Certo del futuro dell’automobile, da lui inventata, l’ingegnere Enrico Zeno Bernardi (1841 – 1919) nel 1896 diede inizio alla sua attività imprenditoriale con un’officina per produrle. Era nativo e risiedeva a Quinzano (VR) ma insegnava all’università di Padova.
L’azienda automobilistica fu impiantata a Padova in società con due giovani ingegneri, Giacomo Miari e Francesco Giusti Del Giardino, allo scopo di industrializzare il prototipo di Bernardi. La Miari & Giusti fu la prima azienda automobilistica del mondo, e aveva sede in via San Massimo, a Padova. Produssero il modello a triciclo e poi uno spider a quattro ruote di 2.5 cavalli di potenza e che poteva raggiungere i 35 chilometri orari. Dopo aver prodotto cento autovetture, purtroppo, la mancanza di adeguati capitali li costrinse a chiudere i battenti dopo due anni d’attività, pur essendo le loro vetture tecnicamente superiori alle Fiat prodotte a partire dal 1899.
La fabbrica si trovava a pochi metri dalla sede nazionale del RIVS, dove sorgeva l’opificio di via San Massimo a Padova, già sede del Lanificio Marcon, distrutto da un incendio nel 1892.
L’automobile vendette bene a Padova. Già nel 1903 in città si contavano 49 possessori di autovetture, tra cui ovviamente lo stesso Bernardi, il marchese Pietro Buzzaccarini, il conte Paolo Camerini, il conte Luigi Donà Dalle Rose; ma c’è anche una donna, la contessa Emma Treves Corinaldi. A Padova la targa numero 1 fu assegnata alla Società in accomandita Cassis & C., la seconda a Enrico Bernardi, la terza al conte Giacomo Miari de’ Cumani; ai primi titolari, in genere espressione della nobiltà, si affiancano professionisti, avvocati, industriali, clinici come il professor Felice Lussana, soprannominato “Girardengo” per via dei suoi grandi baffi a manubrio.
La vettura a tre ruote posseduta da Bernardi è attualmente esposta al “Museo di Macchine Enrico Bernardi” dell’Università di Padova insieme ad altri motori e modelli d’epoca, ancora perfettamente funzionanti dopo quasi 120 anni.
Se Enrico Bernardi fosse nato negli Stati Uniti, siamo certi che Hollywood gli avrebbe già dedicato un film e, nonostante esistano piccoli studi settoriali dedicati alla sua opera, manca una vera biografia. A Padova dovrebbero commemorare la prima fabbrica delle amate e odiate automobili con una lapide o un monumento.
Un giorno atterra un’astronave extraterrestre a Central Park, New York. A bordo stanno dieci individui molto simili a noi, tutti di sesso maschile. Non mostrano di essere a noi ostili e raccontano di essere stati costretti ad abbandonare il loro pianeta, oltre la nostra galassia, perché prossimo a esplodere.
Vengono accolti con entusiasmo dai cittadini nuovaiorchesi, che li fanno sentire a casa loro, offrendo grossi benefici, scattano foto con loro, li invitano a cena.
Nei mesi successivi aumentano gli omicidi in città, ma di una piccola percentuale rispetto al totale e quindi non ci si fa molto caso. Un ispettore di polizia, molto caparbio, decide di indagare a fondo su alcuni di questi strani nuovi crimini e arresta un extraterrestre, che alla fine confessa di avere ucciso dieci umani. L’indagine si estende anche agli altri otto e si scopre che tutti hanno ucciso, per varie ragioni, decine e decine di uomini e donne. Uno solo ha seguito le legge e non ha fatto male a nessuno.
La cittadinanza chiede la loro espulsione in massa dal nostro pianeta, ma alcune organizzazioni benefiche si oppongono, dicendo che il 99% degli omicidi a New York sono causati da umani e dunque il problema non esiste. Il sindaco della metropoli è d’accordo con loro, aggiungendo che vanno aiutati a superare i loro shock. Dunque, vengono lasciati liberi e indisturbati.
Giuseppe Camillo Pietro Richiardi o Ricchiardi (1865 – 1940) è stato un giornalista, avventuriero e soldato italiano. Nato il 5 luglio 1865 a Cuneo e frequentò l’Accademia Militare di Modena e la Scuola di Cavalleria di Pinerolo, poi fu nominato Sottotenente nel Reggimento Genova Cavalleria e successivamente promosso Primo Tenente nel Reggimento Piemonte Cavalleria. Dopo sei anni di servizio, chiese il congedo e, grazie ai suoi legami con il Colonnello Girolamo Emilio Gerini, consigliere militare in Tailandia, vi si trasferì e si occupò dell’organizzazione dell’esercito locale e dell’educazione di uno dei figli del Re. Lavorò anche come corrispondente di guerra, inviando rapporti dalla Cina (abitò a Shanghai) e dall’Etiopia e alcuni ipotizzano che possa aver preso parte alla battaglia di Adua. Nel 1895 si unì al Generale Emilio Aguinaldo come mercenario nella sua lotta per l’indipendenza delle Filippine dalla Spagna. Nel 1899 si trasferì in Sudafrica e divenne un amico fidato del generale boero Louis Botha. Successivamente, Ricchiardi assunse il comando della ‘Legione Volontaria Italiana’, un’unità di 200 uomini composta quasi interamente da italiani, tra cui immigrati ed ex soldati che avevano servito nel Regio Esercito o sotto Giuseppe Garibaldi (stranamente suo figlio Ricciotti sostenne i boeri, mentre suo nipote Peppino si trovò dalla parte dei britannici). Sotto la guida di Ricchiardi, questa unità (nota anche come “Brigata Latina” o “Legione Italiana”) si distinse per l’affiatamento e l’abilità nell’eseguire ricognizioni e altri compiti richiesti dalla guerra asimmetrica. Non fu solo il coraggio della Legione Italiana a renderlo famoso, ma anche il suo carisma e l’atteggiamento cavalleresco nei confronti del nemico: ad esempio, era solito inviare gli effetti personali dei caduti britannici alle loro famiglie, insieme a una lettera di condoglianze. Tuttavia, alcuni dei suoi uomini erano dei veri e propri mascalzoni e a volte Ricchiardi dovette ripristinare la disciplina con misure severe ma mai cruente.
La prima operazione di successo condotta dalla Legione Italiana fu la cattura di un treno blindato nella battaglia di Chieveley. Tra i passeggeri che furono fatti prigionieri c’era anche il giovane giornalista Winston Churchill. I suoi reportages lo resero ancora più famoso. Suo padre, Randolph, era stato Primo ministro.
Durante il suo soggiorno in Sudafrica, Ricchiardi sposò Hannah Guttman, nipote di Paul Kruger, che aveva conosciuto nell’Ospedale Militare di Pretoria mentre si stava riprendendo dalle gravi ferite alle gambe riportate nella battaglia di Tugela. Al suo ritorno in Italia fu impegnato nell’organizzazione di comitati pro-Boeri e nel racconto delle sue avventure in una serie di libri.
Appassionato uomo d’affari, intraprese diverse imprese quando non era in guerra. Uno dei suoi soci fu Gastone Guerrieri, un nipote del Re Vittorio Emanuele II. In seguito si trasferì in Argentina con il suo amico Louis Baumann, dove fu nominato amministratore di una colonia di rifugiati boeri, chiamata Colonia Escalante, nel Chubut. I britannici sottomisero il Sud Africa inventando i campi di concentramento.
Nel 1923 subì un’emorragia cerebrale che lo privò dell’uso di varie funzioni corporee. I suoi ultimi anni li trascorse con la famiglia a Casablanca, in Marocco, dove morì il 21 gennaio 1940 e dove i suoi resti furono sepolti.
Tra le tante esperienze della sua vita avventurosa, la più celebre resta l’arresto del giovane Winston Churchill. I suoi uomini gli condussero davanti un “collega grionalista” inglese accusato di spionaggio e destinato alla fucilazione ma Ricchiardi dopo averlo fissato negli occhi diede l’ordine di lasciar perdere. Era il 15 novembre 1899 e Winston aveva venticinque anni.
Churchill era in abiti civili e si era disfatto della sua pistola semiautomatica Mauser C96 che portava con sé e che aveva usato alla carica di cavalleria di Omdurman in Nigeria, e proprio a quella pistola doveva la vita. Ma la mossa non era passata inosservata: era stato perquisito ed erano spuntati fuori due caricatori. Oltretutto le pallottole all’interno erano le famigerate dum dum, proiettili con la camiciatura incisa ideati per la caccia agli elefanti e ai rinoceronti, ripugnanti per i soldati che solitamente passavano per le armi chi veniva sorpreso a usarli (saranno poi proibiti nelle convenzioni internazionali). Il fatto che fosse in possesso di un’arma, come i militari, lo faceva pure considerare una spia. Churchill negava con forza di essere un agente segreto e Ricchiardi gli volle credere, salvandogli la vita.
L’ufficiale italiano aveva 34 anni, indubbie doti di comando e tanto buon senso. Quel giorno gli bastava la soddisfazione del cocente smacco inflitto agli inglesi con la presa di quel convoglio blindato in marcia da Ladysmith a Colenso, nel Natal, dopo che i suoi legionari avevano fatto saltare i binari provocando il deragliamento della locomotiva, e sorpreso la guarnigione che non aveva potuto far altro che arrendersi.
Oltre ai militari c’erano anche alcuni civili, una sessantina di persone in totale, tra cui quel corrispondente del Daily Mail, che invece di essere messo al muro fu avviato a un campo di prigionia a Pretoria. Da qui Churchill riuscì a evadere, scrivendo un libro che divenne un best seller in Gran Bretagna e ne costruì il mito, ma nelle sue memorie, stranamente, ometterà di scrivere che a farlo prigioniero erano stati i volontari italiani.
Nel 2016, dopo la prima elezione di Trump a Presidente degli Stati Uniti, tutti i giornali e le televisioni del mondo, parlarono di Fred Trump, suo padre come di un simpatizzante fascista che fu arrestato durante delle proteste razziste a New York, guidate da fascisti italiani e dal Ku Klux Klan.
Suo figlio, Donald Trump, aveva negato l’arresto, ma sono emersi nuovi documenti che dimostrano come in realtà sia stato detenuto per un paio d’ore e poi rilasciato su cauzione. Durante l’incidente – che non fu affatto una rissa – due italiani vennero uccisi nel Queens, mentre nello stesso giorno 1.000 aderenti del KKK in abito bianco marciavano nel quartiere ad alta densità d’immigrazione e scoppiarono degli incidenti.
Ci chiediamo quale sia stata la rissa a cui Fred Trump aveva partecipato. La spiegazione sembra semplice: certamente non per i fascisti, perché l’omicidio dei due giovani italiani fu solo un’esecuzione a sangue freddo, in stile mafioso, forse eseguita da antifascisti o da gangster. I due immigrati italiani assassinati furono Joseph Carisi, 39 anni, e Nicholas Amoroso, di 22 anni, che sono stati trovati accoltellati e colpiti ripetutamente, a Times Square, New York. Indossavano effettivamente delle camicie nere e sembra che fossero diretti a partecipare, con altri 400 fascisti, alla istituzionale parata del Memorial Day di Manhattan. L’allora presidente della Lega Fascista del Nord America, il Conte di Revel, minimizzando la natura di quel crimine, lo definì “un semplice omicidio” avvenuto non per motivi politici. Ma in seguito Benito Mussolini attribuì la colpa della loro morte a “traditori dell’Italia e della rivoluzione fascista”, forse utilizzandoli come martiri della causa fascista.
Fred Trump non ebbe nulla a che fare con l’uccisione dei due immigrati italiani né con la sfilata del KKK e, pertanto, il 21enne Fred Trump fu forse fermato per il raduno del KKK solo perché abitava lì. Secondo il rapporto della polizia fu fermato perché la polizia gli disse di andarsene ma lui si rifiutò di farlo…dato che ci viveva.
La brutta notizia gira da giorni su X e abbiamo aspettato qualche giorno, in attesa di verifiche, per riportarla. Pare che il candidato alla vice presidenza Tim Walz dovrà affrontare accuse di sesso con minori. L’accusa che gli verrà rivolta è che fece sesso orale (e forse altro) con un ragazzino di 14 anni, dopo che lo portò a un concerto. Tim Walz era stato un insegnante e un preparatore di football americano (lo avevano soprannominato touch-down Tim, giocando sul doppio significato di “toccar base” e “toccare in basso”). L’ex studente che è ormai un uomo fatto, domani renderà pubblica la sua accusa.
Pare anche che Kamala Harris fosse stata informata di questo pericolo ma decise di non badarci. Ora si comprende il criptico avvertimento sibilato da Hillary Clinton che aveva detto che a ottobre ci sarà una sorpresa riguardo a Walz, e non è da escludere che chiederà a Kamala di mettere lei o il marito al suo posto.
In Italia non se ne parla di questa polemica, ma negli USA è su tutti i media alternativi.
Il programma 60 minuti della CBS è da decenni un esempio di grande giornalismo, ma ora sorgono dei forti dubbi sulla credibilità dei suoi conduttori, al punto che ex collaboratori della CBS chiedono un’indagine esterna per l’intervista a Kamala Harris in seguito allo scandalo dell’editing, anche se il network si ostina a non voler rilasciare la trascrizione completa e senza ritocchi.
Il programma è finito sotto tiro dopo aver presumibilmente ripulito la risposta della candidata democratica alla presidenza a una domanda del corrispondente di “60 Minutes” Bill Whitaker su Israele, andata in onda lunedì. La sua risposta era nettamente diversa dalle chiacchiere che il vicepresidente aveva presentato in una clip per promuovere l’intervista trasmessa da “Face the Nation”, il giorno prima. Insomma, si è tirata il martello sui piedi da sola. La controversia ha spinto gli addetti ai lavori e i critici dei media – tra cui il candidato repubblicano alla presidenza, Donald Trump – a mettere in discussione i loro standard etici. “Penso che dovrebbe esserci un’indagine esterna”, ha dichiarato giovedì un ex giornalista di CBS News. “È evidente che c’è un problema. Se avessero a cuore l’integrità giornalistica, condurrebbero un’indagine o renderebbero pubblica la trascrizione completa”.
Nel campo di Trump si parla apertamente di un maldestro tentativo di influenzare le elezioni e si chiede la chiusura del programma.
Chongquin è una megalopoli da 30 milioni di abitanti, e al tempo della Seconda guerra mondiale fu il centro del comando del Generalissimo Chang Kaishek, a causa della sua particolarità di essere circondata da montagne e con molti giorni di nuvole e pioggia, questo la metteva al riparo dagli arei dell’invasore giapponese. C’ero stato circa trentacinque anni fa per visitare una fabbrica dove erano stati impiantati dei nostri macchinari tessili, ma da allora è cambiato tutto.
La megalopoli si è sviluppata moltissimo negli ultimi quarantanni, sia a livello industriale che culturale, molti giovani cinesi hanno studiato all’estero e poi, ritornano a casa, hanno portanto con se interessi e passioni.
Ecco perché hanno deciso di costruire una libreria che ricorda un po’ quella del monastero del Nome della Rosa scritto da Umberto Eco. Inaugurata nel 2021, nel pieno della epidemia di Covid, oggi è diventata uno dei fiori all’occhiello della città.
Con una superficie di 1.400 metri quadrati, la libreria Chongqing Zhongshuge si sviluppa su due piani e ospita un’area di lettura, una sala di lettura per bambini e un’area per il tempo libero.
La libreria presenta scale a chiocciola e soffitti a specchio, che riflettono il terreno sfalsato di Chongqing e creano un ambiente magico e irreale. L’elemento visivo più evidente della libreria sono gli scaffali sparsi e torreggianti che assomigliano a coperture di lampade, che fanno sentire le persone in un accogliente studio privato sotto auna luce calda, proiettata dall’interno dei paralumi.
Accompagnata da uno stile europeo retrò, l’area di lettura adotta un design a forma di arco, che ricorda anche la topografia montuosa di Chongqing. Gli scaffali pieni di libri sono persino appesi al soffitto! I libri sono esposti in base all’autore e all’editore, in modo che il lettore possa trovare facilmente e rapidamente i propri preferiti.
La sala di lettura per bambini ha un aspetto affascinante. Il progettista ha decorato quest’area con lo scenario unico delle montagne e della città di Chongqing. Coinvolge i piccoli lettori con colori ricchi e forme astratte esagerate. Inoltre, c’è un’area particolare per i libri su Chongqing, per aiutare i lettori a comprendere meglio la sua storia.
Per chi fosse interessato a visitarla, ecco l’indirizzo:
La cosa dura da anni e non accenna a diminuire. La finta pelle al poliuretano appare magnifica quando la acquistiamo, usata per cinture, scarpe, vestiti, ma dopo appena un anno o due comincia a spelarsi e a rilasciare una polverina fastidiosissima e probabilmente anche dannosa alla salute. Dunque, tutti gli articoli acquistati finiscono nel cassonetto della spazzatura. E stiamo parlando di migliaia di tonnellate di articoli ogni anno.
Chi vende questi capi sa bene che durata del poliuretano sarà brevissima, ma non gliene importa nulla: arrivano dalla Cina e dall’India, costano poco e piacciono. Più avanti il cliente se ne farà una ragione e, scaduti i termini dell’acquisto, non tornerà a reclamare.
Ci chiediamo perché si fanno leggi sul tappo delle bottiglie e poi non si mette fuori legge questo tipo di spalmatura al PU?
Bisognerà usare vera pelle oppure una finta pelle spalmata con sostanze più resistenti, tipo le borse LV o Pollini, che dureranno decenni.
Possiamo dire che Maria Rosaria Boccia sia la pompeiana più famosa al mondo, dopo la grande Sabina Poppea, moglie di Nerone.
Poppea, che l’ha preceduta, fu la moglie dell’imperatore Nerone e nacque a Pompei attorno al 30 dopo Cristo. Morì nel 65 dopo Cristo. Fu la seconda moglie di Nerone, mentre l’imperatore romano, di tre anni più giovane, fu il suo terzo marito.
Poppea fu una donna di grande bellezza che sposò in prime nozze Rufrio Crispino, capo delle guardie pretoriane durante il regno dell’imperatore Claudio. L’imperatrice Agrippina, quarta moglie di Claudio, e madre di Nerone, lo rimpiazzò con Sesto Afranio Burro. Poppea si legò allora ad Otone (che sarà imperatore romano per tre mesi) sposandolo, ma poi Nerone s’innamorò perdutamente di lei e relegò Otone a governare la Lusitania. Secondo Tacito, Poppea era ambiziosa e senza scrupoli, ma non dobbiamo dimenticare che Tacito aveva un coltello puntato alla gola e doveva fare attenzione a ciò che scriveva.
Poppea diede a Nerone una figlia, Claudia Augusta, che morì però quando aveva solo quattro mesi, per cause naturali. Nel 65-66, Poppea, incinta del secondogenito di Nerone, morì a Roma, oppure nella sua villa di Oplontis, alle falde del Vesuvio, a causa di un incidente di gravidanza e non a causa di un calcio sferratole da Nerone, come riferisce Tacito.
Questi sono forse i vichiani corsi e i ricorsi della storia e la dottoressa Boccia (come tutti la chiamano) pare ricordare la sua conterranea, per bellezza, sfrontatezza e coraggio, mentre il ministro della cultura non regge il confronto con Nerone. Lo abbiamo visto sventolare in pubblico le ricevute delle spese fatte per la fatale pompeiana, asserendo di avere usato la propria carta di credito. Ignora forse che si può chiedere un rimborso per “spese personali”?
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