La villa romana scavata a Negrar di Valpolicella ha rivelato dei mosaici magnifici. Di qui passava la via Claudia Augusta, la strada che collegava Verona con il Brennero e quindi con i territori delle odierne Austria e Germania. Il selciato della via Claudia Augusta è stato ritrovato in vari punti, in particolare nella zona di San Pietro in Cariano e anche vicino alla cantina Villa Benedetti, che ha rinunciato a 2000 metri quadrati di vigneto per permettere degli scavi.
La sua datazione è problematica, dato che è stata abitata e ricostruita attraverso i secoli su vari strati, si è trovata una moneta dell’imperatore Lucio Vero del II secolo dopo Cristo e altre tracce che la datano al III e IV secolo.
Gli scavi continuano e durante una recente visita, l’artista quinzanese Ridanio Menini ha notato un particolare dei mosaici finora sfuggito a tutti, dato che la credevano un semplice elemento architettonico.
Menini ha notato la presenza di quella che pare essere una croce sopra al monte Calvario, forse opera di un anonimo schiavo-mosaicista convertitosi al cristianesimo.
Certo del futuro dell’automobile, da lui inventata, l’ingegnere Enrico Zeno Bernardi (1841 – 1919) nel 1896 diede inizio alla sua attività imprenditoriale con un’officina per produrle. Era nativo e risiedeva a Quinzano (VR) ma insegnava all’università di Padova.
L’azienda automobilistica fu impiantata a Padova in società con due giovani ingegneri, Giacomo Miari e Francesco Giusti Del Giardino, allo scopo di industrializzare il prototipo di Bernardi. La Miari & Giusti fu la prima azienda automobilistica del mondo, e aveva sede in via San Massimo, a Padova. Produssero il modello a triciclo e poi uno spider a quattro ruote di 2.5 cavalli di potenza e che poteva raggiungere i 35 chilometri orari. Dopo aver prodotto cento autovetture, purtroppo, la mancanza di adeguati capitali li costrinse a chiudere i battenti dopo due anni d’attività, pur essendo le loro vetture tecnicamente superiori alle Fiat prodotte a partire dal 1899.
La fabbrica si trovava a pochi metri dalla sede nazionale del RIVS, dove sorgeva l’opificio di via San Massimo a Padova, già sede del Lanificio Marcon, distrutto da un incendio nel 1892.
L’automobile vendette bene a Padova. Già nel 1903 in città si contavano 49 possessori di autovetture, tra cui ovviamente lo stesso Bernardi, il marchese Pietro Buzzaccarini, il conte Paolo Camerini, il conte Luigi Donà Dalle Rose; ma c’è anche una donna, la contessa Emma Treves Corinaldi. A Padova la targa numero 1 fu assegnata alla Società in accomandita Cassis & C., la seconda a Enrico Bernardi, la terza al conte Giacomo Miari de’ Cumani; ai primi titolari, in genere espressione della nobiltà, si affiancano professionisti, avvocati, industriali, clinici come il professor Felice Lussana, soprannominato “Girardengo” per via dei suoi grandi baffi a manubrio.
La vettura a tre ruote posseduta da Bernardi è attualmente esposta al “Museo di Macchine Enrico Bernardi” dell’Università di Padova insieme ad altri motori e modelli d’epoca, ancora perfettamente funzionanti dopo quasi 120 anni.
Se Enrico Bernardi fosse nato negli Stati Uniti, siamo certi che Hollywood gli avrebbe già dedicato un film e, nonostante esistano piccoli studi settoriali dedicati alla sua opera, manca una vera biografia. A Padova dovrebbero commemorare la prima fabbrica delle amate e odiate automobili con una lapide o un monumento.
Shalom Nagar, l’uomo che nel 1962 eseguì la condanna a morte di Adolf Eichmann, è morto in Israele all’età di 86 anni. Giovane guardia carceraria, Nagar ebbe la vita sconvolta quando fu estratto a sorte come boia e gli toccò premere il pulsante per l’impiccagione di Eichmann, accusato di essere stato l’ideatore delle camere a gas e della «soluzione finale» di milioni d’ebrei nei lager tedeschi.
Nel 1960 era stato catturato in Argentina dal Mossad, dove viveva sotto al falso nome di Ricardo Clement e si era rifatto una vita. Eichmann fu impiccato al termine del processo di Gerusalemme, raccontato da Hannah Arendt nel celebre libro La banalità del male, nel quale l’autrice si era resa conto che stavano processando una nullità e un povero passacarte. Il procuratore generale Gideon Hausner aveva chiesto ai giudici il massimo della pena, ovvero la morte, che non era mai stata comminata prima né lo fu dopo. E morte fu. Vari intellettuali ebraici chiesero che gli venisse usata clemenza, ma alla fine il presidente d’Israele non fu all’altezza del suo ruolo e lo mandò davvero a morte. Dove sta dunque la loro superiorità rispetto ai nazisti? Eichmann fu vittima di fake news…
La condanna a morte di Eichmann fu eseguita nel carcere di Ramla e le sue ceneri furono disperse in mare. Le sue ultime parole pare che siano state: “Io dovevo rispettare le regole della guerra e la mia bandiera. Sono pronto”.
Shalom Nagar, morto ieri, e che per 50 anni mantenne il segreto, anche a sua moglie e ai suoi figli, era uno yemenita, che rimase sconvolto da quanto lo costrinsero a fare e disse che: “Un giorno il comandante venne da me, si chiamava Merhavi e mi chiese: Shalom, ti va di schiacciare il bottone?… Però io dissi che no, non volevo. Ci sarebbe stato sicuramente qualcun altro che lo avrebbe fatto volentieri. Io invece ero l’unico secondino che diceva di non volerlo schiacciare quel bottone. Tirarono a sorte. E il comandante mi disse: è un ordine. La sorte ha detto che tocca a te e lo farai tu”.
Shalon disse poi che: “Se un giorno mi avessero di nuovo chiamato e detto che avevano appena condannato a morte un altro nazista, la risposta ce l’avevo già pronta: ne ho avuto abbastanza di Eichmann, grazie. Scordatevi di me. Questa cosa, io non la faccio più».
Mercoledì 27 novembre, a partire dalle ore 19, il Bar Fuoricorso (Via Nicola Mazza 7, zona universitaria veronese) sarà teatro di una conferenza/presentazione con protagonista assoluta Zamlap, rivista che l’anno scorso ha festeggiato il suo primo ventennio di attività!
Pubblicazione che si pone in continuità con quelle scaturite dalle esperienze delle avanguardie artistico-culturali primo-novecentesche, specialmente Dadaismo e Futurismo, si definisce, tra le altre maniere (per quanto faccia vanto della sua oggettiva indefinibilità), “rivista di pensiero razionale-non scientifico per tutti e per nessuno” oltre che uno degli ultimi esempi di “applicazione di anarchismo epistemologico” in campo culturale.
A parlare di Zamlap non ci potrà essere altri che Salvatore Iervolino, ideatore, direttore, stampatore e compilatore della rivista, il quale, supportato da una scelta iconografia, ci accompagnerà lungo un viaggio il cui tema centrale sarà un ragionamento sull’attualità (o meno) del valore delle Avanguardie: sono esse fine o eventuale mezzo per giungere ad uno scopo più elevato?
A dialogare con lui, un membro storico del Circolo 23 e Giovanni Perez, che già è stato nostro ospite, editore veronese questa volta presente in veste di esperto delle avanguardie artistico-culturali del XX secolo!
Avevamo vissuto questo dramma, che aveva scosso Hong Kong, dal di dentro e da subito eravamo stati contrari a queste proteste violente, spinte da personaggi potenti rimasti nell’ombra e che volevano sovvertire una società prospera e pacifica come quella di Hong Kong. Il loro obiettivo era di voler destabilizzare il regime comunista cinese. Una follia! Forse la causa era buona ma la strategia era completamente sbagliata.
Ieri, 18 novembre 2024, i capetti di questa rivolta, pedine su di un’ampia scacchiera, sono stati condannati a pesanti pene detentive. Credevano di poterla fare franca e questo mostra la loro profonda ignoranza. La vecchia e pacifica Hong Kong, a causa loro, è morta e con lei il sogno di poter mutare la Cina per portarla verso uno sviluppo più armonioso e democratico. Hanno vandalizzato il Parlamento e attaccato chiunque dissentisse dalle loro posizioni radicali, utilizzando la violenza per radicalizzare la lotta e illudendosi che Stati Uniti e i paese europei li avrebbero seguiti giù per questa strada chiusa.
Un grave errore di calcolo, per raggiungere il successo avrebbero dovuto utilizzare la via dell’amore e della diplomazia nei confronti della Cina. Questo lo abbiamo sempre sostenuto in venticinque anni di articoli e interviste, temevamo di aver ragione e i fatti lo provano.
L’ex accademico legale Benny Tai Yiu-ting è stato incarcerato per 10 anni per aver cospirato per sovvertire il potere dello Stato dopo aver avviato un’elezione legislativa “primaria” non ufficiale nella speranza di far cadere il governo di Hong Kong quattro anni fa. Il sessantenne ex professore dell’Università di Hong Kong è stato uno dei 45 politici e attivisti dell’opposizione condannati martedì dal tribunale di West Kowloon, su un gruppo di 47 perseguiti in un caso storico di sicurezza nazionale per le elezioni non ufficiali del luglio 2020. Gli altri 44 imputati, la maggior parte dei quali erano stati candidati alle elezioni primarie, sono stati incarcerati per pene comprese tra i quattro anni e due mesi e i sette anni e nove mesi. Il caso contro due dei 47 è stato precedentemente archiviato.
I tre giudici dell’Alta Corte hanno adottato un punto di partenza di 15 anni di reclusione per Tai, dopo averlo considerato un “colpevole principale” del complotto di sovversione, che ha cercato di creare una “crisi costituzionale” dopo aver preso il controllo della legislatura. Gli sono stati inflitti 10 anni di carcere, dopo avergli tolto un terzo per la sua tempestiva ammissione di colpevolezza.
Tai è salito all’attenzione dell’opinione pubblica quando nel 2014 ha lanciato l’idea del movimento Occupy Central per una maggiore democrazia, che alla fine ha paralizzato parti della città per 79 giorni e ha causato danni materiali per miliardi di dollari
L’ex legislatore Au Nok-hin e gli ex consiglieri distrettuali Andrew Chiu Ka-yin e Ben Chung Kam-lun, che hanno organizzato il sondaggio non ufficiale con Tai, sono stati incarcerati per un periodo compreso tra sei anni e un mese e sette anni per aver coordinato i potenziali candidati e aver fornito assistenza amministrativa. Tutti e tre si erano trasformati in testimoni dell’accusa e avevano testimoniato contro altri membri dell’opposizione nella speranza di ottenere sentenze più clementi. Il tribunale ha applicato al trio pene iniziali comprese tra i 12 e i 15 anni di carcere, dopo aver constatato che, come Tai, appartenevano alla categoria più grave di “colpevoli principali” nell’ambito del regime di condanna a tre livelli previsto dalla legge sulla sicurezza nazionale. Ma i giudici hanno acconsentito a concedere loro sconti di pena dal 49 al 55% in riconoscimento della loro assistenza all’accusa nel processo e dei fattori attenuanti individuali.
L’attivista Joshua Wong Chi-fung – tra i 31 imputati che si sono dichiarati colpevoli – è stato condannato a 56 mesi. Tuttavia, la Corte non ha trovato alcuna ragione per ridurre ulteriormente la sua condanna a sette anni, a parte la riduzione automatica di un terzo per la sua dichiarazione di colpevolezza tempestiva, notando che Wong aveva subito molteplici condanne in passato e non aveva commesso il reato attuale per errore. La corte ha inoltre rifiutato di concedere ulteriori riduzioni in quanto non poteva condannarlo in un’unica soluzione per tutti i suoi reati, compresi quelli commessi durante le proteste antigovernative del 2019.
L’ex giornalista diventata legislatrice Claudia Mo Man-ching, 67 anni, è stata incarcerata per quattro anni e due mesi dopo essersi dichiarata colpevole del reato. Mo, che in precedenza aveva la cittadinanza britannica, ha attirato l’attenzione dei legislatori britannici, che hanno chiesto il suo rilascio per consentirle di ricongiungersi con il marito, il giornalista Philip Bowring.
I tre giudici hanno iniziato a condannare Mo a sette anni dopo aver respinto l’argomentazione del suo avvocato secondo cui non avrebbe partecipato attivamente allo schema, citando il suo precedente impegno a porre un veto indiscriminato al bilancio se fosse stata eletta. La corte ha ridotto la pena di un terzo per riflettere la sua dichiarazione di colpevolezza e ha concesso un’ulteriore riduzione di sei mesi alla luce del suo passato di servizio pubblico come ex legislatore e della sua ignoranza della legge.
Anche l’ex presidente del Partito Democratico Wu Chi-wai e l’ex leader del Partito Civico Alvin Yeung Ngok-kiu hanno ammesso il reato di cospirazione prima del processo, ricevendo rispettivamente quattro anni e cinque mesi e cinque anni e un mese di carcere. Gli ex legislatori Helena Wong Pik-wan, Lam Cheuk-ting, “Capelli lunghi” Leung Kwok-hung e Raymond Chan Chi-chuen sono stati tra i 14 imputati condannati dopo il processo e sono stati incarcerati per pene comprese tra i sei anni e sei mesi e i sei anni e nove mesi. Gli attivisti Gwyneth Ho Kwai-lam, Owen Chow Ka-shing e Winnie Yu Wai-ming, affiliati a una fazione localista più radicale, sono stati incarcerati da 81 a 93 mesi dopo essersi dichiarati non colpevoli dell’accusa. Il tribunale ha ordinato che la pena detentiva di Chow, pari a sette anni e nove mesi, venga scontata consecutivamente a un precedente caso in cui era stato incarcerato per cinque anni e un mese per aver preso parte a una rivolta presso il Consiglio legislativo nel luglio 2019, il che significa che l’attivista dovrà trascorrere un totale di 12 anni e 10 mesi dietro le sbarre. I giudici hanno notato che Chow è stato uno dei tre promotori di una dichiarazione online, intitolata “Resistenza risoluta, inchiostrata senza rimpianti”, in cui i firmatari si impegnavano a rispettare il piano di Tai di porre indiscriminatamente il veto al bilancio del governo una volta eletto nella legislatura.
L’ex giornalista Ho, che ha scelto di non chiedere clemenza, è stato incarcerato per sette anni, la seconda condanna più pesante tra i partecipanti alle elezioni primarie. In un post sui social media caricato poco dopo il verdetto dai suoi amici, Ho ha sostenuto che la narrazione proposta dall’accusa non era “solo una distorsione dei fatti o una minaccia per l’opinione pubblica”, ma costringeva anche gli accusati a “rinnegare le loro esperienze di vita”.
Il commerciante Mike Lam King-nam, che ha annullato la sua precedente dichiarazione di non colpevolezza ed è diventato testimone dell’accusa, è stato condannato a cinque anni e due mesi di carcere dopo che i giudici hanno rifiutato di concedergli un’ulteriore riduzione per aver testimoniato al processo.
La pena per i partecipanti che si sono dichiarati non colpevoli variava da sei anni e sei mesi a sette anni e nove mesi. Owen Chow ha ricevuto la pena più pesante di sette anni e nove mesi.
Secondo l’ordinanza sulla salvaguardia della sicurezza nazionale, la controparte nazionale della legge sulla sicurezza nazionale, nessun detenuto condannato per tali reati può essere rilasciato anticipatamente a meno che il commissario del servizio correzionale non ritenga che la decisione non comprometta gli interessi del Paese.
La nuova regola significa che la maggior parte dei 45 imputati dovrà scontare interamente la propria pena prima di essere rilasciati.
Forse è vero che i sondaggi modellano, e non analizzano, l’opinione pubblica. Perché è stato speso mezzo miliardo di dollari per i sondaggi di queste elezioni? Non certo per scoprire i fatti. Sarò cinico, lo so. Ma mi piace vedere la regola generale. Un sondaggio in politica viene probabilmente pubblicato solo quando favorisce ciò che chi paga il sondaggio vuole sentire. Allora viene diffuso, a suggello e garanzia della loro vittoria. Lo si fa per castrare il nemico, e far perdere la speranza ai suoi alleati e sostenitori.
La sinistra gestisce il mondo, in generale. Possiede il controllo e il personale del deep state, della palude, del blob. In Italia, negli Stati Uniti e nell’UE sono tutti disgustosamente ben definiti dai loro acronimi da quattro soldi.
La sinistra li gestisce tutti, con il suo ateismo innaturale. Molti conservatori sono di sinistra, come tutti sanno. I sondaggi hanno quindi garantito una vittoria della sinistra.
Attualmente sto leggendo il libro di memorie di Boris Johnson e mi sembra un po’ un conservatore. Gli piace la Gran Bretagna, vuole “livellarla”, come dice lui. Si preoccupa degli anglosassoni. Allora, come fa a essere di sinistra? Beh.. non trovate un solo punto in cui dice che voleva invertire una qualsiasi delle cose socialiste che distruggono la Gran Bretagna, che uccidono il Parlamento, fatte da Blair e Brown. Non aveva alcun interesse a farlo. Gli piace la Gran Bretagna così com’è: di sinistra. Sembra che non gli sia mai passato per la testa di dover lottare per plasmare in modo conservatore il panorama politico della vecchia ed eterna Gran Bretagna di cui avrebbe dovuto essere a capo. Non esistono politici di destra; in qualche modo, solo il popolo è ancora un vero essere umano. La classe politica pare più un rettilario.
I sondaggisti sembrano non aver notato il passaggio degli elettori latini a favore di Trump, dopo aver mancato il voto dei bianchi nelle due precedenti elezioni. Dopo aver ottenuto circa un terzo dei voti maschili latini nel 2016 e nel 2020, un exit poll della NBC suggerisce che questa volta Trump ha ottenuto più della metà dei voti. Per migliorare l’accuratezza dei sondaggi dopo le precedenti debacle (nel 2012, i sondaggi hanno sottostimato il voto di Obama di quattro punti percentuali) i sondaggisti hanno utilizzato metodi sempre più complicati per aggiustare i loro campioni in modo da fornire un riflesso più veritiero della popolazione. Ma come abbiamo imparato durante il Covid, i modelli spesso non si adattano bene a un mondo che cambia. Avrebbero tenuto conto dell’aumento di giovani uomini bianchi che si sono schierati a favore di Trump, forse a seguito della sua apparizione nel podcast di Joe Rogan, per esempio?
Non tutti però se la sono cavata così male. La società JL Partners di James Johnson ha pronosticato correttamente l’elezione di Trump, pur sottovalutando il suo successo nel collegio elettorale. Preoccupati che gli elettori di Trump non fossero presenti nei sondaggi telefonici e nei panel di zoom, hanno utilizzato i sondaggi come giochi in-app con premi per il completamento del sondaggio. Sembra che abbia funzionato.
Ma siamo troppo severi con i sondaggisti? L’errore medio negli Stati in bilico non era così insolito (circa tre punti percentuali). Quello che sembra essere andato storto, però, è che Trump ha vinto ogni volta in Stati in cui gli statistici pensavano che il risultato sarebbe stato un testa a testa. I sondaggisti semplicemente non si aspettavano la portata della ondata rossa.
Eppure chi scommetteva soldi, trattando come cavalli Kamala e Donald, hanno azzeccato tutto e la prossima volta i candidati dovrebbero affidarsi a loro, perché sono messaggeri del mondo reale.
Dieses Buch wurde bei der Verleihung des Lord-Byron-Preises in Lerici (Ligurien) anlässlich des 200 todestages des großen englischen Dichters ausgezeichnet.
Angelo Paratico, Historiker und Romanautor, präsentiert sein neues Buch mit dem Titel „Mussolini in Japan“, das bei Gingko Edizioni erschienen ist. Es handelt sich um einen kurzen Roman, der zahlreiche historische Bezüge enthält. Zum ersten Mal wird die Möglichkeit angesprochen, dass der Mann, der am 28. April 1945 in Giulino di Mezzegra getötet wurde, nicht Benito Mussolini war, sondern ein Doppelgänger.
Dies würde das widersprüchliche Verhalten in seinen letzten Tagen und all die Rätsel erklären, die die Umstände seines Todes noch immer umgeben. Seine Unentschlossenheit bei seinen Entscheidungen nach Como scheint unerklärlich, ebenso wie die Tatsache, dass sein Gesicht bei seiner Ankunft am Piazzale Loreto entstellt war. Und es ist nicht klar, warum er heimlich erschossen und nicht zum nur wenige Kilometer entfernten Seeufer von Dongo gebracht wurde, um dort zusammen mit den anderen Hierarchen und einem unglücklichen Anhalter öffentlich hingerichtet zu werden.
Am 25. April 1945 hatte Mussolini in Mailand mehrere Möglichkeiten, sich zu retten, aber er wollte sie nicht nutzen. Zunächst schloss er sich im Castello Sforzesco ein und wartete auf die Ankunft der Alliierten. Die Partisanen hatten keine schweren Waffen und wären nicht in der Lage gewesen, es einzunehmen. Ein weiterer Fluchtweg, der von Vittorio Mussolini favorisiert wurde, war die Flucht zum Flughafen Ghedi, um dort ein SM79 zu besteigen, das ihn nach Spanien bringen sollte. Entgegen der landläufigen Meinung kam die Schweiz nicht in Frage, da Mussolini wusste, dass man ihn dort niemals durchlassen würde.
Es gab einen anderen Fluchtweg, der weitaus komplexer war und für den absolute Geheimhaltung eine absolute Voraussetzung war. Dazu gehörte der Einsatz eines U-Bootes. Dieser Plan war von Enzo Grossi (1908-1960) ausgearbeitet worden, einem hochqualifizierten und hochdekorierten U-Boot-Fahrer, der für die Betasom-Basis in Frankreich verantwortlich war. Kommandant Grossi selbst erwähnte diese Vorbereitungen in seinen Memoiren mit dem Titel „Dal Barbarigo a Dongo“, die heute nicht mehr erhältlich sind. Grossi war ein mutiger Mann der See, der jung starb, verbittert darüber, dass er fälschlicherweise beschuldigt wurde, die Unterlagen gefälscht zu haben, um zwei Goldmedaillen, eine Silbermedaille und zwei deutsche Kriegsverdienstkreuze zu erhalten, indem er über den Untergang von zwei amerikanischen Schlachtschiffen mit dem U-Boot Barbarigo log, das er am 20. Mai 1942 vor der brasilianischen Küste kommandierte.
Nach dem Krieg wurde sein Fall von einem Admiralausschuss untersucht, der ihn des Betrugs beschuldigte, dabei aber die unterschiedlichen Zeitzonen nicht berücksichtigte. Wie Antonino Trizzino in seinem 1952 veröffentlichten Buch „Schiffe und Sessel“ nachwies, versenkte Grossi zwei große feindliche Schiffe, aber es waren nicht die, für die er sie gehalten hatte. Durch das Periskop eines U-Boots, mitten in einer riskanten Operation und bei rauer See, sind alle Schiffe schwer zu identifizieren.
Durch ein Dekret des Präsidenten der Republik wurden ihm seine Medaillen aberkannt. Er protestierte vehement und wurde im Oktober 1954 wegen „Beleidigung des Staatsoberhaupts“ auf der Grundlage eines Briefes, den er an den Präsidenten geschrieben hatte, zu 5 Monaten und 10 Tagen Gefängnis verurteilt. Grossi war in die RSI involviert, obwohl er nie aus der faschistischen Partei ausgetreten war und mit einer jüdischen Frau verheiratet war, die ihre Religion weiterhin praktizierte. Er konnte sie gerade noch der SS entreißen, die sie freiließ und ihr erlaubte, zu ihren Kindern nach Hause zurückzukehren.
In Kapitel XI seines Buches mit dem Titel „Ein U-Boot für Mussolini“ berichtet Grossi, dass Tullio Tamburini ihm offenbarte, er habe mit den japanischen Verbündeten eine Vereinbarung getroffen, ein großes U-Boot für die Rettung vorzubereiten, das er nach seinen Plänen kommandieren und in den Pazifik bringen würde. Tamburini erzählte Mussolini von diesem Plan, aber dieser antwortete, dass er nichts damit zu tun haben wolle. Dies wurde von Mussolini selbst bestätigt, als er Grossi im Februar 1945 traf und ihm für seine Bemühungen dankte. Dann fügte er hinzu: „Ich bin nicht daran interessiert, wie ein gewöhnlicher Mensch zu leben. Ich sehe, dass mein Stern untergeht und meine Mission beendet ist …“
Die Existenz dieser Pläne wurde auch vom stellvertretenden Sekretär der Republikanischen Faschistischen Partei und ehemaligen Bundesminister von Verona, Antonio Bonino, in seinen Memoiren mit dem Titel „Mussolini erzählte mir“ bestätigt, die 1950 in Argentinien veröffentlicht wurden.
Das ist anscheinend alles, was darüber bekannt ist, aber laut Paratico entwickelte sich der Mechanismus unabhängig vom Willen der Schöpfer weiter und wurde angepasst, indem das Kommando über das ozeanische U-Boot Luigi Torelli einem Deutschen anvertraut wurde. So wurde Mussolini am frühen Nachmittag des 25. April 1945 von einem Auto abgeholt, das von einem japanischen Diplomaten gefahren wurde, der ihn nach Triest brachte, wo er an Bord des U-Boots Torelli ging, das nach seiner Rückkehr aus Japan im Hafen auf ihn wartete. Es wurde im September 1945 von den Amerikanern vor der Bucht von Tokio versenkt.
Wenn man die alternative Geschichte beiseitelässt und sich dem Roman zuwendet, muss ich sagen, dass sich dieses Buch gut liest und mich an ein anderes Buch mit einem ähnlichen Thema und ähnlichem Verlauf erinnert hat, das ich vor einigen Jahren gelesen habe. Der Autor war der große belgische Schriftsteller und Sinologe Simon Leys (Pierre Ryckmans), und der Titel lautete „Der Tod Napoleons“. Leys stellte sich vor, wie Napoleon, der auf St. Helena inhaftiert ist, durch einen Doppelgänger ersetzt wird und inkognito nach Frankreich zurückkehrt. Nach verschiedenen Wechselfällen wird Napoleon gezwungen, das Leben eines „gewöhnlichen Mannes“ zu führen, und teilt sich ein Bett mit einer Pariser Ortolana. In der Zwischenzeit schmiedet er zwischen Kohlköpfen und Gemüse heimlich Rachepläne, erkrankt jedoch und stirbt. Alle, die sich mit dem Napoleon-Epos befasst haben, sind von dieser bizarren Fantasie von Leys beeindruckt, die dieser großen Persönlichkeit eine neue Facette, einen Denkanstoß hinzufügt.
Der von dem Autor beschriebene Mussolini ist von Trauer und Schuldgefühlen gezeichnet und weint häufig. Wenn er an seine Jugend als Anarchist und mittelloser Sozialist zurückdenkt, denkt er, dass er als Partisan in die Berge hätte gehen und dann gegen die einfallenden Deutschen hätte kämpfen sollen, anstatt sich ihnen anzuschließen. Sein Leid und sein Bedauern werden nur teilweise in den Mauern eines alten buddhistischen Tempels in Nikko gelindert.
Die Idee des Autors ist äußerst originell und wurde noch nie zuvor erforscht. Und mit diesem schmalen Buch beweist er, dass er nicht nur über ein tiefes Wissen über den Menschen verfügt, sondern auch über den Menschen selbst.
Una cara amica mi ricorda le gravi responsabilità europee nel caos del Medio Oriente, responsabilità che, a suo parere, datano dal tempo delle crociate. Le rispondo che sono d’accordo con lei, infatti commettemmo eccessi e crudeltà e poi aggiungo che, forse, nel caso nostro ci muovemmo più per avidità che per zelo religioso. Ma fu davvero così? Poi dopo aver meditato sulle mie stesse parole e tolto la polvere a certi libri che da anni non aprivo, debbo ammettere che la mia visione della realtà è stata distorta. Credo che le crociate altro non furono che un tentativo di difendere noi stessi e il nostro mondo da un aggressore feroce e spietato che andò vicino, nel corso dei secoli, a sottometterci alle sue leggi e alla sua religione.
Possiamo dire che fu solo grazie alla intelligenza, al coraggio e alla forza d’animo di un uomo se oggi l’Europa non è musulmana, quell’uomo fu Carlo Martello (686 – 741), camerlengo di palazzo, che riuscì a unire e a organizzare i franchi e i burgundi, bloccando l’avanzata islamica nel cuore dell’Europa.
La battaglia che – come quella di Maratona, nel 490 a.C. – decise del corso della storia europea fu combattuta fra Tours e Poitiers, proprio dove, nel 451, il generale romano Flavio Ezio, fermò gli Unni di Attila.
Ecco ciò che scrisse il grande storico Edward Gibbon: “Una linea di vittorie lunga mille miglia venne tirata da Gibilterra alla Loira. Una ripetizione di simili vittorie avrebbe portato i saraceni ai confini della Polonia e agli altopiani della Scozia; infatti il Reno non è inguadabile più del Nilo e dell’Eufrate e la flotta Araba avrebbe potuto navigare incontrastata sino alla foce del Tamigi. Forse l’interpretazione del Corano sarebbe oggi materia d’insegnamento nelle scuole di Oxford e gli alunni spiegherebbero a un gregge di circoncisi la santità della verità e della rivelazione di Maometto. Da tali calamità il mondo cristiano fu salvato dal genio e dalla fortuna di un solo uomo. Carlo, il figlio illegittimo di Pipino il vecchio…”.
Gli arabi sbarcarono a Gibilterra nel 711 e si dice che il loro generale, Tariq Bin Ziyad, diede ordine di bruciare la flotta per far capire ai propri uomini che intendeva conquistare o morire. Dopo aver soggiogato la Spagna e sconfitto i visigoti, un’armata di cavalieri arabi e berberi comandati da Abdul Rahman Al Ghafiri, governatore del Al-Andalus assediò Tolosa e poi mise al sacco Bordeaux, muovendosi verso Tours, la Città Santa dei Galli. Dopo aver riunificato la parte a nord dell’attuale Francia, Carlo Martello li affrontò il 25 ottobre 732.
L’armata del califfato islamico era perlopiù composta da cavalleria, circa 80.000 armati, mentre i franchi erano solo 30.000 ma tutti soldati di professione grazie alla preparazione di Carlo, che aveva trasformato un’orda di contadini – che ritornavano ai campi una volta terminata una guerra – in un esercito di professionisti: una fatto non più visto dai tempi di Roma.
Per poterli mantenere e pagare, Carlo espropriò i beni della chiesa francese. Un’altra sua grossa innovazione fu l’introduzione delle staffe per i cavalieri, anche se la sua armata era perlopiù composta da fanteria pesante.
Abbiamo vari resoconti, sia da parte araba che cristiana, che descrivono quello storico scontro avvenuto fra Tours e Poitiers. Gli invasori non conoscevano i franchi, anche se sapevano che erano numerosi e abili ma pensavano che davanti agli zoccoli dei loro cavalli se la sarebbero data a gambe, come facevano tutti i loro nemici. Carlo, invece, li conosceva bene, come pure le loro tattiche. Era informato del loro assedio a Bisanzio del 717-718 e dunque non li sottovalutava affatto. Un primo assedio musulmano a Bisanzio era stato posto nel 668, determinato dal fatto che Maometto (570?-632) aveva promesso un’indulgenza plenaria a chi avrebbe preso la città dei cesari. Questa sua promessa vien spesso ripetuta anche oggi, ma per il Profeta la città dei cesari era quella che oggi conosciamo come Istanbul, e che fu nota come Costantinopoli, Bisanzio e Romania, e che fu conquistata da Maometto II nel 1453, non la nostra Roma.
Le due armate si schierano l’una di fronte all’altra, ma franchi e burgundi ben conoscevano il terreno e s’attestarono su di un colle dove oggi sorge il villaggio di Moussais-la-Bataille. Per cinque o sei giorni si squadrano, senza muoversi. Carlo proibì ai suoi uomini d’attaccare: dovevano restare uniti formando dei quadrati, stare dietro ai loro scudi e tenendo le lance pronte e tagliare il ventre dei cavalli arabi che li avrebbero attaccati. Per loro fortuna gli arabi non usavano archi sofisticati, altrimenti sarebbero stati massacrati, come successe ai romani, a Carre con Crasso, nel 53 a.C.
Impaziente d’uscire da quella impasse, Abn al-Rahman ordinò un attacco frontale con la cavalleria ma il muro dei franchi non si spezzò. Gli scudi si aprivano e dai varchi uscivano dei guerrieri che lanciavano le loro francische (asce bipenni) e poi rientravano nei ranghi. Lo stesso comandante dei saraceni perì nell’assalto.
Con il sopraggiungere dell’oscurità la battaglia cessò, ma il mattino successivo i franchi scoprirono che il nemico era fuggito. Nell’accampamento saraceno erano emerse tensioni fra i vari comandanti, che si erano scagliati l’uno contro l’altro. Solo mille e cinquecento franchi morirono, mentre i corpi degli arabi e dei loro cavalli coprivano tutta la piana sottostante e i feriti vennero finiti a colpi di lancia.
Fu lì che Carlo si guadagnò l’epiteto di “Martello” e fu la sua vittoria che fermò l’avanzata del califfato Ummayyad (661-750) in Europa, anche se un nuovo tentativo fu fatto via mare, nel 736 dal figlio di Abdul Rahman, che sbarcò a Narbona. Rinforzò la fortezza di Arles e poi si mosse all’interno della Francia e di nuovo toccò a Carlo Martello di muoversi con l’esercito per fermarlo: riprese Montfrin e Avignone. Prudente come sempre, Carlo chiese l’intervento di Liutprando, il re dei Longobardi, che da Pavia si unì a lui con un esercito e poi insieme presero Arles con un brutale attacco frontale e con una scalata alle sue mura. Il figlio di Carlo Martello, Pipino, nel 737 era stato adottato da Liutprando per cementare l’amicizia fra i due guerrieri. Poi marciarono su Nimes, Agde e Béziers che erano state occupate dai musulmani dal 725 e le liberarono.
Ci si sarebbe aspettata più riconoscenza da parte della Chiesa nei confronti di Carlo Martello, ma diamo nuovamente la parola al grande storico inglese Edward Gibbon: “Ci saremmo aspettati che il grande salvatore della cristianità sarebbe stato santificato, o perlomeno benedetto dalla gratitudine del clero, dato che devono alla sua spada la propria esistenza. Nella pubblica calamità il camerlengo del palazzo era stato costretto ad appropriarsi delle ricchezze o, perlomeno, delle entrate di vescovi e cardinali, per dar sollievo alle finanze statali e pagare i soldati. I suoi meriti furono dimenticati, solo il suo sacrilegio fu ricordato e, in una lettera a un principe Carolingio, un sinodo francese non si peritò di dichiarare che il suo antenato era dannato; tanto che all’apertura della sua tomba, gli spettatori furono terrorizzati dall’odore di zolfo e dalle fiamme, seguite all’apparizione d’un orribile drago; e che un santo di quei tempi si trastullava nella visione dell’anima e del corpo di Carlo Martello bruciare, per l’eternità, nell’abisso dell’inferno”.
L’assemblea della società Quadrante Europa Terminal Gate, nella giornata di ieri, ha nominato il
nuovo Consiglio di Amministrazione per il triennio 2024-2026 di QETG SpA , (Quadrante Europa Terminal Gate) indicando – su proposta dell’Azionista ZAI – Enzo Agostino Righetti alla Presidenza della società e indicando come Amministratore Delegato, su proposta del Socio RFI, Christian Colaneri, ruolo in continuità con il triennio precedente, direttore Strategie, Sostenibilità e Pianificazione sviluppo rete di RFI.
L’ambizioso progetto di continuare a sviluppare il terzo modulo dell’interporto di Verona
Quadrante Europa e di guardare a futuri investimenti nel primo Interporto d’Italia per volume di
traffico merci.
L’Assemblea ringrazia il presidente uscente, Giandomenico Franchini, per il prezioso lavoro svolto.
QETG è la società per azioni proprietaria del terzo modulo del Quadrante.
Senza entrare nel merito della nuova legge sull’Autonomia Differenziata (legge del 26 giugno 2024) di cui neppure conosco i termini, mi sento di dire che la campagna per la sua abolizione tramite referendum popolare lanciata dal PD, Cinque Stelle, verdi e CGIL non mi pare aver nessun fine concreto.
Il PD e i Cinque Stelle sono forze parlamentari che possono utilizzare il parlamento per modificare questa legge o abolirla, una volta che avranno il giusto mandato dall’elettorato. E se l’elettorato troverà dei meriti nella loro proposta allora li voterà, dandogli la maggioranza. Non ha nessun senso by-passare il Parlamento come farebbe una commissione referendaria, a differenza di una forza legislativa.
Penso che esistano dubbi sull’ammissibilità costituzionale di tale referendum, infatti: “Sono escluse dal referendum abrogativo le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Non è possibile abrogare disposizioni di rango costituzionale, gerarchicamente sovraordinate alla legge ordinaria”.
Inoltre, sarà necessario che il referendum, se passerà il vaglio della Corte Costituzionale, perché sia valido, debba raggiungere il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto. Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, ossia il 50% + 1 dei voti. Questo sarà pressoché impossibile, come ci dice l’esperienza dei decenni passati.
Dunque, questa storia della raccolta delle firme sposata dal PD e da altri, pare essere solo una trovata per poter giocare. Serve una volpe per fare una caccia alla volpe.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.