La BCE deve risarcire l’Italia per aver permesso l’assassinio delle Banche Venete

La BCE deve risarcire l’Italia per aver permesso l’assassinio delle Banche Venete

Daniéle Nouy

Di notte, un uomo cerca qualcosa sotto a un lampione. Gli si avvicina uno che lo vuole aiutare e gli chiede: “Che sta cercando?”.

L’uomo risponde: “Cerco una banconota da venti euro che mi è caduta”. La cercano entrambi, ma senza successo. Il nuovo arrivato, chiede: “Esattamente dove l’ha persa?”. E quello gli dice: “Trecento metri più avanti”. “Ah, e perché la cerca qui?”. Stupito, quello gli risponde: “Ma perché qui c’è luce!”.

Questa vecchia storia mi torna in mente pensando al processo per il crac BPVI tenuto a Mestre. Conosco abbastanza bene, dal di dentro, questa tragedia tutta italiana e sono convinto che tutti gli imputati andrebbero assolti, in quanto vittime e non criminali.

Piuttosto, alla sbarra andrebbero portati certi funzionari della BCE, in particolare due donne, completamente incompetenti di economia e, forse, anche l’ex primo ministro Matteo Renzi e l’ex ministro delle finanze Pier Carlo Padoan. Una nota di forte biasimo andrebbe poi inviata al presidente della Regione Veneto, Luca Zaia per aver permesso che gli sfilassero di tasca due gioielli di banche, quali furono la Popolare Vicenza e la Veneto Banca. Avrebbe dovuto urlare “Al ladro!” e poi picchiare i pugni sul tavolo. Fosse successo a un presidente di un Lander tedesco, in condizioni simili, con qualcuna delle sue Genossenschaftsbanken gli urli li avrebbero sentiti sino a Berlino.

Le cose riguardanti la finanza vengono spesso complicate dai gestori di tali attività, a nomina politica e ora questi funzionari innocenti sono essi stessi prigionieri della rete di ragno che si erano costruiti intorno. Non è quindi possibile che dei semplici magistrati possano capire certi sottili dettagli e perciò essi vanno da anni alla ricerca di crimini grazie ai quali possano sbattere in galera delle persone oneste e così placare l’odio di chi ci ha perso parecchi soldi.

Non è facile condensare tanti argomenti nello spazio di un breve articolo per provare la nostra tesi, ma citeremo solo alcuni fatti principali. Per chi voglia saperne di più consigliamo un libro, ormai introvabile, uscito nell’aprile del 2019 a Udine e intitolato Romanzo imPopolare di Cristiano Gatti e Ario Gervasutti e che, nonostante il tono sbarazzino, racconta con estrema precisione tutti i passaggi fondamentali di questo dramma.

Gli attacchi mediatici contro alle due banche venete sono state una cosa vergognosa e immotivata o, forse, motivata da certe losche figure che scommettevano sulla loro morte. In ciò si è distinto il Giornale di Vicenza, che ha pubblicato paginate di pettegolezzi e di dati errati. Nessuna banca, per quanto solida come fu sino alla fine la Popolare di Vicenza, avrebbe potuto reggere a lungo quello tsunami di escrementi. Ma i numeri dicono che, sino alla fine, la Banca Popolare di Vicenza ha mantenuto livelli di solvibilità altissima e aveva del personale dedicato ed efficiente.

Si fa un grande parlare della “baciate” un tipo di finanziamento da sempre adottato dalle Banche Popolari, sia pur con la dovuta cautela e con le dovute regole. Nel caso della Popolare di Vicenza, effettivamente, esagerarono con questo strumento, prendendo dei grossi azzardi per via delle feroci pressioni della BCE di ricapitalizzazione. Si tratta comunque di qualcosa di relativamente limitato: parliamo di 130 milioni spalmati su 1930 soci, che senza gli interventi della BCE (che nulla conoscevano degli statuti delle banche popolari, vera spina dorsale dell’industria italiana negli ultimi 150 anni) sarebbero stati assorbiti.

La bomba atomica sulle banche venete fu lanciata da Matteo Renzi il 20 gennaio 2015, in un Consiglio dei ministri, quando inserì fra le “varie ed eventuali” senza nessuna preliminare discussione, che le banche popolari vengano obbligate a quotarsi in borsa nel giro di 18 mesi. Non tutte, solo quelle con un patrimonio superiore a 8 miliardi.

Si trattò di una azione mirata, perché queste banche erano tre: Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Popolare di Bari. Per la cronaca, l’ultima ancora esiste, perché se ne infischiò del decreto di Renzi, che fu comunque annullato due anni dopo. Cancellarono anche il voto capitario, colonna portante delle banche popolari, dove uno vale uno, indipendentemente dal numero di azioni che detiene. In Italia nessuno ci fece caso, tranne chi se ne intende, come l’economista Stefano Zamagni, il quale scrisse: “A me pare che esista un preciso disegno che punta a eliminare le popolari, non in maniera diretta ma esasperando il rispetto di regole troppo pesanti”. E aggiunse Marco Vitale, un altro economista di valore: “Le pressioni, unite alla tradizionale mancanza di coraggio degli intellettuali italiani, chiusero rapidamente la partita e tutti, o quasi tutti, si ritirano zitti, in buon ordine nel loro banco. Einaudi, Menichella, Mattioli, Baffi si rivoltano nella tomba”.

Nulla da fare: i panzer della BCE si trovarono la strada spianata per distruggere le due venete. Arrivò una lettera di Daniéle Nouy, ora in pensione, una ex bancaria laureata in scienze politiche e in legge, che si trovò a capo della vigilanza della BCE. La gentil signora decise, seduta stante, di cambiare i parametri degli accantonamenti e, dunque, il bilancio della banca che era stato chiuso alla fine del 2014, passò da un surplus di 350 milioni a una perdita di 757 milioni.

Qualche mese dopo, sempre tale signora, insisterà per il fallimento della Popolare di Vicenza, senza alcun motivo logico, s’impuntò e basta, forse fu per via del tradizionale disprezzo per gli italiani che, come i greci, vanno sempre messi in riga. Voleva lo scalpo della banca di Vicenza e furono costretti a fare intervenire il vicepresidente della Banca d’Italia per farle cambiare idea. L’altra funesta dama, responsabile del disastro, anche se in misura minore, è Margrethe Vestager, una ex militante comunista danese, che dal 2014 è Commissario europeo per la concorrenza (oggi è secondo vicepresidente della Commissione Europea).

Da quel momento sarà la BCE, tramite il rappresentante in Italia, Emanuele Gatti a teleguidare la banca. Addirittura Gatti si spinse avanti, al punto di passare a Zonin un foglietto con scribacchiati sopra tre nomi per indicare il nuovo amministratore delegato, in sostituzione del povero Emanuele Sorato, pure lui innocente, mandato a casa per quietare la BCE. Che quel funzionario basato a Milano, laureato in giurisprudenza presso l’Università di Bari, ex Banca d’Italia dal marzo 1992, decida con un foglietto chi è gradito o sgradito alla BCE dovrebbe essere, questo sì, oggetto d’indagine giudiziaria. Gianni Zonin pescò uno di questi “graditi” alla BCE, tal Francesco Iorio, una pessima scelta, proveniva dalla Popolare di Bergamo, laureato in giurisprudenza, con una corso in economia bancaria, il quale guadagnò delle cifre spropositate per il suo intervento, tutto sommato inutile e dannoso. Il Corriere della Sera stimò che durante la sua permanenza, includendo bonus in entrata e in uscita, guadagnò circa 20.000 euro al giorno!

Gianni Zonin nulla sapeva dell’entità di tale baciate e che, comunque, non ne spiegano assolutamente il fallimento, perché la banca è saltata per ben altro. Il processo dovrebbe essere annullato, perché non esiste un reato e gli imputati vanno mandati a casa, con tante scuse. E comunque le pene detentive comminate durante il primo grado, sotto alla pressione del popolo inferocito, erano assurdamente elevate, neanche fossero degli assassini.

Questa azione legale era iniziata la mattina del 22 settembre 2015, con un blitz, teletrasmesso in mondovisione, effettuato dalla Procura di Vicenza, con perquisizioni a Vicenza, Milano, Roma, Palermo, nelle abitazioni e negli uffici dei dirigenti. Si videro agenti uscire con faldoni di carte (ma che speravano di trovarci?) e il Procuratore capo Antonio Cappelleri dichiarò ottimisticamente che: “Conto su un’indagine veloce che entro un mese stabilisca le eventuali responsabilità delle persone coinvolte…”. Entro un mese!

Chi ha perso soldi andrebbe pienamente risarcito dalla Banca d’Italia, che si mostrò impotente davanti alle prepotenze della BCE e dai loro giannizzeri calati da nord. La Banca d’Italia dovrebbe poi chiedere un rimborso alla BCE, per via della loro evidente e criminale mala gestio di queste due gloriose banche.

Angelo Paratico

 

Banca Intesa ci chiede di donare alla Caritas per sfamare gli italiani poveri. Ma non dovrebbero farlo loro?

Banca Intesa ci chiede di donare alla Caritas per sfamare gli italiani poveri. Ma non dovrebbero farlo loro?

 

 

Banca Intesa, che ha acquisito due banche venete nel 2017, pagandole 2 euro (un regalo della coppia Renzi Gentiloni, con il concorso di Padoan e di quella incompetente di Verstagen)  dopo aver bruciato 17 miliardi. Ora Intesa chiede ai propri correntisti di donare per gli italiani poveri italiani che non possono mangiare, il tutto tramite la Caritas.

Il traguardo di 3.000.000 di euro di raccolta è ormai prossimo. Bene, ma non riusciamo però a capire perché questi soldi Banca Intesa li chiede ai propri clienti e non ce li mettano loro, dato che ogni anno realizzano dei profitti miliardari.