipo di discriminazioni si sta allungando in modo sempre più irragionevole e inverosimile. Recentemente, è nata la moda di chiamare questo tipo di persone di sinistra, politicamente corrette ed eccessivamente entusiaste social justice warriors, ovvero “paladini della giustizia sociale”.

Tuttavia, questa denominazione è impropria, in quanto gli obiettivi di queste persone sono decisamente antisociali e non sono riconducibili ad alcun tipo di giustizia. Eppure il politicamente corretto è semplicemente una manifestazione della tendenza al totalitarismo politico della stessa tipologia che ha piagato il Novecento. Il politicamente corretto è una rappresentazione di una prospettiva ideologica che considera inaccettabile qualsiasi ostacolo alla corsa al potere in nome dell’eguaglianza. Ciò si può facilmente notare osservando il disprezzo da parte dei suoi sostenitori nei confronti dell’autonomia di una società civile, della separazione dei poteri, degli standard relativi al giusto processo, e delle libertà convenzionali di parola, religione, associazione, proprietà privata o di privacy.

 

 

Il progetto “1000 gru di Marica Fasoli”. Amo1999 srl lancia il progetto dell’artista veronese Marica Fasoli, una sfida artistica all’insegna della beneficenza

Il progetto “1000 gru di Marica Fasoli”. Amo1999 srl lancia il progetto dell’artista veronese Marica Fasoli, una sfida artistica all’insegna della beneficenza

Secondo una leggenda giapponese chi riuscirà a piegare mille gru, secondo la loro tecnica del Origami, vedrà realizzato un desiderio, quello dell’artista veronese non è solo un inno alla pace, ma una chiamata aperta al pubblico: infatti, una cospicua parte del ricavato delle vendite dei quadri sarà destinata infatti ai progetti sociali di Dynamo Camp.

Verona, 5 maggio 2023. Il 6 agosto 1945 un lampo di luce travolge la città giapponese di Hiroshima, poi la polvere nera copre ogni cosa, anche le speranze dei sopravvissuti. Tra loro c’era la piccola Sadako Sasaki che aveva appena 2 anni. La bambina cresce serena fino agli 11 anni quando uno svenimento porta alla luce il male che aveva intaccato il suo corpo, la leucemia, dai più chiamata “la malattia della bomba”.

La piccola Sadako però non si arrende e lotta, sostenuta anche da una leggenda giapponese. Si dice infatti che chi riesca a piegare 1000 gru di carta (senbazuru) e ad unirle in una ghirlanda vedrà realizzato un desiderio. Ma purtroppo la bambina non riesce nell’impresa e la morte la coglie quando aveva realizzato la 644esima gru.

Sadako da allora è diventata un simbolo di pace e per ricordare il suo coraggio il 5 maggio 1958, proprio nel giorno della festa dei bambini, è stata inaugurata nel Parco del Memoriale della Pace di Hiroshima una statua di nove metri che rappresenta Sadako: le sue braccia aperte reggono una gru d’oro e ogni anno giungono da tutto il mondo migliaia di gru piegate proprio in ricordo del suo gesto. Disposte intorno alla statua, sono diventate delle icone di pace per un mondo senza guerre.

Per unirsi a questo messaggio di speranza, l’artista veronese Marica Fasoli, in collaborazione con la società di marketing Amo1999 srl (www.amo1999.com) che ha ideato e promosso il lancio del progetto, si è imposta la sfida di realizzare il desiderio di Sadako, piegare 1000 gru che saranno poi aperte e colorate per diventare delle opere d’arte, numerate e firmate, che da oggi verranno vendute online (www.1000gru.it).

“Per la cultura orientale l’origami ha sempre avuto un forte significato simbolico, quello di rinascita, per questo ho voluto reinterpretarlo costruendo e decostruendo la gru per farla rinascere come opera d’arte, per rappresentare il senso di una ricerca continua che va oltre la forma e che assume un significato universale, in questo caso quello della pace”, spiega l’artista.

Alla fine del progetto Marica realizzerà la sua personale collana di mille gru, composta dai nomi di tutte le persone che hanno partecipato all’iniziativa, che sarà inviata in Giappone e apposta sulla statua di Sadako.

La forza di questo progetto sta anche nel fatto che parte del ricavato verrà donato alla Fondazione Dynamo Camp ETS (www.dynamocamp.org) che si occupa di bambini con patologie gravi o croniche e dei loro familiari. “A Dynamo Arte e fare Arte significa condivisione di emozioni, temi e obiettivi insiti nell’essere umano, attraverso un linguaggio accessibile e fruibile a tutti – afferma Sabrina Ventura, referente del progetto rete territoriale di Dynamo Camp -. Siamo molto grati di essere coinvolti come beneficiari in questo progetto che unisce l’Arte ad una finalità sociale e che, proprio attraverso lo spirito di gruppo, permette di raggiungere un obiettivo concreto e simbolico” – conclude Sabrina Ventura.

 

Marica Fasoli

Marica Fasoli nasce a Bussolengo, in provincia di Verona, nel 1977. Dopo aver conseguito il diploma di Maestra d’Arte presso il Liceo Artistico Statale di Verona, nel 1997 si specializza in Addetto alla Conservazione e Manutenzione dei manufatti artistici su legno e tela presso gli Istituti Santa Paola di Mantova. Nel 2006 ottiene anche la specializzazione in Anatomia Artistica presso l’Accademia “Cignaroli” di Verona dove è stata docente del corso libero di pittura iperrealista.

Dopo essersi dedicata per anni al restauro, dal 2006 intraprende un percorso che la porta a esprimere la sua espressività e ricerca artistica nell’ambito figurativo iperrealista, arrivando alla formulazione di due filoni espressivi: gli “Invisible Peolple” e i “3dipinti”. Dal 2015 si distacca dalla rappresentazione figurativa e didascalica della realtà per iniziare un processo di creazione/distruzione incentrato sulla costruzione manuale che vede il suo apice negli “Origami”.

Amo1999 srl

AMO1999 S.R.L. è una società multibrand di Verona che si occupa di produzioni televisive, editoria e servizi marketing per importanti multinazionali e per i propri brand. I suoi format e la sua comunicazione si fondano su principi etici e di trasparenza.

Dynamo Camp

Dynamo Camp sostiene il Diritto alla Felicità dei bambini con patologie gravi o croniche e dei loro famigliari, offrendo gratuitamente programmi di Terapia Ricreativa Dynamo®, che hanno obiettivo di divertimento ma anche e soprattutto di sostenere la fiducia in sé stessi, con benefici di lungo periodo sulla qualità di vita. Dal 2007 la Terapia Ricreativa Dynamo®️ ha raggiunto in modo completamente gratuito oltre 83.000 persone, accolte presso la struttura di Dynamo Camp – ubicata all’interno di un’oasi affiliata WWF di 1000 ettari in provincia di Pistoia – o con programmi condotti dallo Staff Dynamo nelle principali città del territorio italiano, presso strutture ospedaliere, associazioni patologia o di genitori e i Dynamo City Camp.

 

Amo1999 srl