Domenica 24 settembre il pianeta Terra riceverà in consegna il più grande campione proveniente da un asteroide. Il capo missione, Dante Lauretta, è italiano.

Domenica 24 settembre il pianeta Terra riceverà in consegna il più grande campione proveniente da un asteroide. Il capo missione, Dante Lauretta, è italiano.

Una navicella spaziale della NASA volerà vicino alla Terra domenica e lascerà quello che si prevede essere un piccolo carico di detriti raccolti dall’asteroide Bennu, chiudendo una ricerca durata sette anni. La capsula campione verrà paracadutata nel deserto dello Utah, mentre la sua nave madre, la navicella Osiris-Rex, partirà per un incontro con un altro asteroide.

Gli scienziati prevedono di ottenere circa 250 grammi di sassolini e polvere, molto più del cucchiaino o poco più riportato dal Giappone da altri due asteroidi. Nessun altro Paese ha recuperato pezzi di asteroidi, capsule del tempo conservate dagli albori del nostro sistema solare che possono aiutare a spiegare come è nata la Terra e la vita.

L’atterraggio di domenica concluderà un viaggio di 4 miliardi di miglia (6,2 miliardi di chilometri), evidenziato dal rendezvous con Bennu, ricco di carbonio, da un atterraggio unico in stile e dalla cattura dei campioni, un coperchio inceppato che ha fatto fuoriuscire parte della scorta nello spazio e ora dal ritorno dei primi campioni di asteroidi della NASA.

“Mi chiedo quanti momenti da cardiopalma si possono avere in una vita, perché sento che forse sto raggiungendo il mio limite”, ha detto Dante Lauretta dell’Università dell’Arizona, scienziato capo della missione.

Una breve occhiata alla navicella spaziale e al suo carico:

IL LUNGO VIAGGIO
L’inseguitore di asteroidi Osiris-Rex è partito per la missione da 1 miliardo di dollari nel 2016. È arrivato su Bennu nel 2018 e ha trascorso i due anni successivi volando intorno alla piccola roccia spaziale rotante e individuando il posto migliore per raccogliere campioni. Tre anni fa, la navicella si è avvicinata e ha raggiunto il suo bastone aspirante di 3 metri, toccando momentaneamente la superficie dell’asteroide e aspirando polvere e sassolini. Il dispositivo ha premuto con una forza tale e ha afferrato così tanto che le rocce si sono incastrate intorno al bordo del coperchio. Mentre i campioni andavano alla deriva nello spazio, Lauretta e il suo team si sono affannati per inserire il materiale rimanente nella capsula. La quantità esatta all’interno non sarà nota fino a quando il contenitore non sarà aperto.

ASTEROIDE BENNU

Dante Lauretta

Scoperto nel 1999, si ritiene che Bennu sia un residuo di un asteroide molto più grande che si è scontrato con un’altra roccia spaziale. È largo appena mezzo chilometro, all’incirca l’altezza dell’Empire State Building, e la sua superficie nera e ruvida è piena di massi. Di forma tondeggiante come una trottola, Bennu orbita intorno al Sole ogni 14 mesi, ruotando ogni quattro ore. Gli scienziati ritengono che Bennu contenga avanzi della formazione del sistema solare, avvenuta 4,5 miliardi di anni fa. E potrebbe avvicinarsi pericolosamente e colpire la Terra il 24 settembre 2182, esattamente 159 anni dopo l’arrivo dei primi pezzi dell’asteroide. Lo studio ravvicinato di Osiris-Rex potrà aiutare l’umanità a capire come deviare Bennu, se necessario, ha detto Lauretta.

Osiris-Rex rilascerà la capsula campione da 63.000 miglia (100.000 chilometri) di distanza, quattro ore prima dell’atterraggio previsto presso il poligono di prova e addestramento dello Utah del Dipartimento della Difesa, domenica mattina. Il comando di rilascio arriverà dal centro di controllo del costruttore del veicolo spaziale Lockheed Martin in Colorado. Subito dopo, la nave madre si allontanerà per esplorare un altro asteroide. La capsula – larga quasi 81 centimetri e alta 50 centimetri – entrerà nell’atmosfera a 27.650 miglia orarie (44.500 km/h) per gli ultimi 13 minuti di discesa rimanenti. Il paracadute principale la rallenterà, consentendo un lieve atterraggio a 18 km/h. Una volta che tutto sarà ritenuto sicuro, la capsula sarà trasportata in elicottero in un laboratorio presso il poligono. Il mattino seguente, un aereo trasporterà il contenitore sigillato a Houston, sede del Johnson Space Center della NASA. La NASA trasmetterà in livestreaming l’atterraggio, previsto per le 10:55 circa.

Un nuovo laboratorio a Johnson sarà limitato a Bennu per evitare la contaminazione incrociata con altre collezioni, ha detto il curatore della NASA Kevin Righter. L’edificio 31 ospita già le rocce lunari portate dagli astronauti dell’Apollo dal 1969 al 1972, così come la polvere di cometa e i granelli di vento solare raccolti durante due missioni precedenti e i meteoriti di Marte trovati in Antartide. I campioni di asteroidi saranno maneggiati all’interno di cassette a guanti a spurgo di azoto da personale con tute da camera bianca dalla testa ai piedi. La NASA prevede di rivelare al pubblico la composizione di Bennu per l’11 ottobre.

AUTUNNO DEGLI ASTEROIDI
Questo autunno è quello che la NASA chiama l’autunno degli asteroidi, con tre missioni sugli asteroidi che segnano importanti pietre miliari. Il touchdown di Osiris-Rex sarà seguito dal lancio di un altro cacciatore di asteroidi il 5 ottobre. Sia la navicella della NASA che il suo obiettivo – un asteroide metallico – che chiamano Psyche. Un mese dopo, la sonda Lucy della NASA incontrerà il suo primo asteroide da quando si è alzata in volo da Cape Canaveral, in Florida, nel 2021. Lucy passerà davanti a Dinkinesh nella fascia principale degli asteroidi tra Marte e Giove il 1° novembre. Si tratta di un riscaldamento per il tour senza precedenti di Lucy dei cosiddetti Troiani, sciami di asteroidi che fanno ombra a Giove intorno al Sole. Né Psiche né Lucy raccoglieranno souvenir, né Osiris-Rex nel suo prossimo incarico, che prevede l’esplorazione dell’asteroide Apophis nel 2029.

ALTRI RITORNI DI CAMPIONI
Questo è il terzo ritorno di campioni della NASA dallo spazio profondo, senza contare le centinaia di libbre (chilogrammi) di rocce lunari raccolte dagli astronauti dell’Apollo. La prima raccolta di campioni robotici dell’agenzia si è conclusa con un botto nel 2004. La capsula con le particelle del vento solare ha sbattuto contro il deserto dello Utah e si è frantumata, compromettendo i campioni. Due anni dopo, una capsula statunitense con polvere di cometa è atterrata intatta. La prima missione giapponese di campionamento di asteroidi ha restituito grani microscopici dall’asteroide Itokawa nel 2010. Il secondo viaggio ha restituito circa 5 grammi – un cucchiaino o poco più – dall’asteroide Ryugu nel 2020.

Testo del IL RACCONTO DELL’ANTICRISTO di Vladimir Sergeevic Soloviev. Con la presentazione del Cardinale Biffi

Testo del IL RACCONTO DELL’ANTICRISTO di Vladimir Sergeevic Soloviev. Con la presentazione del Cardinale Biffi

 

 

La Presentazione dell’Arcivescovo Giacomo Biffi (1928-2015)

Roma, 27 febbario 2007

 

1. Un pensatore e un profeta da riscoprire

La cultura filosofica occidentale non ha prestato finora molta attenzione a Vladimir Sergeevic Solovëv. Eppure Von Balthasar – cui nessuno vorrà disconoscere l’ampiezza dell’informazione e la perspicacia del giudizio – non teme di indicare il pensiero soloveviano come «la più universale creazione speculativa dell’epoca moderna» (Gloria III, 266).
Solovëv è in realtà un autore di grande vigore e di indubbia originalità, che conosce e mette a frutto praticamente tutta la letteratura filosofica degli ultimi secoli. Ma fede cristiana e razionalità sono in lui ugualmente limpide e vive; anzi si illuminano e si alimentano reciprocamente: tanto basta a spiegarci perché al suo pensiero non sia riuscito di superare le censure del dogmatismo laicistico dominante.
Chi però lo avvicina senza pregiudizi, ne rimane di solito affascinato. È sperabile perciò che il suo benefico influsso possa crescere, ora che anche in Russia può irradiarsi liberamente.
Non intendo qui proporre neppure la più schematica introduzione alla riflessione soloveviana. Vorrei invece limitarmi a raccogliere da lui un ammonimento profetico, che mi pare di qualche rilevanza per la cristianità dei nostri giorni; un ammonimento che è espresso nell’ultima opera che egli ci ha lasciato: I tre dialoghi sulla guerra, il progresso, la fine della storia universale, e il racconto dell’Anticristo; un ammonimento che potrebbe appunto essere espresso con queste parole: Attenti all’Anticristo !

2. Il tema dell’Anticristo nella tradizione cristiana
Il discorso sull’Anticristo appartiene al patrimonio della Rivelazione e tutte le generazioni cristiane ne hanno sentito il fascino conturbante.
Già il Signore Gesù aveva preannunziato: «Sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli» ( Mt 24,24). San Paolo parla dell’«uomo iniquo», del « figlio della perdizione», di « colui che si contrappone», che dovrà manifestarsi alla fine (cfr. 2 Ts 2,3.4). L’appellativo di «anticristo», che poi entrerà in tutta la tradizione, è usato solo da san Giovanni nella sua prima lettera: «Come avete udito, deve venire l’anticristo; di fatto ora molti anticristi sono apparsi» (1 Gv 2, 18).
Si vede da questi testi che dall’origine si sviluppa una interpretazione, per così dire, pluralistica: si tratta di molti oppositori al disegno salvifico del Padre, che nelle varie epoche si presentano camuffati da annunciatori del Vangelo e da portatori della salvezza.
Nella coscienza religiosa russa il tema dell’Anticristo ebbe sempre un rilievo notevole, almeno a partire dall’epoca del «raskol», cioè dello scisma del secolo XVII. Per il campo specificamente letterario basterà ricordare che la celebre trilogia di Merežkovskij, Cristo e l’Anticristo, è praticamente contemporanea allo scritto soleveviano che qui ci interessa.
Solovëv affronta esplicitamente l’argomento dell’Anticristo solo negli ultimi mesi di vita. Ma esso è sempre stato ben vivo in lui, addirittura a partire dall’età infantile. Si riferisce press’a poco al settimo anno di sua vita quanto egli rivela nell’autobiografia: «L’esaltazione religiosa mi spingeva a diventare monaco; e, in vista della possibile imminente venuta dell’Anticristo, desiderando il martirio per la fede, cominciai a infliggermi dei tormenti» .
Da che cosa è connotata la figura dell’Anticristo nel comune sentimento ecclesiale? Ci sono alcuni elementi propri e determinanti.
– È sostanzialmente e radicalmente un personaggio al servizio del male: il suo scopo è portare l’umanità alla perdizione; il suo mezzo è l’inganno. Poiché l’unico Salvatore del mondo è Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, primariamente contro la persona di Cristo sarà rivolta la sua azione malefica (cfr. 1 Gv 4,3).
– L’Anticristo esternamente appare come arruolato al servizio del bene e della nostra salvezza. E dal momento che la salvezza nel piano di Dio è contenuta nel Vangelo, egli si ammanta di cristianesimo, propugna «valori» che possono essere intesi come evangelici, usa un linguaggio abbastanza conforme a quello di Gesù, «così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» ( Mt 24,24). San Paolo parla di «falsi apostoli» che «si mascherano da apostoli di Cristo» (2 Cor 11,13); e aggiunge: «Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce» (2 Cor 11,14).
– Per riconoscere l’Anticristo nella sua vera natura, l’elemento decisivo è il suo rapporto con la persona dell’Uomo-Dio crocifisso e risorto. Su tutti gli argomenti egli può parlare quasi come un autentico discepolo del Signore, anzi come il Signore stesso di cui assumerà le sembianze e il linguaggio; ma a proposito dell’evento salvifico dell’incarnazione e della redenzione non gli è consentito di assimilarsi. Si sa che il cristianesimo non è primariamente un sistema di idee, è un fatto: può dirsi cristiano senza ambiguità non chi condivide in qualche misura e per qualche aspetto la dottrina evangelica, ma chi accoglie il fatto cristiano. Finché si discorre di concetti e di «valori», l’astuzia demoniaca può sempre avere buon gioco, ma davanti all’avvenimento non ci si può travestire.

3. La personalità di Solovëv
A evitare possibili malintesi, credo utile premettere all’esposizione del pensiero Solovëviano circa l’Anticristo il richiamo di alcuni tratti della stessa concreta personalità del filosofo.
Solovëv è stato un uomo che ha lavorato tutta la vita, a prezzo di molte incomprensioni e sofferenze, al servizio della unificazione del genere umano e della pace tra i popoli. Pur conservando sempre un grande amore per la sua terra e pur avendo una concezione altissima della missione storica del popolo russo, ha lottato decisamente contro le prevaricazioni del nazionalismo e contro ogni forma di rifiuto degli «altri». È tipica a questo proposito la posizione non conformistica da lui tenuta nella questione polacca e nella questione ebraica. Per la gente di Israele, che già ai suoi tempi raccoglieva una vastissima antipatia in Russia e fuori di Russia, ha elevato la sua ultima preghiera, pochi istanti prima di morire.
Ha affrontato con grande impegno speculativo i problemi sociali generali e ha propugnato prospettive audacissime di giustizia e di solidarietà. Al tempo stesso ha costantemente nutrito un grande amore per il «prossimo» nel senso evangelico del termine, cioè per l’uomo in carne e ossa che ci ritroviamo accanto nella vicenda della vita. La sua generosità coi poveri era proverbiale: arrivava perfino a cedere, durante il rigido inverno russo, scarpe e cappotto ai mendicanti che incontrava per la strada.
Lungo tutto l’arco dell’esistenza si è adoprato per l’unità delle Chiese cristiane, tanto che il moderno ecumenismo deve riconoscere in lui uno dei suoi più determinanti ispiratori.
Era di grande mitezza, del tutto alieno da ogni violenza. La sua critica alla pena di morte, e in genere a ogni sistema penale che non si proponga con la difesa della società anche la rinascita interiore del delinquente, è acuta e stringente. Dopo l’uccisione dello zar Alessandro II, egli pubblicamente indica al figlio -il nuovo zar -il dovere cristiano del perdono, sollevando l’indignazione dell’opinione pubblica e guadagnandosi la perdita della cattedra.
I bambini e gli animali erano misteriosamente attratti da lui: gli uccelli parevano addirittura aver ritrovato un redivivo Francesco d’Assisi.
Si nutriva quasi esclusivamente di legumi e di tè. Nella discussione della sua tesi di dottorato del 1880 ammette che sia lecito cibarsi anche di carne, o almeno che la questione è discutibile, ma ribadisce che non è affatto eticamente consentito all’uomo infliggere sofferenze agli animali .
Aveva un grande amore per la natura, e si rattristava nel vederla a poco a poco perire sotto i colpi dell’egoismo imprevidente e del potere distruttivo del moderno tecnicismo .
La pubblicazione di alcuni versi appassionati per «Saimaa» gli valse la diceria di una sua tardiva infatuazione per qualche fanciulla finlandese; ed egli fu costretto a chiarire che Saimaa era un lago di cui – come spesso gli capitava con le bellezze naturali – si era perdutamente innamorato. Tener presenti queste sparse note della sua biografia sarà utile a valutare al meglio e senza equivoci fastidiosi la sua raffigurazione dell’Anticristo.

4. Le ultime persuasioni di Solovëv
Quando comincia a scrivere i Tre dialoghi , Solovëv ha già perso la speranza di veder realizzati i grandiosi progetti per i quali aveva tanto faticato e patito: la libera teocrazia, la riconciliazione delle Chiese, l’instaurazione in terra del Regno di Dio; ideale, quest’ultimo, che egli aveva condiviso con il suo amico Dostoevskij, come egli stesso afferma nel primo dei tre discorsi commemorativi: «Egli [Dostoevskij] credeva non soltanto al passato Regno di Dio, ma anche a quello futuro, e comprendeva la necessità del lavoro e del sacrificio eroico per il suo avveramento» .
A quarantasei anni – quando stende queste pagine – è fisicamente stremato e spiritualmente deluso. Ma scoraggiamento non significa affatto perdita della fede. Anzi: nella pena la sua fede si è piuttosto affinata ed essenzializzata, e il suo carisma profetico sembra essersi fatto più penetrante, almeno a giudicare da alcune sue previsioni.
Puntando lo sguardo sull’incipiente secolo XX, Solovëv lo preannunzia come «l’epoca delle ultime grandi guerre, delle discordie intestine e delle rivoluzioni».
Poche settimane prima di morire confida a un amico: «Sento che si avvicinano tempi in cui i cristiani dovranno radunarsi per la preghiera nelle catacombe. La fede sarà perseguitata dappertutto, forse meno brutalmente che ai giorni di Nerone, ma più sottilmente e crudelmente: per mezzo della menzogna, dell’inganno, della falsificazione» .
Nella prefazione ai Tre dialoghi (datata alla domenica di Pasqua del 1900) egli coglie con perfetta lucidità – contro il naturalismo tolstojano che non conosce nè demòni, nè redentori – che il problema vitale per l’uomo è quello di prendere sul serio il potere del male e di credere nella necessità di un intervento salvifico trascendente: «È forse il male soltanto un difetto di natura, un’imperfezione che scompare da se con lo sviluppo del bene, oppure una forza effettiva che domina il mondo per mezzo delle sue lusinghe, sicché per una lotta vittoriosa contro di esso occorre avere un punto d’appoggio in un altro ordine di esistenza?» . Questo è l’interrogativo semplice e drammatico che è posto in apertura del libro; e questa è ancora oggi una delle questioni che più radicalmente turbano e dividono la famiglia umana.
Le persuasioni circa la fine della storia, che presiedono alla stesura di queste sue ultime pagine, sono esposte con chiarezza già in una lettera scritta nel 1896 al suo amico Eugenio Tavernier. Si riassumono in tre affermazioni, che sgombrano il campo da ogni illusorio ottimismo nel quale egli stesso si era precedentemente cullato.
– «Il vangelo sarà predicato in tutta la terra; vale a dire, la verità sarà proposta a tutto il genere umano, o a tutte le nazioni». (Cfr. Mt 24,14: «Questo Vangelo del Regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine»).
– «Il Figlio dell’uomo troverà soltanto poca fede sulla terra; vale a dire: i veri credenti formeranno una minoranza insignificante, mentre la maggior parte dell’umanità seguirà l’Anticristo ». (Cfr. Lc 18,8: « Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? »; Mt 24,13: «Per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine, sarà salvato»; 2 Ts 2,1: «Prima dovrà venire l’apostasia»; 2 Tm 4,3: «Verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina,… Gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole»). Perciò, nota a questo punto Solovëv, «bisogna abbandonare l’idea della potenza e della grandezza esteriore della teocrazia come scopo diretto e immediato della politica cristiana».
– «Tuttavia, dopo una lotta breve e accanita, il partito del male sarà vinto e la minoranza dei veri credenti trionferà completamente». (Cfr. Mt 24,31: «Manderà i suoi angeli… e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli»).
Ma – aggiunge Solovëv – «La certezza del trionfo definitivo per la minoranza dei credenti non deve condurci a un’attitudine passiva. Questo trionfo non può essere un atto puro e semplice, un atto assoluto dell’onnipotenza di Cristo, perché se così fosse tutta la storia del cristianesimo sarebbe superflua. È evidente che Gesù Cristo, per trionfare giustamente e ragionevolmente dell’Anticristo, ha bisogno della nostra collaborazione…» .
Queste idee, comunicate a Tavernier nel 1896, sono le stesse che, in forma di dramma, saranno sceneggiate quattro anni dopo ne “Il racconto dell’Anticristo”.

5. L’Anticristo
Siamo così arrivati al centro del nostro argomento.
Solovëv prevede che, dopo le grandi guerre del secolo XX, i popoli, persuasi dei gravi danni derivati dalle loro rivalità, daranno origine agli Stati Uniti d’Europa. «Ma… i problemi della vita e della morte, del destino finale del mondo e dell’uomo, resi più complicati e intricati da una valanga di ricerche e di scoperte nuove nel campo fisiologico e psicologico, rimangono come per l’addietro senza soluzione. Viene in luce soltanto un unico risultato importante, ma di carattere negativo: il completo fallimento del materialismo teoretico» .
Non è a dire però che ciò comporti l’estendersi e l’irrobustirsi della fede. Al contrario, l’incredulità sarà dilagante. Sicché, alla fine si profila per la civiltà europea una situazione che potremmo definire di vuoto. In questo vuoto appunto emerge e si afferma la presenza e l’azione dell’Anticristo.
Più che la vicenda immaginata da Solovëv – nella quale l’Anticristo prima viene eletto Presidente degli Stati Uniti d’Europa, poi è acclamato imperatore romano, si impadronisce del mondo intero, e alla fine si impone anche alla vita e all’organizzazione delle Chiese – mette conto di richiamare le caratteristiche che sono qui attribuite a questo personaggio.
Era – dice Solovëv – «un convinto spiritualista». Credeva nel bene e perfino in Dio, «ma non amava che se stesso». Era un asceta, uno studioso, un filantropo. Dava « altissime dimostrazioni di moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza» .
Nella sua prima giovinezza si era segnalato come dotto e acuto esegeta: una sua voluminosa opera di critica biblica gli aveva propiziato una laurea ad honorem da parte dell’università di Tubinga.
Ma il libro che gli ha procurato fama e consenso universali porta il titolo: La via aperta verso la pace e la prosperità universale ; dove « si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l’assoluto individualismo con un’ardente dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di princìpi direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni pratiche» .
È vero che alcuni uomini di fede si domandavano perché non vi fosse nominato nemmeno una volta il nome di Cristo; ma altri ribattevano: «Dal momento che il contenuto del libro è permeato dal vero spirito cristiano, dall’amore attivo e dalla benevolenza universale, che volete di più?» .
D’altronde egli «non aveva per Cristo un’ostilità di principio» . Anzi ne apprezzava la retta intenzione e l’altissimo insegnamento.
Tre cose di Gesù, però, gli riuscivano inaccettabili.
Prima di tutto le sue preoccupazioni morali. «Il Cristo – affermava – col suo moralismo ha diviso gli uomini secondo il bene e il male, mentre io li unirò coi benefici che sono ugualmente necessari ai buoni e ai cattivi» . Poi non gli andava «la sua assoluta unicità» .
Egli è uno dei tanti; o meglio – si diceva – è stato il mio precursore, perché il salvatore perfetto e definitivo sono io, che ho purificato il suo messaggio da ciò che è inaccettabile all’uomo di oggi. Soprattutto non poteva sopportare il fatto che Cristo sia vivo, tanto che istericamente si ripeteva: «Lui non è tra i vivi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro…» .

6. Pacifismo, ecologismo, ecumenismo dell’Anticristo
Ma dove l’esposizione di Solovëv si dimostra particolarmente originale e sorprendente, tanto da meritare la più approfondita riflessione, è nell’attribuzione all’Anticristo delle qualifiche di pacifista, di ecologista, di ecumenista.
– Già s’è visto che la pace e la prosperità sono gli argomenti del capolavoro letterario del nostro eroe. Ma sono idee che egli riuscirà anche ad attuare. Nel secondo anno di regno, come imperatore romano e universale, potrà emettere il proclama: «Popoli della terra! Io vi ho promesso la pace e io ve l’ho data» . E proprio a questo proposito matura in lui la coscienza della sua superiorità sul Figlio di Dio: «Il Cristo ha portato la spada, io porterò la pace».
A ben capire il pensiero di Solovëv su questo punto gioverà citare quanto egli dice nel terzo dialogo per bocca del Signor Z., l’interlocutore che lo rappresenta: «Cristo è venuto a portare sulla terra la verità, ed essa, come il bene, innanzi tutto divide». «C’è dunque la pace buona, la pace cristiana, basata su quella divisione che Cristo è venuto a portare sulla terra, precisamente con la separazione tra il bene e il male, tra la verità e la menzogna; e c’è la pace cattiva, la pace del mondo, fondata sulla mescolanza o unione esteriore di ciò che interiormente è in guerra con se stesso» . Quanto al pensiero di Solovëv sulla guerra nel senso più comune e ovvio del termine, ricordiamo che il primo dei tre dialoghi è tutto dedicato alla critica del pacifismo tolstojano e della dottrina della non-violenza. La guerra – vi si afferma – è certamente un male, ma bisogna riconoscere che sia nella vita dei singoli sia in quella delle nazioni si danno situazioni in cui alla violenza malvagia non basta rispondere con gli ammonimenti e le buone parole. Possiamo dire che, secondo Solovëv, mentre gli ideali di pace e di fraternità sono valori cristiani indiscutibili e vincolanti, tali non possono essere ritenuti il pacifismo e la teoria della non-violenza che finiscono col risolversi troppo spesso in una resa sociale alla prevaricazione e in un abbandono senza difesa dei piccoli e dei deboli alla merce degli iniqui e dei prepotenti.
– L’Anticristo sarà un ecologista o almeno un animalista. Sono termini moderni che ovviamente Solovëv non usa; ma la sua descrizione è abbastanza chiara: «li nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di compassione, non solo amico degli uomini ma anche amico degli animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose i mattatoi a una severa sorveglianza; le società protettrici degli animali furono da lui incoraggiate in tutti i modi» .
– L’Anticristo infine si dimostrerà un eccellente ecumenista, capace di dialogare «con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza» . Convocherà i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane a «un concilio ecumenico da tenere sotto la sua presidenza» .
La sua azione mirerà a cercare il consenso di tutti attraverso la concessione dei favori concretamente più apprezzati.
«Se non siete capaci di mettervi d’accordo tra voi – dirà ai convenuti dell’assise ecumenica – spero di mettere d’accordo io tutte le parti, dimostrando a tutti il medesimo amore e la medesima sollecitudine per soddisfare la vera aspirazione di ciascuno» . Attuerà praticamente questo disegno, ridonando ai cattolici il potere temporale del papa, erigendo per gli ortodossi un istituto per la raccolta e la custodia di tutti i preziosi cimeli liturgici della tradizione orientale, creando a vantaggio dei protestanti un centro di libera ricerca biblica lautamente finanziato.
È un ecumenismo «quantitativo», che gli riuscirà quasi perfettamente: le masse dei cristiani entreranno nel suo gioco. Soltanto un gruppetto di cattolici con a capo il papa Pietro II, un esiguo numero di ortodossi guidati dallo staretz Giovanni e alcuni protestanti che si esprimono per bocca del professor Pauli resisteranno al fascino dell’Anticristo.
Costoro arriveranno ad attuare l’ecumenismo della verità, radunandosi in un’unica Chiesa e riconoscendo il primato di Pietro. Ma sarà un ecumenismo «escatologico», realizzato quando ormai la storia è pervenuta alla sua conclusione: «Così – racconta Solovëv – si compì l’unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura su un’altura solitaria. Ma l’oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un vivido splendore e in cielo apparve un grande segno: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle» .

7. L’allusione al tolstojsmo
In questa descrizione dell’Anticristo, così ricca di particolari suggestivi e inattesi, Solovëv ha avuto presente qualche modello concreto? È innegabile che in queste pagine si alluda soprattutto al «nuovo cristianesimo» di cui in quegli anni si taceva efficace banditore Lev Tolstoj.
Tra il filosofo e il romanziere ci sono stati incontri, scambi di lettere, qualche reciproco positivo apprezzamento. Ma in definitiva l’incomprensione tra i due grandi uomini e l’incompatibilità tra le loro rispettive posizioni sono state nette e sostanziali. Il che è tanto più significativo, se si pensa che su molte questioni specifiche (come la pena di morte, l’aspirazione alla pace universale, la lotta al gretto nazionalismo, il vivo sentimento della natura) le loro prospettive appaiono largamente coincidenti.
In una lettera del 1894, che costituisce forse il massimo tentativo di riavvicinamento Solovëv scriveva al suo antagonista: «Le ragioni del nostro contendere possono essere tutte condensate in un punto concreto: la risurrezione di Cristo» . Ma questo è in realtà il cuore non solo del cristianesimo, ma di ogni totale visione del mondo, almeno nella prospettiva soloveviana.
Nel suo «Vangelo» Tolstoj riduce tutto il cristianesimo alle cinque regole di comportamento, che egli desume dal Discorso della montagna:
1 . Non solo non devi uccidere, ma non devi neanche adirarti contro il tuo fratello.
2 . Non devi cedere alla sensualità, al punto che non devi desiderare neanche la tua propria moglie.
3 . Non devi mai vincolarti con giuramento.
4 . Non devi resistere al male, ma devi applicare fino in fondo e in ogni caso il principio della non-violenza.
5 . Ama, aiuta, servi il tuo nemico.
Questi precetti, secondo Tolstoj, vengono bensì da Cristo, ma per essere validi non hanno affatto bisogno dell’esistenza attuale del Figlio del Dio vivente. Perciò nel «Vangelo» di Tolstoj Cristo è a ben guardare superfluo, e anzi non c’è posto ne per l’Uomo-Dio ne per il Risorto dai morti .
La celebre risposta dello staretz Giovanni all’Anticristo, nel racconto soloveviano, è anche risposta a Tolstoj e confutazione diretta della sua predicazione: «Quello che noi abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo stesso. Lui stesso e tutto ciò che viene da lui, giacche noi sappiamo che in lui dimora corporalmente la pienezza della Divinità» . Tutti i «valori» – ivi compreso quello di una moralità elevatissima e raffinata come quella tolstojana – non hanno per noi senso alcuno, se ci sono dati avulsi dall’unica vera ricchezza che è la persona adorabile del Salvatore e l’avvenimento della nostra redenzione.
Certo Solovëv non identifica materialmente il grande romanziere con la figura «storica» dell’Anticristo, se non altro perché il Padrone del mondo è delineato come un uomo di molto senso pratico e di scarse preoccupazioni moralistiche. Ma ha intuito con straordinaria chiaroveggenza che proprio il tolstojsmo sarebbe diventato lungo il secolo XX il veicolo dello svuotamento sostanziale del messaggio evangelico, sotto la formale esaltazione di un’etica e di un amore per l’umanità che si presentano come «valori» cristiani.
In effetti, il dramma di molti giovani generosi dei nostri tempi, affascinati per esempio dall’idea della non-violenza e dell’antimilitarismo, è appunto che sono convinti in buona fede di essersi posti alla scuola di Cristo, in modo anche più autentico e coerente di quello tradizionale, mentre sono discepoli inconsapevoli di uno scrittore eccelso, nobile, ben intenzionato, ma radicalmente pagano.

8. L’ammonimento profetico di Solovëv
Qual è allora l’«ammonimento profetico» di cui parlavamo all’inizio?
Verranno giorni, ci dice Solovëv – e anzi sono già venuti, diciamo noi – quando nella cristianità si tenderà a risolvere il fatto salvifico, che non può essere accolto se non nell’atto difficile, coraggioso e razionale della fede, in una serie di «valori» facilmente esitabili sui mercati mondani.
Il cristianesimo ridotto a pura azione umanitaria nei vari campi dell’assistenza, della solidarietà, del filantropismo, della cultura; il messaggio evangelico identificato nell’impegno al dialogo tra i popoli e le religioni, nella ricerca del benessere e del progresso, nell’esortazione a rispettare la natura; la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità (cfr. 1 Tm 3,15), scambiata per un’organizzazione benefica, estetica, socializzatrice: questa è l’insidia mortale che oggi va profilandosi per la famiglia dei redenti dal sangue di Cristo.
Da questo pericolo, ci avvisa il più grande dei filosofi russi, noi dobbiamo guardarci. Anche se un cristianesimo «tolstojano» ci renderebbe infinitamente più accettabili nei salotti, nelle aggregazioni sociali e politiche, nelle trasmissioni televisive, non possiamo e non dobbiamo rinunciare al cristianesimo di Gesù Cristo, il cristianesimo che ha al suo centro lo «scandalo» della croce e la realtà sconvolgente della risurrezione del Signore.
Gesù Cristo, il Figlio di Dio crocifisso e risorto, unico Salvatore dell’uomo, non è «traducibile» in una serie di buoni progetti e di buone ispirazioni, omologabili con la mentalità mondana dominante. Gesù Cristo è una «pietra», come egli ha detto di sè: su questa «pietra», o affidandosi, si costruisce o ci si va a inzuccare: «Chi cadrà su questa pietra sarà sfracellato; e qualora essa cada su qualcuno, lo stritolerà» ( Mt 21,44).

9. « Avvenimento » e « valori »
È indubitabile che il cristianesimo sia prima di ogni altra cosa «avvenimento»; ma è altrettanto indubitabile che questo avvenimento propone e sostiene dei «valori» irrinunciabili. Non si può, per amore di dialogo, sciogliere il fatto cristiano in una serie di valori condivisibili dai più; ma non si può neppure disistimare i valori autentici, quasi fossero qualcosa di trascurabile. Occorre dunque un discernimento.
– Ci sono dei valori assoluti (o, come dicono i filosofi, trascendentali): tali sono, ad esempio, il vero, il bene, il bello. Chi li percepisce e li onora e li ama, percepisce, onora, ama Gesù Cristo, anche se non lo sa e magari si crede anche ateo, perché nell’essere profondo delle cose Cristo è la verità, la giustizia, la bellezza.
-Ci sono valori relativi (o categoriali), come il culto della solidarietà, l’amore per la pace, il rispetto per la natura l’atteggiamento di dialogo ecc. Questi meritano un giudizio più articolato, che preservi la riflessione da ogni ambiguità. Solidarietà, pace, natura, dialogo possono diventare nel non cristiano le occasioni concrete di un approccio iniziale e informale a Cristo e al suo mistero. Ma se nella sua attenzione essi si assolutizzano fino a svellersi del tutto dalla loro oggettiva radice o, peggio, fino a contrapporsi all’annuncio del fatto salvifico, allora diventano istigazioni all’idolatria e ostacoli sulla strada della salvezza.
Allo stesso modo, nel cristiano, questi stessi valori – solidarietà, pace, natura, dialogo – possono offrire preziosi impulsi all’inveramento di una totale e appassionata adesione a Gesù, Signore dell’universo e della storia; è, per esempio, il caso di san Francesco d’Assisi. Ma se il cristiano, per amore di apertura al mondo e di buon vicinato con tutti, quasi senza avvedersene stempera sostanzialmente il fatto salvifico nella esaltazione e nel conseguimento di questi traguardi secondari , allora egli si preclude la connessione personale col Figlio di Dio crocifisso e risorto, consuma a poco a poco il peccato di apostasia, si ritrova alla fine dalla parte dell’Anticristo .

10. « Isba mia, buco mio, salvatemi! »
Nella prefazione ai Tre dialoghi Solovëv racconta che, ai suoi tempi, in qualche governatorato della Russia aveva cominciato a diffondersi una nuova religione, che aveva estremamente semplificato la sua attività di culto. I suoi adepti «dopo aver praticato in qualche angolo buio nella parete dell’isba un buco di media grandezza… applicavano ad esso le labbra e ripetevano molte volte con insistenza: isba mia, buco mio, salvatemi!» .
In questa incredibile aberrazione – nota Solovëv – c’era almeno il pregio di un uso corretto dei termini: «l’isba la chiamavano isba e il buco… lo chiamavano buco».
Nel nostro mondo c’è invece di peggio, continua implacabilmente il filosofo. «L’uomo ha perduto l’antica schiettezza. La sua isba ha ricevuto la denominazione di “regno di Dio in terra”; quanto al buco, si è cominciato a chiamarlo “nuovo evangelo”». [Qui la polemica con Tolstoj è scoperta e addirittura feroce ].
Ma il cristianesimo senza Cristo e senza la buona notizia di una reale e personale risurrezione «è poi la stessa cosa di uno spazio vuoto, come un semplice buco, praticato in una isba di contadini» .
Ebbene, a me pare che anche e soprattutto oggi siamo alle prese con la cultura della pura e semplice «apertura», della libertà senza contenuti, del niente esistenziale. Questa è la più grande tragedia del nostro tempo. Ma la tragedia diventa ancora più grande quando a questo «niente», a queste «aperture», a questi «buchi» si attribuisce per amore di dialogo qualche ingannevole etichetta cristiana.
Fuori di Cristo – persona concreta, realtà viva, avvenimento – c’è solo il «vuoto» dell’uomo e la sua disperazione. In Cristo, che è il «plèroma» del Padre, l’uomo trova la sua pienezza e la sua sola speranza.

 

 

IL RACCONTO DELL’ANTICRISTO

di Vladimir Sergeevic SolovievMosca,

(16 gennaio 1853 – Uzkoe, 31 luglio 1900)

Il Signor Z. (legge) C’era in questo tempo, tra i credenti spiritualisti, un uomo ragguardevole – molti lo chiamavano superuomo -, il quale era lontano dall’infanzia della mente e dall’infanzia del cuore.

Egli era ancor giovane, ma grazie al suo genio eccelso a trentatré anni godeva fama di
grande pensatore, di scrittore e di riformatore sociale. Cosciente di
possedere in sé una grande forza spirituale, era sempre stato un
convinto spiritualista e la sua vivida intelligenza gli aveva sempre
indicato la verità di ciò a cui si deve credere: il bene. Dio, il Messia. Egli
credeva in ciò, ma non amava che se stesso. Credeva in Dio, ma nel
fondo dell’anima involontariamente e senza rendersene conto preferiva
se stesso a Lui. Credeva nel Bene, ma l’Occhio dell’Eternità, che vede
tutto, sapeva che quest’uomo si sarebbe inchinato davanti alla potenza
del male, appena appena questa riuscisse a corromperlo, non con
l’inganno dei sentimenti e delle basse passioni e nemmeno con la
suprema attrattiva del potere, ma solleticando il suo smisurato amor
proprio. Del resto questo amor proprio non era ne un istinto
incosciente ne una folle pretesa. A parte il suo talento eccezionale, la
sua bellezza e la sua nobiltà, anche le altissime dimostrazioni di
moderazione, di disinteresse e di attiva beneficenza, parevano
giustificare a sufficienza lo sconfinato amor proprio che nutriva per sé il
grande spiritualista, l’asceta, il filantropo. Se gli si rinfacciava di essere
così in abbondanza fornito di doni divini, egli vi scorgeva i segni
particolari di una eccezionale benevolenza dall’alto verso di lui e si
considerava come secondo dopo Dio, il figlio di Dio, unico nel suo
genere. In una parola egli riconosceva in sé quelle che erano le
caratteristiche del Cristo. Ma la coscienza della sua alta dignità all’atto
pratico non prendeva in lui l’aspetto di un obbligo morale verso Dio e il
mondo, ma piuttosto l’aspetto di un diritto e di una superiorità in
rapporto agli altri e soprattutto in rapporto al Cristo. Ma non aveva per
Cristo una ostilità di principio. Gli riconosceva l’importanza e la dignità
di Messia; però con tutta sincerità vedeva in lui soltanto il suo augusto
precursore. Per quella mente ottenebrata dall’amor proprio erano
inconcepibili l’azione morale del Cristo e la Sua assoluta unicità. Egli
ragionava così: “Cristo è venuto prima di me; io mi manifesto per
secondo, ma ciò che viene dopo in ordine di tempo, in natura è primo.
Io giungo ultimo alla fine della storia precisamente perché sono il
salvatore perfetto, definitivo. Quel Cristo è il mio precursore. La sua
missione era di precedere e preparare la mia apparizione”. E in base a
quest’idea, il grande uomo del secolo XXI applicava a se tutto ciò che è
detto nel Vangelo circa il secondo avvento, spiegando questo avvento
non come il ritorno di Cristo stesso, ma come la sostituzione del Cristo
precursore col Cristo definitivo, cioè se stesso.
In questo stadio «l’uomo del futuro» si presenta ancora in modo ben
definito e originale. Considerava il suo rapporto con Cristo alla stessa
guisa di Maometto, un uomo retto che non si può accusare di nessuna
cattiva intenzione.
La preferenza piena di amor proprio, che egli fa di se stesso nei
confronti del Cristo, verrà giustificata da quest’uomo con un
ragionamento di questo genere: «Il Cristo è stato il riformatore
dell’umanità, predicando e manifestando il bene morale nella sua vita, io
invece sono chiamato ad essere il benefattore di questa umanità, in
parte emendata e in parte incorreggibile. Darò a tutti gli uomini ciò che
è loro necessario. Il Cristo, come moralista ha diviso gli uomini secondo
il bene e il male, mentre io li unirò con i benefici che sono ugualmente
necessari ai buoni e ai cattivi. Sarò il vero rappresentante di quel Dio
che fa sorgere il suo sole e per buoni e per i cattivi e distribuisce la
pioggia sui giusti e sugli ingiusti. Il Cristo ha portato la spada, io porterò
la pace. Egli ha minacciato alla terra il terribile ultimo giudizio. Però
l’ultimo giudizio sarò io e il mio giudizio non sarà solo un giudizio di
giustizia ma anche un giudizio di clemenza. Ci sarà anche la giustizia ma
non una giustizia compensatrice bensì una giustizia distributiva.
Opererò una distinzione fra tutti e a ciascuno darò ciò che gli è
necessario.
E in questa magnifica disposizione, egli attende un chiaro appello di
Dio che lo chiami all’opera della nuova salvezza dell’umanità, una
testimonianza palese e sorprendente che lo dichiari il figlio maggiore, il
primogenito diletto da Dio. Attende e nutre il suo amor proprio con la
coscienza delle proprie virtù e delle proprie doti sovraumane; infatti egli
è, come si dice, un uomo di una moralità irreprensibile e di un genio
straordinario.
Questo giusto, pieno di orgoglio, attende la suprema sanzione per
cominciare la propria missione che porterà alla salvezza del l’umanità,
ma è stanco di aspettare. Ha già compiuto trent’anni e altri tre anni
trascorrono. Ed ecco gli balena nella mente un pensiero e con un
brivido ardente gli penetra fino al midollo delle ossa: «E se?… E se non
fossi io, ma quell’altro… Il Galileo… S’egli non fosse il mio precursore,
ma il vero primo ed ultimo? Però in tal caso dovrebbe essere vivente…
Dov’è dunque Lui?… Se a un tratto mi venisse incontro… in questo
momento, qui… Che Gli direi? Dovrei inchinarmi davanti a lui come
l’ultimo cristiano scimunito e borbottare stupidamente come un
qualsiasi cittadino russo: “Signore Gesù Cristo abbi pietà di me
peccatore”, oppure prostrarmi a terra come una donnetta polacca? Io
che sono un genio luminoso, il superuomo. No, mai! ». E a questo
punto al posto dell’antico ragionevole e freddo rispetto per Dio e per il
Cristo, germoglia e si sviluppa nel suo cuore dapprima una specie di
timore e poi l’invidia ardente che opprime e contrae tutto il suo essere;
infine l’odio furioso si impadronisce della sua anima. «Sono io, io, non
Lui! Lui non è tra i viventi e non lo sarà mai. Non è risorto, non è
risorto, non è risorto! È marcito, è marcito nel sepolcro, come
l’ultima…».
Con la schiuma alla bocca, a balzi convulsi, si lancia fuori dalla sua casa
e dal suo giardino e fugge nella notte fonda e buia per un sentiero
roccioso… Si placa il suo furore e ad esso succede una disperazione
arida e pesante come quelle rocce, oscura come quella notte. S’arresta
sull’orlo di un precipizio che cade a picco e ode di lontano il confuso
fragore di un torrente che scorre in basso fra le rocce. Un’angoscia
intollerabile gli opprime il cuore. A un tratto qualcosa si agita dentro di
lui. «Lo chiamerò per chiedergli ciò che debbo fare?». E nell’oscurità gli
appare un volto dolce e triste. «Egli ha compassione di me… No, mai!
Non è risorto, non è risorto! ». E si getta nell’abisso. Ma qualche cosa di
elastico come una colonna d’acqua, lo trattiene sospeso nell’aria, egli si
sente sconvolto come da una scossa elettrica, e una forza arcana lo
ributta indietro. Per un istante perde la conoscenza e si risveglia, in
ginocchio a qualche passo dal precipizio. Davanti a lui si stagliava una
figura avvolta in un nebuloso nimbo fosforescente e due occhi gli
trapassavano l’anima con un sottile insopportabile bagliore…
Vede quei due occhi penetranti e senza darsi conto se provenga dal suo
intimo o dall’esterno ode una strana voce sorda, perfettamente
contenuta e nello stesso tempo netta, metallica e priva affatto di anima
come quella di un fonografo. E questa voce gli dice: «Mio amato figlio,
in te è riposto tutto il mio affetto… Perché non sei ricorso a me? Perché
hai onorato l’altro, il cattivo e il padre suo! Io sono dio e padre tuo. Ma
quel mendicante, il crocifisso è estraneo a me e a te. Non ho altri figli
all’infuori di te. Tu sei l’unico, il solo generato, uguale a me. Io ti amo e
non esigo nulla da te. Così tu sei bello, grande, possente. Compi la tua
opera nel tuo nome e non nel mio. Io non provo invidia nei tuoi
confronti.
Ti amo e non richiedo nulla da parte tua. L’altro, colui che tu
consideravi come dio, ha preteso dal suo figlio obbedienza e una
obbedienza illimitata fino alla morte di croce e sulla croce lui non lo ha
soccorso. Io non esigo nulla da te, ma parimenti ti aiuterò. Per amor
tuo, per il tuo merito, per la tua eccellenza e per il mio amore puro e
disinteressato verso di te, io ti aiuterò. Ricevi il mio spirito. Come prima
il mio spirito ti ha generato nella bellezza, così ora ti genera nella forza».
A queste parole dello sconosciuto, le labbra del superuomo si sono
involontariamente socchiuse, due occhi penetranti si sono accostati
vicinissimi al suo volto ed ha provato la sensazione come se un getto
pungente e ghiacciato penetrasse in lui e riempisse tutto il suo essere. E
nel medesimo tempo si è sentito pervaso da una forza inaudita, da un
vigore, da una agilità e da un entusiasmo mai provati. In quello stesso
istante sono scomparsi a un tratto il fantasma luminoso e i due occhi e
qualcosa ha sollevato il superuomo sopra la terra e d’un colpo lo ha
deposto nel suo giardino.
Il giorno dopo, non solo i visitatori del grande uomo, ma perfino i
servitori furono stupiti per il suo aspetto particolare, quasi ispirato. Ma
sarebbero rimasti ancora più colpiti se avessero potuto vedere con quale
rapidità e facilità soprannaturali, rinchiuso nel suo studio, egli scriveva la
sua celebre opera La via aperta verso la pace e la prosperità universale.
I precedenti libri e l’azione sociale del superuomo avevano incontrato
dei severi critici, ancorché essi fossero per la maggior parte soprattutto
religiosi e perciò privi di qualsiasi autorità; infatti quello di cui parlo è il
tempo dell’Anticristo. E così, pochi erano stati coloro che avevano
potuto ascoltare questi critici, quando indicavano in tutti gli scritti e in
tutti i discorsi «dell’uomo del futuro» i segni di un amor proprio
assolutamente intenso ed eccezionale ed esprimevano dubbi di fronte
all’assenza di una vera semplicità, di rettitudine e di bontà di cuore.
Ma con questa sua nuova opera egli riuscì ad attirare a sé perfino alcuni
che in precedenza erano stati suoi critici ed avversari. Questo libro,
scritto dopo l’avventura dell’abisso, manifesta in lui la potenza di un
genio senza precedenti. È qualcosa che abbraccia insieme e mette
d’accordo tutte le contraddizioni. Vi si uniscono il nobile rispetto per le
tradizioni e i simboli antichi con un vaste e audace radicalismo di
esigenze e direttive sociali e politiche, uni sconfinata libertà di pensiero
con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l’assoluto
individualismo con una ardente dedizione al bene comune, il più elevato
idealismo in fatte di principi direttivi con la precisione completa e la
vitalità delle soluzioni pratiche. Tutto questo risultava così unito e legato
insieme con tale genialità d’arte che ogni singolo pensatore, ogni uomo
d’azione, poteva facilmente scorgere ed accettare l’insieme soltanto
sotto l’angolo particolare del proprio personale punto di vista. E questo
senza nulla sacrificare della verità in se stessa, senza elevarsi per essa
effettivamente al di sopra del proprio io, senza assolutamente rinunciare
di fatto al loro esclusivismo, senza nulla correggere circa gli errori di
opinione o di tendenza, senza colmare per nulla possibili lacune. Questo
libro meraviglioso è subito tradotto nelle lingue di tutte le nazioni
progredite e anche il alcune di quelle arretrate. Per un anno intero, in
tutte le parti del mondo, migliaia di giornali sono pieni zeppi della
pubblicità degli editori e dell’entusiasmo dei critici. Edizioni
economiche, col ritratto dell’autore, si diffondono a milioni di esemplari
e l’intero mondo civile (a quell’epoca cioè quasi tutto il globo terrestre)
si riempie della gloria dell’uomo incomparabile, grande, unico! Nessuno
osa ribattere a questo libro che appare a ciascuno come rivelazione della
verità integrale. Tutto il passato vi è trattato con così perfetta giustizia,
tutto il presente apprezzato con tanta imparzialità, sotto tutti gli aspetti
e il futuro migliore è accostato in modo così evidente e palpabile, che
ciascuno dice: «Ecco qui ciò di cui abbiamo bisogno; ecco un ideale che
non è utopia, ecco un progetto che non è una chimera». E il prodigioso
scrittore non se lo trascina tutti, ma ognuno lo trova gradevole e in tal
modo si compie la parola del Cristo.
«Sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accoglierete, un
altro verrà nel suo proprio nome e voi l’accoglierete». Infatti per essere
accolto bisogna essere piacevole.
Veramente alcune pie persone, pur lodando con calore il libro, si stanno
a domandare perché mai non vi sia nominato nemmeno una volta il
Cristo, ma altri cristiani ribattono: «Sia lodato Iddio! Nei secoli passati
tutte le cose sacre sono state rese logore da ogni sorta di zelatori senza
vocazione ed ora uno scrittore profondamente religioso deve essere
molto circospetto. E visto che il contenuto del libro è permeato dal
vero spirito cristiano, dall’amore attivo e dalla benevolenza universale,
che volete ancora?».
Questa risposta fa tornare l’accordo fra tutti. Poco dopo la
pubblicazione della Via aperta, che fece del suo autore l’uomo più
popolare che fosse mai comparso al mondo, si doveva tenere a Berlino
l’assemblea costituente internazionale dell’Unione degli Stati Uniti
d’Europa. Questa Unione, istituita dopo una serie di guerre esterne ed
interne, collegate con la liberazione dal giogo dei Mongoli e che aveva
mutato in modo considerevole la carta dell’Europa, questa Unione era
esposta al pericolo di uno scontro, ora non più tra le nazioni, ma tra i
partiti politici e sociali. I reggitori della politica generale europea,
appartenenti alla potente confraternita dei framassoni, si rendevano
conto della carenza di una autorità generale esecutiva. Raggiunta al
prezzo di tanta fatica, l’Unione europea era ad ogni istante sul punto di
disgregarsi. Nel consiglio dell’Unione o tribunale universale (Comité
permanent universel) non si era raggiunta l’unanimità, perché i veri
massoni, votati alla causa, non erano riusciti a impadronirsi di tutti i
seggi. I membri indipendenti del Comitato stringevano fra loro degli
accordi separati e questo fatto prospettava la minaccia di una nuova
guerra. Allora gli «adepti» decisero di rimettere il potere esecutivo nelle
mani di una sola persona, munita dei pieni poteri necessari. Il principale
candidato era un membro segreto dell’ordine, «l’uomo del futuro». Era
l’unica personalità che godesse di una rinomanza universale. Era per
professione scienziato nel ramo della balistica e per posizione sociale un
ricco capitalista; per questo aveva potuto annodare ovunque amichevoli
relazioni con uomini appartenenti alla finanza e all’esercito. In altri
tempi meno civili si sarebbe levata contro di lui la circostanza che la sua
origine era coperta da una densa nube di incertezza. Sua madre, donna
di facili costumi, era largamente nota in tutti e due gli emisferi, e troppi
uomini di diverse condizioni avevano uguale motivo di ritenerlo loro
figlio. Queste circostanze non potevano certo avere alcuna importanza
in un secolo così progredito che perfino gli era toccato in sorte di essere
l’ultimo. L’uomo del futuro fu eletto presidente a vita degli Stati Uniti
d’Europa con la quasi unanimità di suffragi e, quando comparve alla
tribuna in tutto lo splendore della sua sovrumana giovanile bellezza e
della sua forza e con eloquenza ispirata espose il suo programma
universale, l’assemblea sedotta ed affascinata, in uno slancio di
entusiasmo, decise di conferirgli senza votazione l’onore supremo: il
titolo di imperatore romano. Il congresso si chiuse fra il tripudio
generale e il grande eletto emanò un proclama che cominciava così:
«Popoli della terra! Vi do la mia pace! » e terminava con queste parole:
«Popoli della terra! Si sono compiute le promesse! L’eterna pace
universale è assicurata! Ogni tentativo di turbarla incontrerà
immediatamente una insuperabile resistenza. Giacché d’ora in poi c’è
sulla terra una potenza centrale più forte di tutte le altre potenze, sia
prese separatamente che prese insieme. Questa potenza, che nulla può
vincere e che prevale su tutti, appartiene a me il plenipotenziario, l’eletto
dell’Europa, l’imperatore di tutte le sue forze. Il diritto internazionale
possiede finalmente quella sanzione che fino adesso gli mancava. E
d’ora innanzi nessuna potenza oserà dire: guerra, quando io dico: pace.
Popoli della terra, la pace sia con voi!». Questo manifesto produsse
l’effetto desiderato. Ovunque fuori dell’Europa, specialmente in
America, sorsero dei forti partiti fautori dell’impero che costrinsero i
loro governi ad unirsi, a condizioni diverse, con gli Stati Uniti di
Europa, sotto l’autorità suprema dell’imperatore romano. Qua e là in
Asia e in Africa rimanevano ancora delle tribù e dei sovrani
indipendenti. L’imperatore, con un esercito poco numeroso, ma scelto,
formato da truppe russe, tedesche, polacche, ungheresi e turche, compie
una passeggiata militare dall’Asia orientale fino al Marocco e senza
grande spargimento di sangue sottomette tutti i recalcitranti. In tutte le
regioni di queste due parti del mondo, egli nomina dei governatori, presi
tra i magnati indigeni educati all’europea e a lui devoti. In tutti i paesi
pagani, la popolazione, abbagliata ed affascinata, ne fa una divinità
superiore. In un anno egli fonda la monarchia universale nel senso vero
e proprio della parola. I germi della guerra vengono estirpati fin dalla
radice. La lega universale della pace si riunisce per l’ultima volta,
pronuncia un entusiastico panegirico per il grande fondatore della pace
e poi si scioglie, non avendo più ragione di esistere. Nel secondo anno
di regno, l’imperatore romano e universale emette un nuovo proclama:
«Popoli della terra! Io vi ho promesso la pace e ve l’ho data. Ma la pace
è bella soltanto con la prosperità. Colui che nella pace è minacciato dai
mali della miseria non ha che una pace senza gioia. Venite dunque ora a
me tutti voi che avete fame e freddo che io vi sazierò e vi riscalderò». E
poi annuncia la semplice e completa riforma sociale che aveva già
tracciata nel suo libro e aveva ormai affascinato tutti gli spiriti nobili e
sensati. Ora grazie alla concentrazione nelle sue mani di tutte le finanze
del mondo e di colossali proprietà fondiarie, egli poté realizzare questa
riforma, venendo incontro ai desideri dei poveri, senza scontentare in
modo sensibile i ricchi. Ciascuno cominciò a ricevere secondo le sue
capacità.
Il nuovo padrone della terra era anzitutto un filantropo, pieno di
compassione e non solo amico degli uomini, ma anche amico degli
animali. Personalmente era vegetariano, proibì la vivisezione e sottopose
i mattatoi a una severa sorveglianza; le società protettrici degli animali
furono da lui incoraggiate in tutti i modi. La più importante di queste
sue opere fu la solida instaurazione in tutta l’umanità dell’uguaglianza
che risulta essere la più essenziale: l’uguaglianza della sazietà generale.
Questo evento si compì nel secondo anno del suo regno. La questione
sociale, economica, fu definitivamente risolta. Ma se la sazietà
costituisce il primo interesse per chi ha fame, per quelli che sono sazi
sorge il desiderio di qualche cosa d’altro.
Perfino gli animali, quando sono sazi, vogliono di solito dormire, ma
anche divertirsi. Tanto più l’umanità, che sempre post panem ha reclamato
circenses.
L’imperatore-superuomo comprende bene che cosa occorre per le
moltitudini a lui sottoposte. In quel tempo giunge in Roma a lui
dall’Estremo Oriente un grande operatore di miracoli, circondato da
una fitta nube di strane avventure e di bizzarri racconti fiabeschi.
Questo operatore di miracoli si chiamava Apollonio; era senza alcun
dubbio un uomo di genio, metà asiatico metà europeo, vescovo
cattolico in partibus infidelium, riuniva in sé in modo meraviglioso il
possesso delle conclusioni più recenti e delle applicazioni tecniche della
scienza occidentale, con la conoscenza e la capacità di servirsi di tutto
ciò che è veramente fondato e importante nel misticismo dell’Oriente.
Strabilianti saranno i risultati di una combinazione di tal genere!
Apollonio giunge fra l’altro all’arte mezzo scientifica e mezzo magica di
captare e di guidare a propria volontà l’elettricità dell’atmosfera, e fra il
popolo si dice che egli fa discendere il fuoco dal cielo. Del resto, pur
colpendo l’immaginazione della folla con svariati inauditi prodigi, non è
sceso ancora ad abusare della propria potenza per scopi particolari. Così
ecco che quest’uomo viene incontro al grande imperatore, lo saluta
chiamandolo vero figlio di Dio; e gli dichiara di aver trovato nei libri
segreti dell’Oriente predizioni che designano direttamente lui,
l’imperatore, come ultimo salvatore che giudicherà l’universo e propone
di mettere al suo servizio la propria persona e tutta la propria arte.
Affascinato, l’imperatore lo accoglie come un dono del cielo e, dopo
averlo decorato con titoli fastosi, non si separerà mai più da lui. E così i
popoli della terra, colmati di benefici dal loro signore, ottengono, oltre
la pace universale e la generale sazietà, anche la possibilità di dilettarsi
costantemente con i prodigi e le apparizioni più sorprendenti. Intanto
finisce il terzo anno di regno del superuomo.
Dopo la felice soluzione del problema politico e sociale, viene alla
ribalta la questione religiosa. Fu lo stesso imperatore a sollevarla,
affrontandola anzitutto nei suoi rapporti col cristianesimo. Questa era la
situazione del cristianesimo in quel tempo. Nonostante una fortissima
diminuzione del numero dei suoi fedeli — su tutto il globo terrestre
non rimanevano più di quarantacinque milioni di cristiani — esso si era
elevato e reso più compatto moralmente, guadagnando in qualità ciò
che aveva perduto in numero. Non si contavano ormai fra i cristiani
degli individui che non avessero più per il cristianesimo alcun interesse
spirituale. Le diverse confessioni religiose avevano subito una
diminuzione abbastanza similare nel numero dei fedeli, cosicché si era
approssimativamente mantenuta fra di esse la stessa proporzione
numerica di prima; per quanto concerne i loro sentimenti reciproci,
anche se all’inimicizia non era subentrato un ravvicinamento completo,
quella si era notevolmente addolcita e le opposizioni avevano perduto la
loro primitiva asprezza. Il Papato da tempo era stato scacciato da Roma
e dopo lunghe peregrinazioni aveva trovato un asilo a Pietroburgo, alla
condizione di non svolgere propaganda nella città e nell’interno del
paese. Il Papato si era notevolmente semplificato in Russia. Senza
modificare nella sostanza il rigoroso ordinamento dei suoi collegi e dei
suoi uffici, aveva dovuto rendere maggiormente spirituale il carattere
della loro attività e similmente ridurre al minimo la fastosità del suo
rituale e delle sue cerimonie. Molte costumanze strane ed allettanti,
anche se non erano state abolite formalmente, andarono in disuso da sé.
In tutti gli altri paesi, specialmente nell’America del Nord, la gerarchia
cattolica possedeva ancora molti rappresentanti di forte volontà, di
infaticabile energia e in una posizione indipendente: questi con maggior
forza di prima stringevano in pugno l’unità della Chiesa cattolica e le
conservavano il suo carattere internazionale cosmopolita. Per quanto
concerne il protestantesimo, in testa al quale continuava a mantenersi la
Germania, specie dopo che una parte considerevole della Chiesa
anglicana si era riunita alla Chiesa cattolica, esso si era sbarazzato delle
sue tendenze negatrici estreme, i cui sostenitori erano passati
apertamente all’indifferentismo religioso e all’incredulità. Nella Chiesa
evangelica erano rimasti soltanto i sinceri credenti, in testa ai quali
stavano uomini che riunivano in sé una vasta dottrina insieme ad una
profonda religiosità e che sempre più rafforzavano in sé l’aspirazione a
riprodurre in se stessi la viva immagine del vero cristianesimo primitivo.
L’ortodossia russa, dopo che gli avvenimenti politici avevano mutato la
posizione ufficiale della Chiesa, aveva perduto molti milioni di sedicenti
fedeli, adepti solo di nome; in compenso provava la gioia di essere unita
alla parte migliore dei vecchi credenti e perfino ai seguaci di molte sette
animate da uno spirito religioso positivo. Questa Chiesa rinnovata,
senza aumentare di numero, prese a sviluppare le sue forze spirituali,
che manifestava in particolar modo nella sua lotta interna contro le sette
estremiste che si erano moltiplicate tra il popolo e nella società e non
esenti da elementi demoniaci e satanici.
Durante i primi due anni del nuovo regime, tutti i cristiani ancora
impauriti e stanchi dalla serie di guerre e rivoluzioni precedenti,
dimostravano, nei riguardi del nuovo sovrano e delle sue pacifiche
riforme, in parte una benevola aspettativa, in parte una decisa simpatia e
perfino un ardente entusiasmo. Ma, al terzo anno, con la comparsa del
grande mago, molti, ortodossi, cattolici ed evangelici, cominciarono a
provare serie apprensioni e antipatie. Ci si pose a leggere con maggiore
attenzione e a commentare con più vivacità i testi evangelici e apostolici
che parlavano del principe di questo mondo e dell’Anticristo.
L’imperatore, subodorando da certi indizi che si stava addensando una
tempesta, decise di mettere le cose in chiaro al più presto. Al principio
del quarto anno di regno, egli pubblicò un manifesto indirizzato a tutti i
fedeli cristiani di ogni confessione, invitandoli a scegliere o nominare
dei rappresentanti muniti di pieni poteri, in vista di un concilio
ecumenico da tenere sotto la sua presidenza. La residenza imperiale a
quel tempo era stata trasferita da Roma a Gerusalemme. La Palestina
era allora una provincia autonoma, abitata e governata in prevalenza da
Ebrei. Gerusalemme era una città libera diventata in seguito città
imperiale. I luoghi sacri ai cristiani erano rimasti intatti; ma sulla vasta
piattaforma di Haram-es-Scerif, partendo da Birket-Israin e dall’attuale
caserma da un lato fino alla moschea di El-Aksa e alle «Scuderie di
Salomone» dall’altro lato, s’innalzava un enorme edificio che
comprendeva oltre a due piccole moschee antiche, uno spazioso
«tempio» imperiale, destinato all’unione di tutti i culti, due fastosi palazzi
imperiali con biblioteche, musei e dei locali particolari per esperimenti
ed esercizi di magia. In questo edificio mezzo tempio e mezzo palazzo,
doveva aprirsi, alla data del 14 settembre, il concilio ecumenico. Poiché
la confessione evangelica non ha clero nel vero senso della parola, i
prelati cattolici e ortodossi, per dare, conforme al desiderio
dell’imperatore, una certa omogeneità alla rappresentanza di tutte le
confessioni della cristianità, decisero di permettere che partecipasse al
concilio un certo numero di laici, noti per la loro pietà e la loro
dedizione agli interessi della Chiesa; e una volta ammessi i laici non si
poteva escludere il basso clero, secolare e regolare. In tal modo il
numero complessivo dei mèmbri del concilio superò i tremila, ma circa
mezzo milione di pellegrini cristiani invase Gerusalemme e tutta la
Palestina. Fra i mèmbri del concilio tre erano posti in particolare
evidenza.
In primo luogo il papa Pietro II che stava per diritto a capo della
sezione cattolica del concilio. Il suo predecessore era morto mentre era
in viaggio per recarsi al concilio e il conclave, riunitesi a Damasco, aveva
eletto all’unanimità il cardinale Simone Barionini che aveva assunto il
nome di Pietro II. Proveniva da una povera famiglia della provincia di
Napoli ed era diventato famoso come predicatore dell’ordine dei
Carmelitani e inoltre per aver reso grandi servizi nella lotta contro una
setta satanica, che si era affermata a Pietroburgo e nei suoi dintorni
pervertendo non solo gli ortodossi ma anche i cattolici. Divenuto
arcivescovo di Moghilev e in seguito fatto cardinale, era già in anticipo
designato alla tiara. Era un uomo di cinquant’anni di media statura, di
costituzione robusta, di colorito rosso, naso adunco, folte sopracciglia.
Era ardente e impetuoso, parlava con foga con ampi gesti e trascinava,
più che non li persuadesse, i suoi uditori. Verso il padrone del mondo, il
nuovo Papa dimostrava diffidenza e antipatia, specie dopo il fatto che il
defunto pontefice, mentre si recava al concilio, aveva ceduto alle
insistenze dell’imperatore e aveva nominato cardinale l’esotico vescovo
Apollonio, già cancelliere imperiale e gran mago universale, che Pietro
riteneva dubbio cattolico, ma autentico impostore. Capo effettivo degli
ortodossi, benché in forma non ufficiale era lo starets Giovanni assai
noto fra il popolo russo. Benché figurasse ufficialmente come vescovo
«a riposo» egli non viveva in nessun monastero e andava sempre m giro
da tutte le parti. Sul suo conto correvano varie leggende. Alcuni
assicuravano che era Fjodor Kuzmic risorto, vale a dire l’imperatore
Alessandro morto circa tre secoli prima. Altri andavano più avanti e
affermavano che egli era il vero starets Giovanni, cioè l’apostolo
Giovanni il Teologo che non era mai morto e si era manifestato
apertamente negli ultimi tempi. Da parte sua egli non diceva nulla circa
la sua origine e circa la sua giovinezza. Era adesso un vecchio di molti
anni ma aitante, con la canizie dei capelli ricciuti e della barba che tirava
ad una tinta giallastra e perfino verde; era di statura alta e corpo magro,
ma aveva guance piene e leggermente rosee occhi vivi e scintillanti e
un’espressione dolcemente bonaria ne!la faccia e nel modo di parlare;
portava sempre una tunica bianca e un candido mantello. A capo della
delegazione evangelica del concilio stava l’eruditissimo teologo tedesco,
professor Ernst Pauli. Era un vecchietto di bassa statura, asciutto, con
fronte spaziosa naso aguzzo, mento rasato e liscio. I suoi occhi
brillavano di una particolare fiera bonomia. Ad ogni momento si
stropicciava le mani, scuoteva la testa, aggrottava le ciglia in modo
terribile e spingeva ‘in avanti le labbra; intanto con occhi sfavillanti
pronunciava con voce cupa dei suoi interrotti: «So! Nun! Ja! So also!».
Indossava l’abito di cerimonia: cravatta bianca, e lunga redingote da
pastore con alcune decorazioni.
L’apertura del concilio fu imponente. Per due terzi dell’immenso tempio
consacrato «all’unione di tutti i culti» erano disposte panche e altri sedili
per i mèmbri del concilio, l’altro terzo era occupato da un alto palco,
dove oltre al trono dell’imperatore e ad un altro un po’ più basso
destinato al gran mago – egli era infatti cardinale cancelliere imperiale –
si trovavano più indietro file di poltrone riservate ai ministri, ai dignitari
di corte e ai segretari di Stato. Ai lati c’erano ancor più lunghe file di
poltrone di cui non si conosceva la destinazione. Nelle tribune si
trovavano delle orchestre di musicanti e nella piazza vicina erano
schierati due reggimenti della guardia e una batteria per le salve d’onore.
I membri del concilio avevano già celebrato i loro servizi divini nelle
varie chiese in quanto l’apertura del concilio doveva avere un carattere
completamente laico. Quando l’imperatore fece il suo ingresso insieme
al gran mago ed al seguito, e l’orchestra attaccò “la marcia dall’umanità
unita” che serviva da inno imperiale e internazionale, tutti i membri del
concilio si alzarono m piedi e agitando i loro cappelli gridarono tre volte
a gran voce: «Vivat! Urrah! Hoch!». L’imperatore, ritto in piedi accanto
al trono, tese il braccio con maestosa affabilità e disse con voce sonora e
gradevole: «Cristiani di tutte le confessioni! Miei amatissimi sudditi e
fratelli! Fin dagli inizi del mio regno, che l’Altissimo ha benedetto con
opere così meravigliose e gloriose, non una volta ho avuto motivo di
essere scontento di voi; voi avete sempre fatto il vostro dovere secondo
fede e coscienza. Ma questo per me non basta. Il sincero amore ch’io
provo per voi, fratelli amatissimi, anela di essere ricambiato. Voglio che
non per senso di dovere, ma per un sentimento di amore che viene dal
cuore, voi mi riconosciate per vostro vero capo, in ogni azione
intrapresa per il bene dell’umanità. E così oltre alle cose che faccio per
tutti, vorrei darvi un segno di particolare benevolenza. Cristiani, come
potrei io rendervi felici? Che posso darvi non come miei sudditi, ma
come miei correligionari, miei fratelli? Cristiani! Ditemi ciò che vi sta
più a cuore nel cristianesimo affinché io possa dirigere i miei sforzi in
questa direzione». Egli si arrestò ed attese. Nel tempio correva un
brusio soffocato. I mèmbri del concilio bisbigliavano tra loro. Papa
Pietro, gesticolando con calore, spiegava qualcosa a quelli che gli
stavano attorno. Il professor Pauli scuoteva la testa e faceva schioccare
le labbra con accanimento. Lo starets Giovanni, piegandosi verso un
vescovo d’Oriente e un cappuccino, suggeriva loro qualcosa con voce
sommessa. Dopo aver atteso qualche minuto, l’imperatore si rivolse di
nuovo al concilio con lo stesso tono affabile di prima, ma in cui
risonava appena un’impercettibile nota di ironia: «Cari cristiani, disse,
comprendo come vi riesca difficile darmi una risposta diretta. Voglio
darvi una mano. Disgraziatamente da tempo così immemorabile voi vi
siete frazionati in sette e partiti diversi che forse tra voi non c’è
nemmeno un argomento che susciti la vostra comune simpatia. Ma se
non siete capaci di mettervi d’accordo tra voi, spero di mettere
d’accordo io tutte le parti, dimostrando a tutti il medesimo amore e la
medesima sollecitudine per soddisfare la vera aspirazione di ciascuno.
Cari cristiani! So che molti fra voi, e non gli ultimi, hanno più caro di
tutto nel cristianesimo quell’autorità spirituale che esso da ai suoi
legittimi rappresentanti e non per loro particolare vantaggio, ma senza
dubbio per il bene comune, poiché su questa autorità si basa il giusto
ordine spirituale, nonché la disciplina morale, indispensabile per tutti.
Cari fratelli cattolici! Oh, come capisco il vostro modo di vedere e come
vorrei appoggiare la mia potenza sull’autorità del vostro capo spirituale!
E perché non crediate che si tratti di lusinghe e di vane parole, noi
dichiariamo solennemente: per nostra autocratica volontà, il vescovo
supremo di tutti i cattolici, il papa romano, da questo momento è
reintegrato nel suo seggio di Roma, con tutti i diritti e le prerogative di
un tempo, inerenti a questa condizione e a questa cattedra e che un
giorno gli furono conferiti dai nostri predecessori a cominciare da
Costantino il Grande. Ma per questo, fratelli cattolici, voglio soltanto
che dall’intimo del cuore riconosciate in me il vostro unico difensore ed
unico protettore. Coloro che per coscienza e sentimento mi
riconoscono tale vengano qui vicino a me». E indicava i posti vuoti sul
palco. Con esclamazioni di gioia — «Gratias agimus! Domine! Salvum fac
magnum imperatorem» — quasi tutti i principi della Chiesa cattolica,
cardinali e vescovi, la maggior parte dei credenti laici e più della metà
dei monaci salirono sul palco e dopo essersi profondamente inchinati
davanti all’imperatore, andarono ad occupare le poltrone loro destinate.
Ma giù, in mezzo all’assemblea, diritto e immobile come una statua di
marmo, il papa Pietro II rimase al suo posto. Tutti coloro che prima gli
stavano intorno ora si trovavano sul palco. Allora la schiera ormai
diradata dei monaci e dei laici, che era rimasta in basso, si spostò e si
strinse attorno a lui in un anello serrato da cui si udiva un mormorio
contenuto: «Non praevalebunt, non praevalebunt portae inferi».
Guardando con sorpresa il papa immobile, l’imperatore alzò di nuovo la
voce: «Cari fratelli! So che fra voi ci sono di quelli per i quali le cose più
preziose del cristianesimo sono la sua santa tradizione, i vecchi simboli,
i cantici e le preghiere antiche, le icone e le cerimonie del culto. E in
realtà che cosa vi può essere di più prezioso di questo per un’anima
religiosa? Sappiate dunque, miei diletti, che oggi ho firmato lo statuto e
fissata la dotazione di larghi mezzi per il museo universale
dell’archeologia cristiana che verrà fondato nella nostra gloriosa città
imperiale di Costantinopoli, con lo scopo di raccogliere, studiare e
conservare tutti i monumenti dell’antichità ecclesiastica, principalmente
quelli della Chiesa orientale; vi prego poi che domani eleggiate fra voi
una commissione con l’incarico di studiare con me le misure da
prendere per riavvicinare, quanto più possibile, i costumi e le usanze
della vita attuale, alla tradizione e alle istituzioni della Santa Chiesa
Ortodossa! Fratelli ortodossi! quelli che hanno in cuore questa mia
volontà, quelli che per intimo sentimento mi possono chiamare loro
vero capo e signore vengano qui sopra». E la maggior parte dei prelati
dell’Oriente e del Nord, la metà dei vecchi credenti e più della metà dei
preti, dei monaci e dei laici ortodossi salirono sul palco e con grida di
gioia, dando uno sguardo di sfuggita ai cattolici che già vi stavano assisi
con aria di importanza. Ma lo starets Giovanni non si mosse e diede un
forte sospiro. E quando la folla attorno a lui si fu alquanto diradata,
lasciò il suo banco e andò a sedersi vicino a papa Pietro e al suo gruppo.
Dietro di lui si avviarono anche tutti gli altri ortodossi che non erano
saliti sul palco. L’imperatore prese di nuovo a parlare: «Mi sono noti fra
voi, cari cristiani, anche coloro che nel cristianesimo apprezzano più di
tutto la personale sicurezza in fatto di verità e la libera ricerca riguardo
alla Scrittura. Non occorre che mi diffonda su quello che ne penso io.
Voi sapete forse che fin dalla mia prima giovinezza ho scritto sulla
critica biblica una voluminosa opera, che a quel tempo ha fatto un certo
rumore e ha dato inizio alla mia notorietà. Ed ecco che probabilmente
in ricordo di questo fatto l’università di Tubinga in questi giorni mi ha
rivolto la richiesta di accettare la sua laurea ad honorem di dottore in
teologia. Ho ordinato di rispondere che accettavo con gioia e
gratitudine. E oggi, insieme al decreto per la fondazione del museo
d’archeologia cristiana, ho firmato quello per la creazione di un istituto
universale per la libera ricerca sulla Sacra Scrittura in tutte le sue parti e
da tutti i punti di vista, nonché per lo studio di tutte le scienze ausiliarie,
con un bilancio annuale di un milione e mezzo di marchi. Quelli di voi
che hanno a cuore queste mie sincere disposizioni e che con puro
sentimento possono riconoscermi per loro capo sovrano, li prego di
venire qui, accanto al nuovo dottore in teologia». E le belle labbra del
grande uomo si allungarono lievemente in uno strano sorriso. Più della
metà dei sapienti teologi si mosse verso il palco, sia pure con qualche
indugio e qualche esitazione. Tutti volsero lo sguardo verso il professor
Pauli che pareva abbarbicato al suo seggio. Egli abbassava
profondamente il capo, curvandosi e contraendosi. I sapienti teologi che
erano saliti sul palco rimasero confusi, anzi uno di essi a un tratto agitò
il braccio e saltò giù direttamente in basso accanto alla scala e,
zoppicando un po’, corse a raggiungere il professor Pauli e la minoranza
rimasta con lui. Pauli sollevò il capo, si alzò con un movimento un po’
indeciso, si diresse verso i banchi rimasti vuoti e, accompagnato dai suoi
correligionari che avevano tenuto fermo, venne con essi a sedersi
accanto allo starets Giovanni, al papa Pietro e ai loro gruppi.
La grande maggioranza dei mèmbri del concilio si trovava sul palco, ivi
compresa quasi tutta la gerarchia dell’Oriente e dell’Occidente. In basso
erano rimasti soltanto tre gruppi di uomini che si erano avvicinati gli uni
agli altri e che si stringevano accanto allo starets Giovanni, al papa
Pietro e al professor Pauli.
Con accento di tristezza, l’imperatore si rivolse a loro dicendo:«Che
cosa posso fare ancora per voi? Strani uomini! Che volete da me? Io
non lo so. Ditemelo dunque voi stessi, o cristiani abbandonati dalla
maggioranza dei vostri fratelli e capi, condannati dal sentimento
popolare; che cosa avete di più caro nel cristianesimo?». Allora simile a
un cero candido si alzò in piedi lo starets Giovanni e rispose con
dolcezza: «Grande sovrano! Quello che noi abbiamo di più caro nel
cristianesimo è Cristo stesso. Lui Stesso e tutto ciò che viene da Lui,
giacché noi sappiamo che in Lui dimora corporalmente tutta la pienezza
della Divinità. Da te, o sovrano, noi siamo pronti a ricevere ogni bene,
ma soltanto se nella tua mano generosa noi possiamo riconoscere la
santa mano di Cristo. E alla tua domanda che puoi tu fare per noi,
eccoti la nostra precisa risposta: confessa, qui ora davanti a noi, Gesù
Cristo Figlio di Dio che si è incarnato, che è resuscitato e che verrà di
nuovo; confessalo e noi ti accoglieremo con amore, come il vero
precursore del suo secondo glorioso avvento». Egli tacque e piantò lo
sguardo nel volto dell’imperatore. In costui avveniva qualche cosa di
tremendo. Nel suo intimo si stava scatenando una tempesta infernale,
simile a quella che aveva provato nella notte fatale. Aveva perduto
interamente il suo equilibrio interiore e tutti i suoi pensieri si
concentravano nel tentativo di non perdere la padronanza di se stesso
anche nelle apparenze esteriori e di non svelare se stesso prima del
tempo. Fece degli sforzi sovrumani per non gettarsi con urla selvagge
sull’uomo che gli aveva parlato e sbranarlo coi denti. A un tratto sentì la
voce ultraterrena a lui ben nota che gli diceva: “Taci e non temere
nulla”. Egli rimase in silenzio. Pero il suo volto, rabbuiato e col pallore
della morte, era divenuto convulso, mentre i suoi occhi sprizzavano
scintille. Frattanto durante il discorso dello starets Giovanni il gran
mago che stava seduto tutto ravvolto nel suo ampio mantello tricolore
che ne nascondeva la porpora cardinalizia, sembrava occupato a
compiere sotto di esso arcane manipolazioni, i suoi occhi dallo sguardo
concentrato scintillavano e le sue labbra si movevano. Dalle finestre
aperte del tempio si scorgeva avvicinarsi un’enorme nuvola nera. Lo
starets Giovanni che non staccava i suoi occhi sbigottiti e spaventati dal
volto dell’imperatore rimasto ammutolito a un tratto diede un sussulto
per lo spavento e voltandosi indietro gridò con voce strozzata: «Figlioli,
è l’Anticristo!». Nel tempio scoppiò un tremendo colpo di tuono e
simultaneamente si vide saettare una folgore enorme a forma di cerchio
che avviluppò il vegliardo. Per un istante tutti rimasero come annichiliti
e quando i cristiani si furono ripresi dallo stordimento, lo starets
Giovanni giaceva a terra cadavere.
L’imperatore, pallido ma calmo, si rivolse all’assemblea dicendo: «Voi
avete veduto il giudizio di Dio. Io non volevo la morte di alcuno, ma il
mio Padre celeste vendica il suo figlio prediletto. La questione è risolta.
Chi oserà contestare i voleri dell’Altissimo? Segretari! Scrivete: il
concilio ecumenico di tutti i cristiani, dopo che il fuoco venuto dal cielo
ebbe folgorato un insensato avversario della maestà divina, riconosce
all’unanimità il regnante imperatore di Roma, come suo capo e supremo
sovrano».
A un tratto una parola squillante e distinta si propagò per il tempio:
«Contradicitur». Il papa Pietro II si alzò in piedi e col volto imporporato,
tutto tremante di collera, sollevò il pastorale in direzione
dell’imperatore: «Nostro unico Sovrano è Gesù Cristo, il Figlio del Dio
vivente. Ma ciò che tu sei l’hai sentito. Vattene da noi Caino fratricida!
Via da noi, vaso del demonio! Per l’autorità di Cristo, io, servo dei servi
di Dio, ti scaccio per sempre dal recinto divino, cane schifoso, e ti
consegno al padre tuo, Satana! Anatema, anatema, anatema!».
Mentre egli parlava, il gran mago si agitava inquieto sotto il suo
mantello: più fragoroso dell’ultimo anatema rimbombò un colpo di
tuono e l’ultimo papa cadde a terra inanimato. «Così per mano del padre
mio periscono i miei nemici», disse l’imperatore. «Pereant, pereant!», si
misero a gridare tremanti i principi della Chiesa. Egli si volse e,
appoggiandosi alla spalla del gran mago uscì lentamente dalla porta che
stava dietro il palco, accompagnato dalla folla dei suoi seguaci. Nel
tempio eran rimasti i due cadaveri e un cerchio ristretto di cristiani
mezzo morti dalla paura. L’unico che non aveva perduto il suo sangue
freddo era il professor Pauli. Il terrore generale pareva stimolare tutte le
forze del suo spirito.
Era mutato anche nel suo aspetto esteriore e aveva assunto un’aria
maestosa e ispirata. Con passo risoluto, salì sul palco e, sedutosi su uno
dei seggi lasciati liberi dai segretari di stato, prese un foglio di carta e si
mise a scrivere. Quando ebbe terminato, si alzò in piedi e a voce alta
lesse: «Alla gloria del nostro unico Salvatore Gesù Cristo. Il concilio
ecumenico delle chiese di Dio, riunito a Gerusalemme, poiché il nostro
beatissimo fratello Giovanni, rappresentante della cristianità orientale,
ha convinto il grande impostore e nemico di Dio di essere l’autentico
Anticristo, predetto dalla Sacra Scrittura e poiché il nostro beatissimo
padre Pietro, rappresentante della cristianità occidentale, con la
scomunica lo ha secondo legge e giustizia scacciato per sempre dalla
Chiesa di Dio oggi davanti ai corpi di questi due martiri della verità,
testimoni di Cristo, delibera: di rompere ogni rapporto con lo
scomunicato e la sua esecrabile accozzaglia, di ritirarsi nel deserto e
attendere l’immancabile venuta del nostro vero sovrano Gesù Cristo»
Una grande animazione s’impadronì della folla ed echeggiarono voci
possenti che dicevano: «Adveniat, adveniat cito! Komm, Herr Jesu, komm!».
Il professor Pauli aggiunse ancora un poscritto e poi lesse.
«Approvando all’unanimità questo primo ed ultimo atto dell’ultimo
concilio ecumenico, apponiamo le nostre firme» e fece un gesto d’invito
all’assemblea. Tutti si affrettarono a salire sul palco e a firmare. Alla fine
lui pure firmò a grossi caratteri gotici: Duorum defunctorum testium
locum tenens Ernst Pauli. «Ora andiamocene con la nostra arca
dell’alleanza dell’ultimo Testamento! », disse indicando i due cadaveri.
I corpi furono issati su barelle. Lentamente al canto di inni in latino in
tedesco e in slavonico ecclesiastico, i cristiani si avviarono alla porta di
Haram-es-Scerif. Qui il corteo fu fermato da un messo dell’imperatore,
un segretario di stato, accompagnato da un ufficiale con un plotone
della guardia. I soldati si schierarono presso la porta e da un podio il
segretario di stato lesse quanto segue: «Ordine di sua maestà divina: per
istruire il popolo cristiano e metterlo in guardia contro uomini
malintenzionati fomentatori di discordie e di scandali, abbiamo ritenuto
opportuno disporre che i corpi dei due sediziosi, uccisi dal fuoco del
cielo, siano esposti in pubblico nella strada dei Cristiani (Haret-enNazàra) vicino alla porta principale del tempio di questa religione
chiamata Santo Sepolcro o altrimenti Resurrezione, perché tutti possano
persuadersi della realtà della loro morte.
I loro ostinati partigiani, poiché malignamente respingono ogni nostro
beneficio e da insensati chiudono gli occhi davanti alle evidenti
manifestazioni della Divinità stessa, grazie alla nostra misericordia e alla
nostra intercessione presso il Padre celeste, sono esenti dalla pena di
morte, mediante il fuoco del cielo, che si sono meritata e rimangono in
completa libertà, con l’unica proibizione per il bene comune, di abitare
nelle città e negli altri luoghi popolati affinché non possano sviare e
sedurre con le loro malvagie invenzioni la gente ingenua e semplice».
Quando ebbe finito, otto soldati a un cenno dell’ufficiale si avvicinarono
alle barelle dove giacevano i corpi.
«Si compia ciò che è scritto», disse il professor Pauli, e i cristiani che
portavano le barelle le cedettero senza una parola ai soldati i quali si
allontanarono dalla porta di nord-ovest; dal canto loro i cristiani,
uscendo dalla porta di nord-est, si diressero rapidamente dalla città
verso Gerico, passando accanto al monte degli Ulivi, per la strada che i
gendarmi e due reggimenti di cavalleria avevano in precedenza
sgombrato dalla folla del popolo. Essi decisero di aspettare alcuni
giorni, sulle colline deserte vicino a Gerico. L’indomani mattina
giunsero da Gerusalemme dei pellegrini cristiani loro amici e
raccontarono ciò che era accaduto a Sion. Dopo il pranzo di corte, tutti
i mèmbri del concilio erano stati convocati nell’immensa sala del trono
(dove si supponeva sorgesse il trono di Salomone) e l’imperatore,
rivolgendosi ai rappresentanti della gerarchia cattolica, aveva dichiarato
che il bene della Chiesa esigeva da essi l’immediata elezione di un degno
successore dell’apostolo Pietro, ma che nelle presenti circostanze di
tempo l’elezione doveva avvenire con procedura sommaria. La presenza
di lui, l’imperatore, capo e rappresentante di tutto il mondo cristiano,
valeva largamente a compensare l’omissione delle formalità rituali, e che
in nome di tutti i cristiani, egli proponeva al Sacro Collegio di eleggere il
suo diletto amico e fratello Apollonio, affinché lo stretto legame
esistente fra loro rendesse duratura e indissolubile l’unione della Chiesa
con lo Stato per il bene comune. Il Sacro Collegio si ritirò in una camera
particolare per il conclave e dopo un’ora e mezzo ritornò col nuovo
papa Apollonio. Frattanto mentre si procedeva all’elezione, l’imperatore
con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza, cercava di
persuadere i rappresentanti degli ortodossi e degli evangelici a mettere
fine ai vecchi dissidi in vista di una nuova grande epoca storica del
cristianesimo, rendendosi garante con la sua parola che Apollonio
avrebbe saputo abolire una volta per sempre gli abusi storici del potere
papale. Convinti da queste sue parole, i rappresentanti dell’ortodossia e
del protestantesimo avevano steso l’atto di unione delle Chiese e
quando Apollonio comparve nella sala con i cardinali tra le grida di
giubilo di tutta l’assemblea, un vescovo greco e un pastore evangelico gli
presentarono il loro documento. «Accipio et approbo et laetificatur cor
meum», disse Apollonio apponendo la sua firma. «Io sono del pari un
vero ortodosso e un vero evangelico, come sono un vero cattolico» —
aggiunse egli, scambiando un amichevole abbraccio col Greco e col
Tedesco. Poi si avvicinò all’imperatore, il quale lo abbracciò e lo tenne a
lungo tra le braccia. In quel momento dei puntini luminosi
cominciarono a volteggiare in tutte le direzioni nel palazzo e nel tempio;
essi ingrandirono e si mutarono in ombre luminose di esseri strani; fiori
mai veduti sulla terra cadevano dall’alto, riempiendo l’aria di un
profumo arcano. Si diffondevano dall’alto deliziosi suoni di strumenti
musicali fino allora sconosciuti che andavan dritto all’anima e
afferravano il cuore, mentre voci angeliche di invisibili cantori
glorificavano i nuovi sovrani del cielo e della terra. Frattanto uno
spaventoso rumore sotterraneo echeggiava nell’angolo nord-ovest del
palazzo centrale, sotto il kubbet-el-aruach vale a dire sotto la cupola
delle anime, dove secondo la tradizione musulmana, si trova l’entrata
dell’inferno. Quando gli astanti, su invito dell’imperatore, si mossero
verso quella parte, tutti intesero chiaramente innumerevoli voci acute e
penetranti — mezzo fanciullesche e mezzo diaboliche — che
esclamavano: «È giunta l’ora, liberateci o salvatori, o salvatori!». Ma
quando Apollonio stringendosi verso la rupe, per tre volte gridò verso il
basso qualcosa in una lingua sconosciuta, le voci tacquero e il rumore
s’interruppe. Frattanto una folla immensa di popolo proveniente da
tutte le parti, aveva circondato Haram-es-Scerif. Al calar della notte
l’imperatore, col nuovo papa, aveva fatto la sua apparizione sulla
gradinata orientale, sollevando «una tempesta di entusiasmo». Egli
salutò affabilmente in tutte le direzioni, mentre Apollonio traeva da
grandi canestri, postigli innanzi dai cardinali segretari, e lanciava in aria
senza interruzione magnifiche candele romane, razzi e fontane di fuoco
che accendendosi al tocco delle sue mani si trasformavano in perle
fosforescenti e in luminosi arcobaleni; tutto questo toccando terra si
mutava in innumerevoli fogli di carta di vari colori, con indulgenze
plenarie senza condizioni per tutti i peccati passati, presenti e futuri.
L’esultanza popolare sorpassò ogni limite. A dire il vero alcuni
affermavano di aver visti coi propri occhi quei fogli d’indulgenza
trasformarsi in rospi e serpenti estremamente schifosi. Nondimeno
l’enorme maggioranza della gente andava in visibilio e la festa popolare
si protrasse ancora alcuni giorni; durante questo tempo il nuovo papataumaturgo arrivò a compiere dei prodigi così sbalorditivi e incredibili
che sarebbe del tutto inutile darne una narrazione. Nello stesso tempo
sulle alture deserte di Gerico i cristiani si dedicavano al digiuno e alla
preghiera. La sera del quarto giorno sull’imbrunire, il professor Pauli e
nove compagni, cavalcando degli asini e trainando una carretta,
penetrarono in Gerusalemme; passando per vie traverse, vicino a
Haram-es-Scerif, sboccarono a Haret-en-Nazàra e raggiunsero l’entrata
del tempio della Resurrezione, dove sul pavimento giacevano i corpi di
papa Pietro e dello starets Giovanni. A quell’ora la via era deserta: tutta
la città al completo si era riversata a Haram-es-Scerif. I soldati di guardia
erano immersi in un sonno profondo. I nuovi arrivati trovarono che i
corpi non erano stati toccati dal processo di decomposizione e
addirittura non erano diventati rigidi e grevi. Li issarono su barelle, li
ricoprirono con mantelli che avevano E portato con sé e, percorrendo
le stesse vie traverse, ritornarono dai loro fratelli, ma non appena
ebbero posate a terra le barelle lo spirito della vita rientrò nei due morti.
Essi si agitarono, cercando di sbarazzarsi dei mantelli che li
avviluppavano. Tutti presero ad aiutarli con grida di gioia e ben presto i
due resuscitati si alzarono in piedi sani e salvi. E il redivivo starets
Giovanni prese così a parlare: «Ecco dunque, figlioli miei, che noi non
ci siamo lasciati. Ed ecco ciò che vi dirò adesso: l’ora è giunta che si
adempia l’ultima preghiera di Cristo per i suoi discepoli: che essi siano
uno, come Lui stesso col Padre è uno. Così per questa unità in Cristo,
figlioli miei, veneriamo il nostro carissimo fratello Pietro. Gli sia
concesso finalmente di pascere le pecore di Cristo. Proprio così,
fratello!». Ed egli abbracciò Pietro. A questo punto si avvicinò il
professor Pauli: «Tu es Petrus!» — disse rivolto al papa —. «Jetzt ist es ja
gründlich erwiesen und ausser jeden Zweifel gesetzt». Gli strinse forte la mano
con la destra, mentre tendeva la sinistra allo starets Giovanni,
dicendogli: «So also, Väterchen, nun sind wir ja Eins in Christo». Così si
compì l’unione delle Chiese nel cuore di una notte oscura, su un’altura
solitaria. Ma l’oscurità della notte venne a un tratto squarciata da un
vivido splendore e in cielo apparve il grande segno: una donna vestita di
sole, con la luna sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle.
L’apparizione restò per qualche tempo immobile, poi si mosse
lentamente verso sud. Il papa Pietro alzando il pastorale, esclamò:
«Ecco la nostra insegna! Andiamo sulle sue orme!». Ed egli si
incamminò nella direzione indicata dall’apparizione insieme ai due
vegliardi e a tutta la folla dei cristiani, verso il monte di Dio, verso il
Sinai…
(A questo punto il lettore si ferma).
La Dama. Perché dunque non continuate?
Il Signor Z. Il manoscritto non va più avanti. Il padre Pansofio non ha
potuto portare a termine il suo racconto. Già ammalato mi narrava ciò
che aveva in mente di scrivere in seguito — «non appena sarò guarito»
— diceva. Ma non guarì e la parte finale del suo racconto è sepolta con
lui nel monastero di Danilovo.
La Dama. Ma voi ricorderete certamente quello che vi ha narrato:
raccontatecelo dunque.
Il Signor Z. Ne ricordo soltanto i tratti principali. Dopo che i capi
spirituali e i rappresentanti della cristianità si furono ritirati nel deserto
dell’Arabia, dove da ogni parte affluirono a loro folle di fedeli zelatori
della verità, il nuovo papa poté senza alcun ostacolo corrompere,
attraverso i suoi prodigi e miracoli, tutto il resto dei cristiani superficiali
che non si erano ricreduti circa l’Anticristo. Egli dichiarò che, con la
potenza delle sue chiavi, aveva aperto le porte fra il mondo terrestre e
quello d’oltretomba e in effetti divenne un fenomeno abituale la
comunicazione dei vivi coi morti e anche degli uomini coi demoni;
inoltre si svilupparono nuove forme inaudite di orgia mistica e di
demonolatria. Ma non appena l’imperatore cominciò a credere di essere
saldamente sistemato in campo religioso e dopo che sotto la pressante
suggestione della misteriosa voce «paterna» ebbe a dichiararsi unica e
vera incarnazione della divinità suprema universale, gli capitò una
disgrazia nuova da parte di chi nessuno si sarebbe aspettato: si erano
ribellati gli Ebrei. Questo popolo, il cui numero aveva raggiunto a quel
tempo i trenta milioni di individui, non era del tutto estraneo alla
preparazione e all’affermazione dei successi universali del superuomo.
Quando si era trasferito a Gerusalemme, aveva fatto segretamente
correre la voce nei circoli ebraici che il suo obiettivo principale era di
stabilire il dominio di Israele su tutto il mondo; e allora gli Ebrei lo
avevano riconosciuto come il Messia e la loro entusiastica dedizione per
lui non ebbe limiti. All’improvviso si erano ribellati spirando collera e
vendetta. Questo brusco voltafaccia, senza dubbio predetto e dalla
Scrittura e dalla tradizione, è presentato da padre Pansofio forse con
eccessiva semplicità e soverchio realismo. Il fatto si è che gli Ebrei, i
quali ritenevano l’imperatore come un perfetto israelita per razza,
avevano scoperto per caso che egli non era nemmeno circonciso.
Quello stesso giorno a Gerusalemme e l’indomani in tutta la Palestina
scoppiò la rivolta. La dedizione ardente e senza limiti verso il salvatore
di Israele e il Messia annunciato si tramutò in un odio altrettanto
ardente e senza limiti nei confronti dell’astuto truffatore e dello
sfrontato impostore. Tutto l’ebraismo si sollevò come un solo uomo e i
suoi nemici scopersero con sorpresa che l’anima di Israele nel suo
fondo non vive di calcoli e delle bramosie di Mammona, ma della forza
di un sentimento sincero, nella speranza ed il corruccio della sua eterna
fede messianica. L’imperatore che non si aspettava una simile esplosione
così all’improvviso, perdette la padronanza di se stesso ed emanò un
decreto che condannava a | morte tutti i ribelli ebrei e cristiani. Molte
migliaia e decine di migliaia di uomini che non avevano fatto in tempo
ad armarsi, furono spietatamente massacrati. Ma ben presto un esercito
di un milione di Ebrei si impadronì di Gerusalemme e costrinse
l’Anticristo a rinchiudersi in Haram-es-Scerif.
Questi non aveva a sua disposizione che una parte della guardia e non
poteva spuntarla contro la massa dei nemici. Mediante le arti magiche
del suo papa, l’imperatore riuscì a filtrare attraverso le linee degli
assedianti e ben presto egli ricomparve in Siria, alla testa di uno
sterminato esercito di pagani di varie razze. Gli Ebrei, anche se le
probabilità di vittoria erano scarse, gli mossero incontro. Ma non
appena le avanguardie dei due eserciti ebbero iniziato il combattimento,
ecco che si produsse un terremoto di inaudita violenza; sotto il Mar
Morto, presso il quale si erano schierate le truppe imperiali, si aperse il
cratere di un enorme vulcano e torrenti di fuoco, fusi insieme in un lago
di fiamme, inghiottirono lo stesso imperatore, tutte le sue innumerevoli
schiere ed il suo inseparabile compagno, il papa Apollonio, cui la magia
non recò alcun soccorso. Frattanto gli Ebrei corsero a Gerusalemme,
spaventati e tremanti, invocando la salvezza del Dio di Israele. Quando
la santa città apparve ai loro occhi, un grande baleno squarciò il cielo da
oriente a occidente ed essi videro il Cristo che scendeva loro incontro,
in veste regale, con le piaghe dei chiodi sulle mani distese. Intanto dal
Sinai si mosse verso Sion la folla dei cristiani guidati da Pietro, Giovanni
e Paolo, mentre da altre parti accorrevano altre folle entusiaste: erano
tutti gli Ebrei e tutti i cristiani mandati a morte dall’Anticristo. Erano
risuscitati e si accingevano a vivere con Cristo per mille anni.
È con questa visione che il padre Pansofio voleva finire il suo racconto
che aveva per soggetto non già la catastrofe dell’universo, ma soltanto la
conclusione della nostra evoluzione storica: l’apparizione, l’apoteosi e la
rovina dell’Anticristo.
L’Uomo Politico. E voi pensate che questa conclusione sia tanto
prossima?
Il Signor Z. Be’, sulla scena vi saranno ancora molte chiacchiere e
vanità, ma il dramma è già stato scritto interamente da un pezzo sino
alla fine e non è permesso né agli spettatori né agli attori di apportarvi
alcun mutamento.
La Dama. Ma in definitiva quale è il senso di questo dramma? Non
capisco infatti perché il vostro Anticristo nutra tanto odio verso Dio,
mentre in fondo è buono e non cattivo!
Il Signor Z. Il fatto è che in fondo non è buono. E in questo sta tutto il
senso del dramma. Io ritiro le parole che ho detto in precedenza e cioè
«che l’Anticristo non si spiega coi soli proverbi». Per spiegarlo
integralmente basta un solo proverbio e per di più di un’estrema
semplicità: «Non è tutto oro ciò che luccica». Lo splendore di un bene
artefatto non ha nessuna forza.
Il Generale. Vogliate però notare su quale evento cala il sipario di
questo dramma storico: sulla guerra, sullo scontro di due eserciti! Ed
ecco che il termine del nostro colloquio si è rifatto all’inizio. Che ve ne
pare principe?… Santi del cielo! ma dov’è il principe?
L’Uomo Politico. Ma non avete osservato? Se n’è andato alla
chetichella nel momento patetico, quando lo starets Giovanni metteva
l’Anticristo con le spalle al muro. Allora non ho voluto interrompere il
racconto e in seguito mi è passato di mente.
Il Generale. Quanto è vero Iddio è scappato per la seconda volta. Ha
saputo dominarsi. Però non ha saputo resistere. Ah, Dio mio!

Indro Montanelli e il suo incontro con il doppelgänger di Adolf Hitler

Indro Montanelli e il suo incontro con il doppelgänger di Adolf Hitler

Indro Montanelli, nome completo Cilindro Alessandro Raffaello Schizògene Montanelli (1909 – 2001), è stato un grande giornalista, saggista e commediografo.

Ieri, 11 luglio 2023, Marcello Veneziani ha ricordato ancora una volta la storia del giovane tenente Montanelli che si prese una bambina eritrea, Destà, di 13 anni per moglie. In realtà questa fu solo una fantasia, per un fatto mai avvenuto. Si svolsero delle indagini precise nei luoghi della sua permanenza ed è stato dimostrato che non ci fu nulla del genere, anche perché non sarebbe mai stato tollerato dai suoi superiori.

Montanelli fu un giornalista della vecchia scuola che, come dicono gli anglosassoni, non consentono alla verità di mettersi di traverso a una bella storia

Non era vero che il 29 aprile 1945 si aggirava fra i cadaveri di Piazzale Loreto, come scrisse, ma stava in Svizzera. Non è vero che diede una mano a Mario Appelius in Finlandia, invece è vero il contrario e mai lo ringraziò. Dichiarò che Pinelli fosse un informatore della polizia, ma poi fu costretto a ritrattare.

Fra le bugie di cui viene accusato c’è quella di aver raccontato di una ‘strana ‘intervista’ fatta ad Adolf Hitler, il 1 settembre 1939, presso al Corridoio di Danzica.
Indro scrisse di essersi appartato per un bisogno personale fra i cespugli, quando da una strada secondaria vide passare su un blindato tedesco il Fuhrer in persona che spuntava fuori dalla torretta da un mezzo corazzato. Egli chiese chi fosse quello spilungone con l’impermeabile e gli occhi azzurri. Gli dicono che è un giornalista italiano. Allora, salta giù dal mezzo e gli va incontro, cominciando a sbraitargli in faccia, in tedesco, senza che Montanelli, che pure conosceva il tedesco, capisca alcunché. Dopodiché risalì sul carro e se ne andò via.
Massimo Fini scrisse un bellissimo articolo raccontando di un pranzo con il novantenne Montanelli in un ristorante di Milano durante il quale questa storia rifece capolino:

Poco dopo, proseguendo la conversazione, Indro si vantò di aver intervistato tutti i personaggi importanti della sua epoca. «Mi mancano solo Stalin e Mao». E io, malignamente: «Però Malaparte li ha intervistati». Al che Indro disse immediatamente che non era vero. «Ma io quelle interviste le ho lette» replicai.
«Se l’è inventate Malaparte» troncò lui.
Passò qualche minuto, eravamo ormai al caffè, e Indro dichiarò di aver intervistato Adolf Hitler. E cominciò uno stupefacente racconto. Il giorno, secondo certi calcoli, dell’invasione della Polonia, lui, Montanelli, si trovava, unico giornalista italiano in mezzo ad altri colleghi stranieri, su un certo ponte di una certa città dove sarebbe dovuto passare necessariamente il comando tedesco. E infatti arrivano. Hitler è in piedi su un carro armato vestito da soldato semplice, decorato della sola croce di ferro (e questo, credo, è il solo particolare veritiero del racconto), vede Montanelli, scende dal blindato e punta dritto proprio su di lui. La ragione di questo singolare comportamento risiederebbe, secondo Montanelli, nel fatto che in quel momento il Fuhrer sperava ancora in un intervento dell’Italia a fianco della Germania e quindi gli serviva un giornalista italiano per lanciare un messaggio a Mussolini. «Naturalmente fu un monologo» si schermì con noi Indro, rifacendo la voce abbaiante di Hitler.
«Io non riuscii a piazzare nemmeno una parola. Dopo venti minuti di arringa Hitler girò i tacchi e risalì sul carro armato».
Naturalmente restava da spiegare come mai questa eccezionale intervista, sia pur monologante, non fosse mai uscita. Montanelli raccontò che ci fu un intervento del ministero della Propaganda tedesco sul Minculpop – le interviste al supremo Führer del Terzo Reich erano infatti proibitissime – per cui non se ne fece nulla.

Massimo Fini terminò l’articolo concludendo, bonariamente:

E forse il segreto della sua straordinaria vitalità e freschezza sta proprio in questo miscuglio di infantilismo e di narcisismo. Noi siamo dei bambini invecchiati, Montanelli è un vecchio bambino.

Ciò che Massimo Fini ignorava è che assieme a Montanelli stavano lo scultore Arno Breker e l’architetto Albert Speer, il quale poi confermò, nel 1979, la veridicità di quello strano incontro. Eppure, un Adolf Hitler era a Berlino in quei giorni. Chi fu, dunque, quel personaggio che Montanelli, per così dire, intervistò?

Era sicuramente una controfigura, un doppelgänger, o un kagemusha come dicono in Giappone.
Si dice che, di questi doppi, Adolf Hitler ne avesse a disposizione più d’uno. Zarah Leander, un’amica e cantante favorita del Führer, confidò a Leni Riefensthal che: “Sì, Hitler aveva dei doppi, anche Eva Braun aveva la sua controfigura, non esistono dubbi in proposito”.

Conosciamo il nome di una di queste controfigure del dittatore tedesco, si chiamava, Gustav Weler (o Webber) e si dice che sia stato ucciso dalla SS e il suo corpo fatto trovare ai soldati russi a Berlino, con una pallottola nella fronte. Il suo corpo fu portato a Mosca e seppellito nel recinto della prigione di Lefortovo. Ed esiste un filmato russo che ce lo mostra nel giardino della Cancelleria:

(550) Gustav Weler body (Hitler´s double) – Berlin 1945 – YouTube

Ma quel cadavere era davvero di Gustav Weler? Secondo il chirurgo e scrittore britannico W. Hugh Thomas, autore del libro Doppelgangers uscito nel 1996, Gustav Weler era ancora vivo alla fine della Guerra e fu intervistato da una commissione Alleata per stabilire il fato di Adolf Hitler. Dunque, quel cadavere fatto trovare ai russi era di un ulteriore doppio?

Queste controfigure erano state istruite a imitare la voce e i gesti di Hitler e lo scrittore e storico Nicholas Kinsey aggiunge che addirittura arrivarono al punto di operare la loro spina dorsale, per replicare le cicatrici rimaste su quella di Hitler, causate da vecchie ferite ricevute durante la I Guerra Mondiale.

Dunque, siamo sicuri che anche Benito Mussolini non ebbe una controfigura?

Nel libro di Angelo Paratico si ipotizza che il Mussolini appeso a testa in giù a Piazzale Loreto fu una sua controfigura, un ex dentista di Parma.

Ecco la soluzione, radicale, al problema dell’immigrazione clandestina in Italia. Una lettera aperta a Giorgia Meloni

Ecco la soluzione, radicale, al problema dell’immigrazione clandestina in Italia. Una lettera aperta a Giorgia Meloni

 

L’Italia ha già dato molto in termini di accoglienza, forse troppo. La gran parte degli immigrati clandestini che arrivano nel nostro Paese sono mossi dall’intenzione di migliorare le proprie condizioni economiche, ma risulta che solo il 10% fuggono da guerre e violenze.

La nostra Penisola, e in generale l’Europa, non potranno farsi carico di centinaia di milioni di rifugiati, che porteranno con sé miseria, violenza e instabilità economica. Bisogna, dunque, reagire con forza, ora, anche per evitare le migliaia di annegamenti in mare, che accettiamo come pura fatalità.

Non occorre guardare molto lontano per trovare una soluzione al problema. Basterà seguire la stessa tattica seguita dall’Australia e, a suo tempo, da Hong Kong con i “boat people” provenienti dal Vietnam.  Come residente a Hong Kong ricordo che quei campi di raccolta arrivarono a contenere sino a 60.000 persone, ma oggi risultano tutti chiusi.

I profughi dovranno essere raccolti, subito dopo lo sbarco e portati su di un isola ben attrezzata per accoglierli, dove verranno sistemati in campi, in attesa della loro identificazione e solo dopo aver capito chi sono e dove vogliono andare potranno essere accompagnati fuori.

Un’isola che mi sembra adatta a questo scopo è Lavanzo, in Sicilia, parte delle isole Egadi. Possiede una superfice di 5 chilometri quadrati e una popolazione di circa 240 residenti, che potranno essere indennizzati e trasferiti. Bisognerà costruire rapidamente degli alloggi per i profughi e degli uffici per vagliare il loro status, dovrà esservi mantenuta una forte presenza di polizia per scoraggiare rivolte.

Chi non avrà le carte in regola, verrà detenuto fin quando non accetterà un rimpatrio.  Ma siamo certi che, non appena si diffonderà la voce che questa struttura è operativa e funziona, tutte le partenze dalle coste del nord Africa cesseranno. Lo stesso successe a Hong Kong con i rifugiati vietnamiti e in Australia con indonesiani e malesi

Una volta collaudato, questo sistema potrà essere esteso anche a chi viene trovato a girare in Italia senza documenti, e a chi entra in Italia seguendo la rotta balcanica.

 

Angelo Paratico

 

Intervista a Frank J. Millich, autore del romanzo storico ZARA, edito da Gingko Edizioni di Verona

Intervista a Frank J. Millich, autore del romanzo storico ZARA, edito da Gingko Edizioni di Verona

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Essendo un nativo dell’antichissima città di Zara, (ribattezzata col nome di Zadar dai titini dopo la sua distruzione angloamericana), Frank J. Millich affonda le sue radici contemporanee nell’humus culturale italiano del dopoguerra. Strappato brutalmente dalla sua terra dalmata, egli frequenta l’ambiente internazionale, in particolare gli Stati Uniti e la Francia. Ne testimonia la sua prima opera letteraria: “Nandy, il ragazzo che venne dal freddo”, Gingko Editore, tradotta e pubblicata in Francia da Spinelle col titolo “Nad – L’Enfant de la Cité Perdue”. È seguita oggi dal suo secondo lavoro: “Zara – Il Complotto”, un romanzo biogra­fico dato alle stampe sempre da Gingko, ispirato dalle vicende storiche della prima metà del Ventesimo secolo. Contemporaneamente, l’Autore ha prestato la sua opera per 32 anni presso il Consiglio d’Europa, organizzazione politica pan-europea con sede a Strasburgo, svolgendo compiti di natura giuridica ed economica a favore del progresso sociale europeo. È sposato e padre di due ­figli nati in Francia.

 

Frank J. Millich, come è giunto alla scrittura ?

Avevo nove anni e non riuscivo ad emergere tra i ragazzini del mio rione: non riuscivo ad orinare più lontano degli altri, perdevo sempre ai giochi le mie biglie di vetro colorate, non possedevo la più bella collezione di capsule (noi le chiamavamo tollini) delle bottiglie di birra o di aranciata e non ero il più robusto e quindi il più rispettato tra di loro. Gli altri ragazzini erano sempre più bravi, più svelti, più furbi, più rispettati e temuti di me. “Hanno probabilmente un dono particolare”, mi dicevano gli adulti, “un dono che tu non possiedi”. La cosa mi rattristava. Finché un giorno si presentò nella mia classe un signore inviato dal Provveditorato, che ci lesse una storia commovente tratta dal libro “Cuore” di Edmondo de Amicis: “Il piccolo scrivano fiorentino”. Come tutti gli italiani sanno, era la storia di un bambino della mia età che, per aiutare la sua famiglia, di notte ricopiava di nascosto, con la penna, su delle buste gli indirizzi di decine e decine di destinatari imitando la calligrafia di suo padre che in quel modo aumentava il suo magro stipendio. Alla fine, quel signore ci distribuì un foglio di carta e ci chiese di scrivere ciò che ci aveva ispirato quella storia. Io avevo tante cose da dire, ma quell’unico foglio di carta fu subito riempito sulle due facciate, tanto che dovetti richiedere un altro, e presto un altro ancora. Non avevo ancora terminato di scrivere tutto quello che avevo in mente quando quel signore mi disse che ciò che avevo già scritto era più che sufficiente. Raccolse tutti fogli e se ne andò.

Qualche settimana dopo la nostra insegnante ci lesse un comunicato del Provveditorato secondo il quale tra tutte le scuole elementari di quella Provincia, ero io il vincitore del primo premio consistente in una bella pergamena con tanto di ghirigori dorati, un salvadanaio di metallo nichelato e un libretto di risparmio a mio nome contenente 300 Lire. A quell’epoca, erano già una bella sommetta per un bambino squattrinato quale io ero allora. In definitiva, quell’episodio ebbe il risultato di dimostrarmi che anch’io avevo un dono, quello della scrittura: sapevo tradurre in parole scritte le idee che mi frullavano nella testa.

Più tardi, al Liceo, ebbi modo di coltivare quel dono con delle letture degli autori più rinomati come Manzoni, Verga, Tomasi di Lampedusa, Moravia, oltre a quelli francesi, inglesi, americani, russi, tedeschi, che popolano la mia biblioteca personale.

Vinsi pure il “Concorso Veritas” indetto dalla Chiesa cattolica in tutte le scuole d’Italia. A dire il vero non avrei dovuto parteciparvi in quanto, avendo preso coscienza degli orrori inimmaginabili della Shoah, avevo perso per sempre la fede cristiana. Non poteva esistere un Dio che aveva permesso agli umani di commettere tali e tanti orrori senza reagire, senza intervenire; un Dio che permise a Hitler di sfuggire indenne all’attentato del 20 luglio 1944. La morte di quel mostro in quell’occasione avrebbe risparmiato la vita e indicibili sofferenze a centinaia di migliaia di esseri umani, di famiglie intere, di poveri bambini finiti nelle camere a gas, nei forni crematori e sotto i bombardamenti.

Quel Dio venerato come onnipresente, onnipotente, capace di schiacciare il demone del Male, e che manifestava una tale indifferenza di fronte a quegli eventi abominevoli era all’opposto di tutto ciò che le religioni ci avevano assennato dalla notte dei tempi. Divenni perciò irrimediabilmente e per sempre ateo. Volli comunque vincere quel concorso proprio perché consideravo la Chiesa come un’istituzione menzognera, per cui meritava di essere sfruttata da un giovane deluso di essere stato ingannato.

Volli, tra l’altro, aggiungere una J. al mio nome d’arte, in memoria di quanto il popolo ebraico aveva sofferto con l’Olocausto.

Potrebbe scrivere una sintesi del suo ultimo romanzo ?

Zara – Il Complotto contiene pagine aspre, eppure esaltanti, di vita vissuta intensamente nell’ambiente particolare di Zara, città di confine visceralmente vincolata alla civiltà latina. L’azione si svolge nel corso degli anni 30 e l’inizio degli anni 40. Marco, il giovane protagonista alto, attraente come un bronzo di Riace, ama con passione Irma, una ragazza-madre che vive da sola con la sua creatura nel suo esilio triestino. Ma è preso di mira e arrestato dal Regime fascista per la sua ostilità manifesta nei confronti delle angherie e dei soprusi messi in atto in particolare dal Capitano Terzi. Costui si ostina a voler provare con tutti i mezzi, compresa la più efferata tortura, l’esistenza di un vasto complotto ordito da Marco stesso in combutta con potenze nemiche, con lo scopo di rovesciare il governo mussoliniano. Di fronte alla minaccia del plotone di esecuzione che, come un’ombra sinistra plana sulle tetre giornate della sua cattività, il giovane antifascista cerca di guadagnare tempo, intuendo assurdamente che soltanto l’elemento temporale potrebbe giocare in suo favore. Ma il pensiero assillante di Irma, cinicamente imprigionata assieme ai loro due bimbi dallo spietato Capitano, non gli concede tregua.

La famiglia si salva effettivamente grazie al crollo del Fascismo, il 25 luglio del 1943. Ma, per vendicarsi dell’insuccesso del suo tentativo di incolpare Marco, il malvagio capitano ha già diffuso la truce menzogna secondo la quale il giovane avrebbe collaborato col Regime fascista per dare la caccia ai suoi amici partigiani comunisti, i quali ora lo arrestano e si preparano a fucilarlo senza un regolare processo. Marco riesce tuttavia a convincerli della propria innocenza e viene perciò accolto in seno all’esercito popolare di Tito. Ma la sua lunga permanenza tra di loro gli consente di aprire gli occhi sulle tragiche aberrazioni del Comunismo, negatore delle libertà più significative e determinanti per il viver civile. Profondamente deluso e disingannato egli non vede altra via d’uscita se non la fuga dalla Jugoslavia, inseguito dai sicari di Tito decisi, questa volta, a giustiziarlo sul posto, senza l’ombra di un regolare processo.

Come nascono le vicende che lei racconta? Quali le fonti d’ispirazione?

In primo luogo, naturalmente, la Storia, dai più semplici eventi locali ai grandi sconvolgimenti nazionali o planetari, come emergono nel mio ultimo romanzo, appunto. Poi, la vita di tutti i giorni con i suoi riflessi letterari, cinematografici e teatrali, ma anche la scienza con le sue continue scoperte e invenzioni. Insomma, il fermento costante della vita con i suoi aspetti ora positivi, come l’invenzione del cellulare, ora tragici, come l’uso che ne fa la società dell’illegalità, della delinquenza. Ad ogni progresso scientifico e sociale fa riscontro l’uso distorto che ne fanno i fuorilegge. Ma questo brulicare continuo non sfugge allo scrittore sensibile e attento che ne esplora i riflessi sul mondo reale nel quale deve vivere l’umanità nelle sue più svariate combinazioni. Il mondo intero è un gigantesco palcoscenico, diceva giustamente Shakespeare. Gli ingredienti delle vicende che vi si svolgono sono sempre gli stessi: amore/odio, egoismo/generosità, fedeltà/tradimento, onestà/disonestà, e poi ambizione, avidità, stoicismo, abnegazione, crudeltà, violenza, poesia, dolcezza. La gamma delle diverse forme di comportamento umano è infinita. La vita quotidiana è dunque un pozzo senza fondo nel quale trovare ciò che può servire a costruire dei personaggi “vivi” e delle storie di vita palpitanti, a volte grottesche, sinistre, altre volte sublimi. Penso a quanto si legge sui quotidiani e si vede sugli schermi televisivi ogni mattina all’ora della colazione, tra l’aroma del caffè e lo scricchiolio del coltello imburrato sulla fetta di pane tostato.

Come costruisce lei i suoi racconti? Quali sono i suoi metodi di lavoro?

Sostanzialmente i metodi per me sono due : il lavoro lineare, ossia il racconto che prosegue secondo l’ordine cronologico degli eventi narrati, e il metodo « per episodi » che consiste nel comporre le diverse scene come sorgono nella mente, e inserirle in seguito al loro posto nel cuore dell’opera narrata. Devo dire che questo secondo metodo richiede una maggiore attenzione per non cadere nell’anacronismo, ossia l’inserimento di certi aspetti della narrazione prima del momento nel quale devono apparire

Ha lei sviluppato certe attitudini nel contesto del suo lavoro? Ha bisogno del silenzio per lavorare? Della musica? Del computer?

Lavoro sempre e soltanto sul computer, col programma Word, e in un silenzio quasi assoluto. E’ così che ho sviluppato un modo di vita notturno e nell’ambiente rurale di un modesto villaggio di qualche migliaio di abitanti rispettosi della pace altrui. Il computer è lo strumento ideale al servizio dello scrittore per la facilità con la quale permette di correggere, sopprimere o aggiungere nuovi elementi senza dover riscrivere la pagina intera o aggiungere con la colla frasi intere o brani nuovi, come doveva fare il povero Marcel Proust che perse addirittura la vita in quel lavoro senza fine.

Che cosa rappresenta per lei la scrittura, una forma di svago o una necessità?

Direi entrambe le cose, ma con una preferenza per la necessità. Se fossi privato della possibilità di scrivere, non sopravvivrei a lungo. Penso in questo momento a Victor Klemperer, l’ebreo tedesco che, sotto il tallone nazista si vide privare progressivamente di tutto quanto può contribuire ad edificare un’esistenza, dal diritto di percorrere certe strade, a quello di possedere un’automobile, una radioricevente, il telefono e perfino una macchina da scrivere, che gli furono confiscati. Sopravvisse scrivendo con una penna il suo capolavoro: “LTI Lingua Tertii Imperii” in cui descrive quotidianamente, di nascosto, i neologismi creati dai teorici del Nazismo. Il tentativo di sopprimerlo negandogli la possibilità di scrivere fallì ed egli pubblicò il suo libro dopo la fine della guerra. Ho sempre presente la strenua lotta di quell’uomo per sopravvivere tramite la scrittura nelle condizioni allucinanti in cui era costretto a condurre la propria esistenza. Per lui, la scrittura era davvero una necessità vitale. Le condizioni in cui io scrivo non sono minimamente comparabili a quelle in cui viveva Victor Klemperer. Ci penso comunque quando qualche problema contingente mi fa perdere tempo prezioso che devo sottrarre alla scrittura. Oralmente sono più imbarazzato in quanto ho bisogno del tempo necessario per comporre razionalmente le mie frasi, analizzarle, eventualmente correggerle e adattarle alle circostanze nelle quali mi trovo a discutere. La tesi ha bisogno dell’antitesi per pervenire alla sintesi. L’improvvisazione permette raramente questa dialettica.

 

Oltre alla scrittura, si dedica ad altre attività?

Durante le vacanze scolastiche, assieme a mia moglie ci occupiamo dei nostri nipotini, della nostra grande casa e del giardino. Posseggo un’officina di bricolage ben fornita, ciò che mi obbliga ad occuparmi di qualche lavoretto che gli artigiani locali rifiutano. Ci sarebbe la possibilità di fare qualche viaggetto o qualche crociera, ma l’ondata di virus da un lato e la mia riluttanza a farmi inoculare il vaccino dall’altro, finiscono per ridurmi a rimanere confinato nella mia “reggia”.

Sta già pensando al suo prossimo libro?

Avendo appena terminato il romanzo su Zara, la mia città natale (regalata ai comunisti di Tito), ho deciso di concedermi un periodo di riposo e di riflessione prima di scegliere il genere di lavoro da affrontare dal prossimo autunno.

 

 

Gingko Edizioni e Flamingo Edizioni: una nuova collaborazione.

Gingko Edizioni e Flamingo Edizioni: una nuova collaborazione.

https://flamingoedizioni.com
https://www.gingkoedizioni.it

 

 

Da gennaio 2023 Gingko Edizioni ha spiccato il volo verso la Svizzera.

È, infatti, in collaborazione con Flamingo Edizioni che la nostra Casa Editrice curerà una nuova collana dedicata alla saggistica e a biografie di interesse storico, scientifico, psicologico e sociologico.

La Flamingo Edizioni nasce a Bellinzona (Svizzera) nel 2016 e il criterio di selezione dei testi da pubblicare è l’incisività.

Proprio come la Gingko Edizioni, anche la Flamingo Edizioni investe su pochi, selezionati testi in cui crede profondamente, anche se questa attenta cernita – lo sappiamo bene – comporta necessariamente un considerevole investimento di risorse.

Gli Editori, Orlando Del Don (Flamingo) e Angelo Paratico (Gingko), sono lieti di poter pubblicare nuove proposte in sinergia, offrendo i titoli interessati sia al mercato italiano che a quello svizzero.

Il progetto nasce dunque da un terreno di interesse comune – quello della saggistica, appunto – ma anche dalla profonda convinzione che l’Editoria debba trarre giovamento dalla collaborazione piuttosto che dalla competizione. La passione per i libri, quindi, può unire fra loro non solo i lettori ma anche e soprattutto le Case Editrici.

È con questo spirito che Flamingo e Gingko uniscono la propria esperienza e la mettono a disposizione di un progetto comune.

Attualmente sono già al vaglio alcune proposte di pubblicazione e vi terremo aggiornati in merito alle prossime uscite che inaugureranno la nuova collana.

 

Perché gli 007 statunitensi sapevano della epidemia in Cina, prima delle autorità cinesi?

Perché gli 007 statunitensi sapevano della epidemia in Cina, prima delle autorità cinesi?

Fake news, complottismo? Un esperimento dei laboratori di Wuhan sfuggito di mano? Oppure, difficile da credere, un esperimento militare organizzato dai servizi di intelligence americani, non pienamente autorizzato dai vertici della politica statunitense? Giudicate voi…

Aricolo di WILL JONES pubblicato il 21 DICEMBRE 2022 sul Daily Sceptic

Ecco una cosa che mi ha infastidito. Come hanno fatto gli analisti dell’intelligence statunitense a individuare quello che consideravano un nuovo virus pericoloso in Cina, in un momento in cui non c’è alcuna prova che la Cina lo avesse individuato? Come hanno individuato il pericolo straordinario nel mezzo di una normale epidemia influenzale?

I funzionari dell’intelligence degli Stati Uniti hanno ammesso in diversi rapporti passati ai media di aver seguito l’epidemia di coronavirus in Cina a partire dalla metà di novembre 2019, e di aver persino informato la NATO e Israele in quel momento. Tuttavia, non è stato fornito alcun dettaglio su cosa li abbia spinti a intraprendere questa insolita azione.

Ecco cosa ci è stato detto, come raccolto da Gilles Demaneuf di DRASTIC. ABC News del 9 aprile 2020 ha riportato informazioni provenienti da “quattro fonti”, secondo cui “già alla fine di novembre, i funzionari dell’intelligence statunitense avevano avvertito che un contagio stava attraversando la regione cinese di Wuhan, cambiando i modelli di vita e di affari e rappresentando una minaccia per la popolazione”.

Queste preoccupazioni “sono state dettagliate in un rapporto di intelligence di novembre del National Center for Medical Intelligence (NCMI) dell’esercito”, citando due funzionari che hanno familiarità con il rapporto. Il rapporto era “il risultato dell’analisi di intercettazioni telefoniche e informatiche, insieme a immagini satellitari”. Una delle fonti ha detto: “Gli analisti hanno concluso che potrebbe trattarsi di un evento catastrofico” e che “è stato poi comunicato più volte” alla Defense Intelligence Agency, allo Stato Maggiore del Pentagono e alla Casa Bianca.

Il rapporto ABC News aggiunge che “la leadership cinese sapeva che l’epidemia era fuori controllo” e il Presidente degli Stati Uniti fu informato a gennaio.

Da quell’avvertimento di novembre, le fonti hanno descritto questo fatto con ripetuti briefing fino a dicembre per i politici e i responsabili delle decisioni in tutto il Governo Federale, nonché per il Consiglio di Sicurezza Nazionale alla Casa Bianca. Tutto questo è culminato con una spiegazione dettagliata del problema che è apparsa nel Daily Brief del Presidente sulle questioni di intelligence all’inizio di gennaio.

“La tempistica della intelligence potrebbe essere più profonda di quanto stiamo discutendo”, ha detto la fonte dei rapporti preliminari da Wuhan. “Ma sicuramente il presidente è stato informato a partire dalla fine di novembre come qualcosa su cui i militari dovevano assumere una posizione”.

Il rapporto dell’NCMI è stato reso ampiamente disponibile alle persone autorizzate ad accedere agli avvisi della comunità di intelligence. Dopo la pubblicazione del rapporto, altri bollettini della comunità di intelligence hanno iniziato a circolare attraverso i canali riservati del Governo intorno al giorno del Ringraziamento, hanno detto le fonti. Secondo queste analisi, la leadership cinese sapeva che l’epidemia era fuori controllo, anche se teneva nascoste queste informazioni cruciali ai governi stranieri e alle agenzie di salute pubblica.

Tuttavia, i resoconti dei media sono incoerenti. Lo stesso giorno (9 aprile), NBC News ha pubblicato il seguente rapporto, affermando che “non c’era alcuna valutazione che un’epidemia globale letale fosse in corso in quel momento”.

L’intelligence è arrivata sotto forma di intercettazioni, di comunicazioni e immagini dall’alto che mostravano un aumento dell’attività presso le strutture sanitarie, hanno detto i funzionari preposti. L’intelligence è stata distribuita ad alcuni funzionari federali della sanità pubblica sotto forma di “rapporto sulla situazione” alla fine di novembre, ha detto un ex funzionario informato sulla questione. Ma all’epoca non c’era alcuna valutazione sul fatto che si stesse preparando un’epidemia globale letale, ha detto un funzionario della difesa.

Il Gen. dell’aeronautica John Hyten, Vice Presidente dello Stati Maggiore Riunito, ha dichiarato di non aver visto i rapporti di intelligence sul coronavirus fino a gennaio.

Siamo tornati indietro e abbiamo esaminato le cose a novembre e dicembre. La prima indicazione che abbiamo avuto sono stati i rapporti provenienti dalla Cina alla fine di dicembre, che sono stati resi pubblici. E i primi rapporti di intelligence che ho visto sono stati diffusi a gennaio.

Lo stesso NCMI ha negato su ABC l’esistenza del “prodotto/valutazione”, ossia del rapporto a cui si fa riferimento (anche se alcuni hanno suggerito che probabilmente esisteva un rapporto che non era tecnicamente un ‘prodotto’ di intelligence).

Secondo un rapporto del Times of Israel del 16 aprile 2020, la comunità di intelligence degli Stati Uniti “si è resa conto della malattia emergente a Wuhan nella seconda settimana di [novembre] e ha redatto un documento classificato”. Il rapporto sostiene anche che la Cina era consapevole all’epoca: “Le informazioni sull’epidemia non erano di dominio pubblico in quella fase – ed erano note solo apparentemente al Governo cinese”. Un rapporto israeliano di Channel 12 della stessa data ha affermato che l’intelligence statunitense stava ‘seguendo la diffusione’ a metà novembre e ha persino informato la NATO e Israele in quel momento – anche se, in modo un po’ contraddittorio, ha affermato che le informazioni “non provenivano dal regime cinese”.

Un rapporto segreto dell’intelligence statunitense, che avvertiva di una “malattia sconosciuta” a Wuhan, in Cina, è stato inviato solo a due dei suoi alleati: La NATO e Israele. Nella seconda settimana di novembre, l’intelligence statunitense ha riconosciuto che una malattia con nuove caratteristiche si stava sviluppando a Wuhan, in Cina. Hanno seguito la sua diffusione, quando a quel punto questa informazione classificata non era nota ai media e non era stata divulgata nemmeno dal regime cinese.

Questi resoconti dei media da parte di funzionari senza nome e volto dell’intelligence, che fanno riferimento a documenti di briefing non divulgati, non sono chiaramente coerenti. L’affermazione del Times of Israel, secondo cui il Governo cinese lo sapeva a novembre, è particolarmente strana, in quanto il rapporto afferma di trarre le sue informazioni direttamente dal rapporto di Channel 12, che afferma proprio il contrario. Anche l’affermazione di ABC News secondo cui il Governo cinese era a conoscenza a novembre di un’epidemia “fuori controllo” che stava “cambiando i modelli di vita”, ma questa informazione è stata tenuta segreta, è strana. Come si può tenere segreta un’epidemia “fuori controllo” che stava “cambiando i modelli di vita”? Quando il virus è venuto alla luce alla fine di dicembre, è stato accompagnato da una raffica di attività sui social media in Cina.

Dov’è l’attività sui social media di novembre, di persone che parlavano di un’epidemia “fuori controllo” che stava “cambiando i modelli di vita e di business”? Dove sono le immagini satellitari che mostrano questi impatti sugli ospedali e sulla vita sociale? Non ne sono state prodotte, anche se sarebbe semplice farlo.

Questo porta a una domanda cruciale. La Cina lo sapeva a novembre? In precedenza avevo ipotizzato di sì, ma guardando in modo più obiettivo, non ho visto alcuna prova concreta che lo sapesse. Il rapporto dell’intelligence statunitense del 2021 sulle origini di Covid dice che la Cina: “Probabilmente non era a conoscenza dell’esistenza del SARS-CoV-2 prima che i ricercatori del WIV lo isolassero, dopo il riconoscimento pubblico del virus nella popolazione generale”. Ma era già a conoscenza di un’insolita epidemia di eziologia sconosciuta? Non mi sembra che siano state mostrate prove in tal senso.

A parte le affermazioni dei media di cui sopra (che, come notato, sono ampiamente smentite dai funzionari della Difesa), l’unica prova che abbiamo proviene dal rapporto di minoranza del Senato del 2022, che ha legami con l’intelligence statunitense, in particolare con il pezzo grosso della biodifesa Robert Kadlec. Questo rapporto suggerisce che la Cina è venuta a conoscenza di una fuga di notizie presso l’Istituto di Virologia di Wuhan (WIV) nel novembre 2019 e, in quel momento, ha iniziato a lavorare su un vaccino. Ma non fornisce alcuna prova reale per questa affermazione, ma solo dichiarazioni vaghe su quando si è svolta la formazione sulla sicurezza e insinuazioni sulla tempistica dello sviluppo del vaccino. Inoltre, in particolare, pone l’attenzione interamente sulla ricerca cinese e sul WIV e per nulla sulla ricerca statunitense, facendo nascere il sospetto che si tratti di un ‘hangout limitato’ della comunità di intelligence e di un esercizio di diversione dell’attenzione.

Vale la pena notare che il Colonnello Dr. Robert Kadlec, che sembra essere dietro il rapporto del Senato, è stato il primo Direttore della Politica di Biosicurezza della Sicurezza Nazionale sotto il Presidente G.W. Bush ed è una mente delle prime simulazioni di pandemia, incluso il Dark Winter del 2001. Quando la COVID-19 ha colpito, Kadlec è diventato il massimo funzionario della preparazione all’emergenza, coordinando la risposta del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti e del Governo federale. È quindi una figura centrale nell’establishment della biodefence statunitense che ci ha portato alle serrate e non può essere considerato una fonte di informazioni indipendente o affidabile.

La migliore prova indipendente che abbiamo attualmente che la Cina sapeva prima della fine di dicembre sono i rapporti che Gilles Demaneuf trasmette da due scienziati statunitensi, Lawrence Gostin e Ian Lipkin, secondo i quali a metà dicembre i contatti di scienziati cinesi hanno parlato di un’insolita epidemia virale. Tuttavia, questo non è affatto certo, e si tratta di settimane dopo la metà di novembre.

Ci sono molte ragioni per pensare, come da briefing dei media di Channel 12, che la Cina non lo sapesse prima di dicembre. Ad esempio, l’evidente mancanza di preoccupazione del Governo cinese nei confronti del virus fino al 23 gennaio circa. Fino al 14 gennaio, gli esperti cinesi hanno detto all’Organizzazione Mondiale della Sanità che non erano nemmeno sicuri che il virus si trasmettesse  agli esseri umani! È difficile crederlo, ma ciò dimostra quanto non fossero allarmati.

C’è anche l’assenza di precedenti avvisi di salute pubblica, come quello apparso il 31 dicembre 2019 da parte della Commissione municipale per la salute di Wuhan, oltre, come già detto, all’assenza di qualsiasi attività sui social media in merito a un’epidemia a novembre. Inoltre, c’è l’apparente mancanza di sequenziamento del virus prima della fine di dicembre, e per di più in un laboratorio privato, il che mette in crisi l’idea che la Cina stesse sviluppando un vaccino da novembre. E c’è il fatto che le autorità cinesi sembravano credere che il mercato degli umidi di Huanan fosse un’origine plausibile per il virus durante il mese di gennaio, fino a quando non hanno studiato la teoria e l’hanno sfatata.

Certo, ci possono trovare spiegazioni alternative per alcune di queste cose. Per esempio, la storia del mercato di Wuhan potrebbe essere stata un modo per sostenere la bizzarra affermazione iniziale che non sembrava esserci una trasmissione da uomo a uomo, ma è difficile credere che gli scienziati cinesi abbiano mai creduto davvero, visto quanto sia poco plausibile e il fatto che sembrava esserci una certa consapevolezza di un’epidemia più ampia tra gli scienziati cinesi a dicembre. D’altra parte, il rapporto trapelato del Governo cinese del febbraio 2020 sembra mostrare i funzionari che si affrettano a guardare indietro per vedere cosa stava succedendo negli ospedali in ottobre e novembre, senza alcuna indicazione che lo sapessero all’epoca – e anche nessuna indicazione di un’epidemia “fuori controllo”. Forse anche questo è un abile falso. Ma è tutto falso? E in ogni caso, dove sono le prove positive che la Cina sapeva?

L’apparente ignoranza dei cinesi contrasta fortemente con ciò che i funzionari dell’intelligence statunitense hanno detto di sapere a novembre, come da briefing dei media di cui sopra, che affermano che gli analisti dell’intelligence statunitense stavano ‘seguendo la diffusione’ da metà novembre e che i militari, il Governo e gli alleati degli Stati Uniti erano tenuti informati. Forse alcuni di questi dati sono esagerati dai funzionari dell’intelligence che cercano di difendersi dalle accuse di aver mancato i primi segnali della pandemia. Ma tutto questo?

Inoltre, c’è un rapporto molto eloquente del Dr. Michael Callahan, che il Dr. Robert Malone ha descritto come “il massimo esperto del Governo degli Stati Uniti/CIA sia nella guerra biologica che nella ricerca sul gain of function”, e che era già a Wuhan all’inizio di gennaio “sotto la copertura del suo incarico di Professore ad Harvard”. Ha dichiarato al National Geographic di essersi recato a Singapore per seguire il virus nei mesi di novembre e dicembre. Sostiene di essere stato informato del virus da “colleghi cinesi”, ma questo è molto vago e potrebbe non essere vero.

All’inizio di gennaio, quando i primi vaghi rapporti sulla nuova epidemia di coronavirus stavano emergendo da Wuhan, in Cina, un medico americano aveva già preso appunti. Michael Callahan, esperto di malattie infettive, stava lavorando con i colleghi cinesi su una collaborazione di lunga data sull’influenza aviaria a novembre, quando questi ultimi hanno parlato della comparsa di uno strano nuovo virus. Subito si è recato a Singapore per visitare i pazienti che presentavano i sintomi dello stesso germe misterioso.

Ci sono altri due contrasti sorprendenti tra gli approcci iniziali degli Stati Uniti e della Cina che vale la pena notare. In primo luogo, i responsabili dell’intelligence e della biodifesa degli Stati Uniti sono stati molto allarmisti riguardo al nuovo virus fin dal mese di gennaio, mentre il Governo cinese è rimasto apparentemente calmo fino al 23 gennaio circa. Non è ancora del tutto chiaro perché la Cina abbia invertito la sua politica a quel punto; apparentemente era legata al riconoscimento della trasmissione da uomo a uomo, ma è improbabile che questa sia la vera ragione.

In secondo luogo, gli scienziati e i funzionari dell’intelligence statunitensi si sono attaccati a una teoria del wet market che sapevano essere falsa, dato che l’intelligence statunitense seguiva l’epidemia da novembre e che le stesse autorità cinesi avevano sfatato la teoria molto presto. Nonostante ciò, alcuni scienziati statunitensi, compresi quelli coinvolti nell’insabbiamento della fuga di notizie dal laboratorio di Fauci, sono rimasti fedeli a questa teoria.

È anche significativo che i funzionari dell’intelligence e gli scienziati statunitensi abbiano fin dall’inizio bloccato attivamente qualsiasi tentativo di indagare sulla possibilità di un virus ingegnerizzato, di una fuga di notizie dal laboratorio o di una diffusione precoce del virus (anche se alcuni membri dell’intelligence statunitense sembrano essere stati disposti a indagare, anche se apparentemente con l’obiettivo di incolpare esclusivamente la Cina). Secondo quanto riferito, gli alti funzionari del Governo hanno ripetutamente avvertito i colleghi di “non proseguire le indagini sull’origine del COVID-19”, perché avrebbero “aperto un vaso di Pandora” se fossero proseguite.

Nonostante il blocco delle indagini sulle origini, i funzionari dell’intelligence degli Stati Uniti hanno insistito più volte sul fatto che il virus non è stato sicuramente o probabilmente ingegnerizzato e hanno persino sostenuto la teoria del wet market di Wuhan mesi dopo che era stata screditata dagli stessi cinesi. Il 30 aprile 2020 l’ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale degli Stati Uniti (che all’epoca era in posizione vacante) ha rilasciato una dichiarazione secondo cui: “La Comunità di Intelligence concorda anche con l’ampio consenso scientifico che il virus COVID-19 non è stato creato dall’uomo o modificato geneticamente”. Il 5 maggio 2020, la CNN ha riportato un briefing di una fonte di intelligence Five Eyes che affermava inequivocabilmente che l’epidemia di coronavirus “ha avuto origine in un mercato cinese”.

L’intelligence condivisa tra le nazioni del Five Eyes indica che è “altamente improbabile” che l’epidemia di coronavirus si sia diffusa a seguito di un incidente in laboratorio, ma che abbia avuto origine in un mercato cinese, secondo due funzionari occidentali che hanno citato una valutazione di intelligence che sembra contraddire le affermazioni del Presidente Donald Trump e del Segretario di Stato Mike Pompeo.

Naturalmente non è possibile escludere la modificazione genetica, né all’epoca né in seguito, data la mancanza di virus naturali simili e di serbatoi animali e il fatto che il know-how per effettuare le modifiche esiste sicuramente. Con tutti i suoi difetti, il rapporto del Senato del 2022 è stato il primo documento associato all’intelligence a trattare un agente ingegnerizzato come una seria possibilità – anche se in particolare ha cercato di dare la colpa interamente alla Cina. Tuttavia, gli scienziati americani semplicemente non parlano – un’evasività che ha portato Jeffrey Sachs a sciogliere la task force sulle origini di Covid, che faceva parte della commissione Lancet Covid da lui presieduta, percependo gravi conflitti di interesse e una mancanza di cooperazione di base da parte degli scienziati statunitensi, che sembravano nascondere qualcosa.

Temo che non ci siano molti modi validi per spiegare tutto questo. Perché l’intelligence statunitense stava seguendo un’epidemia virale potenzialmente pericolosa in Cina a novembre, settimane prima che ci fossero prove che la Cina fosse a conoscenza della situazione o fosse preoccupata? Come ha fatto a individuare un tale segnale nel rumore di una stagione influenzale precoce? Come sottolinea Gilles Demaneuf:

Le immagini satellitari non ci permetterebbero di distinguere tra una brutta epidemia di polmonite stagionale e l’inizio di un’epidemia di coronavirus che si verifica nello stesso momento. È quindi probabile che solo una parte dei dati osservati dall’NCMI, come le comunicazioni in determinati ospedali, fosse effettivamente legata in modo chiaro a qualcosa di più grave di una brutta polmonite, ma comunque standard.

Ma naturalmente – e questo è un punto cruciale – il COVID-19 non è chiaramente e clinicamente distinguibile da una cattiva polmonite di tipo standard. Demaneuf sostiene che gli analisti hanno intercettato le comunicazioni dell’ospedale rivelando qualcosa di particolare che li ha preoccupati notevolmente. Ma di cosa si tratta? Non lo dicono – ma dovrebbero. Per affermare l’ovvio, questi rapporti dovrebbero essere declassificati e resi di dominio pubblico. La difficoltà, però, è che è difficile persino concepire cosa potrebbe essere. Che cosa si stavano dicendo i medici che hanno attirato l’attenzione degli analisti dell’intelligence e ha fatto sì che iniziassero a informare la NATO e Israele e a volare a Singapore? Qualunque cosa fosse, non sembra aver allarmato i medici dell’ospedale, poiché non è stata prodotta alcuna prova che i medici o i funzionari governativi in Cina abbiano notato o si siano preoccupati prima della metà di dicembre. Non abbiamo nemmeno visto alcuna prova dell’epidemia “fuori controllo” che stava “cambiando i modelli di vita e di business”, come sostenuto da ABC News. Il problema è che, in assenza di dettagli, ci chiediamo cosa potrebbe essere, in particolare quando la COVID-19 non è clinicamente distinguibile da altre cause di polmonite grave.

C’è un modo semplice per spiegare tutto questo, ma le sue implicazioni sono a dir poco inquietanti. È che il virus sia stato deliberatamente rilasciato in Cina da uno o più gruppi all’interno dei servizi di sicurezza e di intelligence statunitensi. Lo scopo di tale rilascio sarebbe stato in parte quello di disturbare la Cina e in parte come esercizio in diretta per la preparazione alle pandemie – che è, come sappiamo, il modo in cui la pandemia è stata in pratica trattata da coloro che fanno parte della rete di biodifesa degli Stati Uniti. Per quanto scioccante, questo non è fuori dai limiti della possibilità.

Consideriamo ciò che Robert Kadlec ha scritto in un documento strategico del Pentagono nel 1998:

L’uso di armi biologiche sotto la copertura di una malattia endemica o naturale offre all’aggressore il potenziale di una negazione plausibile. Il potenziale della guerra biologica di creare una perdita economica significativa e la conseguente instabilità politica, insieme alla negazione plausibile, supera le possibilità di qualsiasi altra arma umana.

Se questo fosse il caso, è possibile che l’aggiunta del sito di scissione della furina al virus serva a migliorare la sua infettività, al fine di aumentare la possibilità che si verifichi una pandemia (forse ci avevano già provato con un virus meno infettivo e non aveva funzionato così bene). Il virus sarebbe volutamente relativamente lieve, in modo da non causare troppi danni, ma sufficientemente grave da avere l’impatto desiderato – almeno se assistito con le operazioni di psyops e propaganda. Pochissimi individui sarebbero probabilmente a conoscenza dell’origine – la maggior parte farebbe parte dell’esercitazione dal vivo.

Uno scenario del genere spiegherebbe perfettamente come il personale dell’intelligence statunitense abbia seguito da vicino la ‘diffusione’ a novembre, nonostante la Cina fosse all’oscuro di tutto. Spiegherebbe anche perché i responsabili della biodifesa degli Stati Uniti sono stati molto più allarmisti delle autorità cinesi fin dall’inizio; perché hanno negato che il virus potesse essere ingegnerizzato e hanno stroncato tutti gli sforzi per indagare sulle origini (e si sono aggrappati a teorie screditate); e perché hanno portato avanti l’intero piano di biodifesa con blocco e attesa di un vaccino, nonostante il virus non lo giustificasse (e le misure non funzionassero), e in generale hanno trattato l’intera faccenda come un’esercitazione dal vivo. È incontestabile sottolineare che la pandemia è stata un’opportunità d’oro per mettere in pratica i piani preparati da tempo. Ma se fosse stata un’opportunità che non hanno lasciato al caso?

Nessuno di noi vuole trarre questa conclusione, ovviamente. Per confutarla, almeno per quanto riguarda questo argomento, dovremmo vedere molti più dettagli su ciò che gli analisti dell’intelligence statunitense vedevano e dicevano nel novembre 2019, il che spiegherebbe come potessero sapere ciò che la Cina non sapeva e perché erano così preoccupati quando la Cina non lo era.

A parte questo, è difficile non chiedersi: e se rilasciare il virus in Cina per sconvolgere il Paese e vedere come reagisce il mondo fosse stato un piano azzardato escogitato nei recessi più profondi dello Stato di biosicurezza degli Stati Uniti?

 

Ecco l’articolo originale:

How Did U.S. Intelligence Spot the Virus in Wuhan Weeks Before China?

 

Cliente restituisce 800 dollari di libri che aveva usato per arredare la casa

Cliente restituisce 800 dollari di libri che aveva usato per arredare la casa

La proprietaria di una libreria di Chicago, Rebecca George, ha dichiarato che un cliente le ha restituito 800 dollari di libri, dopo averli usati per decorare la propria casa per le vacanze.

La co-proprietaria di Volumes Bookcafe a Chicago, ha raccontato in un tweet che un cliente che aveva fatto un grosso ordine di libri, prima delle vacanze natalizie, è riapparso per restituirli.

“È emerso che una delle nostre più grandi singole vendite del mese scorso era destinata a una persona che doveva allestire la sua casa per le vacanze, li ha restituiti tutti. Per favore, non fate questo a una piccola impresa come la nostra, gente! Quella vendita ci ha permesso di pagare un terzo del nostro affitto”, ha commentato George su Twitter.

Il tweet è  subito diventato virale ed è stato visualizzato oltre 6,9 milioni di volte e ha ottenuto migliaia di retweet e like. La George ha detto a Fox 32 Chicago che la merce restituita ammontava a 800 dollari e che si stava “solo sfogando” sui social, ma non si aspettava che il suo tweet diventasse così popolare.

“Non so chi l’abbia raccolto, ma in realtà è girato in modo piuttosto veloce”, ha dichiarato la George a Fox 32.

In un commento, la George ha dichiarato che le vendite dei libri sono aumentate da quando il suo tweet è diventato virale, compensando la merce restituita “e non solo…”.

“Gli esseri umani sono davvero meravigliosi. Abbiamo ricevuto ordini da tutto il paese”, ha detto George.

“Tutti hanno lasciato dei bigliettini, come dei bellissimi bigliettini con i loro acquisti”, ha aggiunto a Fox 32. “Dicendo tipo: ‘Sostengo la merce restituita’”. “Dicevano: ‘Ti sostengo. Penso che tu sia una donna fantasti.ca”. O del tipo: ‘Continua così e manda a quel paese la gente insiìensibile'”. Su Twitter, George ha detto che di solito il negozio vede meno dell’1% di resi, che pure permettono come da loro regolamento.

“Questa persona è stata un caso insolito. Erano libri d’arte e di cucina piuttosto costosi (alcuni incartati)”, ha detto George in un altro tweet. “E sì, non è l’ideale, ma a volte come piccola impresa finisci per fare i salti mortali per accontentare persone che non se lo meritano, per salvarti da un altro tipo di caos. È raro, ma succede”.

George ha raccontato che il cliente che ha effettuato il reso sembrava “inconsapevole del suo impatto sulla loro economia”.

“Non ho più parlato con lui dopo il caos di questa settimana”, ha detto la signora George, aggiungendo che sabato il negozio era “super affollato” di clienti per l’ottima pubblicità ricevuta.

 

 

Dopo la legione perduta, abbiamo un imperatore perduto: Sponsiano, che tentò di detronizzare Filippo l’Arabo, caduto a Verona, combattendo l’usurpatore Decio

Dopo la legione perduta, abbiamo un imperatore perduto: Sponsiano, che tentò di detronizzare Filippo l’Arabo, caduto a Verona, combattendo l’usurpatore Decio

 

Marco Giulio Filippo Augusto (in latino: Marcus Iulius Philippus Augustus), meglio noto come Filippo l’Arabo (Philippus Arabus; Trachontis, Siria, 204 circa – Verona, 249).

Nell’Impero fu preceduto da Gordiano III e succeduto da Decio. Sappiamo poco di lui e del suo regno durato cinque anni e mezzo. Celebrò il millennio dalla fondazione di Roma e fu, forse, il primo imperatore cristiano.

Dovette combattere vari usurpatori. Nel periodo del suo regno scoppiarono una serie di rivolte in Oriente: un certo Marco Iotapiano si scatenò contro il governo oppressivo e la tassazione troppo elevata nei territori governati dal fratello di Filippo, Prisco in Mesia ed in Pannonia; Tiberio Claudio Marino Pacaziano fu acclamato imperatore dalla truppe; ed infine fu la volta di altri due usurpatori, Silbannaco in Gallia (la cui rivolta fu sedata dal futuro imperatore Decio) e, forse, da un certo Sponsiano, in Dacia, fomentatori di altrettante rivolte, anch’esse finite nel nulla.

A Roma, Filippo, venuto a sapere della proclamazione di Decio, da lui inviato come suo rappresentante presso i rivoltosi, decise di riunire le sue legioni e marciargli contro. I due eserciti si scontrarono presso Verona all’inizio dell’estate del 249. Decio riuscì a battere Filippo. L’imperatore morì sul campo di battaglia, forse per mano dei suoi stessi soldati, desiderosi di ingraziarsi il nuovo imperatore. Infatti, quando la notizia raggiunse Roma, Severo Filippo, l’erede undicenne di Filippo, già nominato Cesare, fu a sua volta assassinato, sgozzato dalla guardia pretoriana.

Nel 1713, in Transilvania, fu scoperto un cesto contenente delle monete romane, alcune delle quali recavano il ritratto e il nome di Sponsiano, un  nome sconosciuto. Nel 1868 il numismatico francese Henri Cohen dichiarò che le monete di Sponsiano erano “falsi moderni di pessima qualità”, forse opera di un falsario viennese. Quindi Sponsiano, per estensione, potrebbe non essere mai esistito. Le due monete d’oro erano più pesanti del solito, con iscrizioni non coerenti con altre monete romane.  Ma solo recentemente una nuova analisi ha fornito la prova che sono autentiche.

Una delle monete di Sponsiano si trova ora al Museo Nazionale Brukenthal di Sibiu, in Romania; un’altra fa parte della collezione Hunterian dell’Università di Glasgow.

Sponsiano (o Sponsianus) sembra essere stato un generale romano nella provincia romana della Dacia, oggi Romania, un avamposto o colonia latina. Secondo gli autori, fu molto probabilmente attivo durante un periodo critico di disordini nel III secolo d.C.. Dopo l’assassinio dell’imperatore Severo Alessandro e Gordiano III da parte delle sue stesse truppe, l’Impero romano fu scosso da invasioni barbariche, rivolte contadine, guerre civili, una pandemia (la peste di Cipriano) e l’ascesa di molteplici usurpatori in lizza per il potere.

Le due monete sono state sottoposte a vari test: microscopia ottica, l’imaging a raggi ultravioletti, microscopia elettronica a scansione e la spettroscopia infrarossa di Fourier. Lo stesso hanno fatto per altre due monete romane la cui autenticità era stata confermata, a scopo di confronto. L’analisi ha confermato la presenza di graffi e altri segni di usura comunemente riscontrati nelle monete romane autentiche. Inoltre, l’analisi chimica ha indicato che tutte e quattro le monete erano state sepolte nel terreno per secoli prima di essere esposte all’aria.

Ma non tutti sono convinti che siano autentiche. Richard Abdy, curatore delle monete romane e greche al British Museum, non ha lesinato parole sul suo scetticismo. “Sono diventati completamente fantasiosi”, ha dichiarato al Guardian. “È una prova circolare. Dicono che grazie alla moneta c’è la persona, e che quindi la persona deve aver fatto la moneta”. L’esperto numismatico francese Henry Cohen sostenne da subito che fosse un “falso moderno di pessima qualità”. Un’affermazione motivata principalmente da due elementi. Prima di tutto, perché il profilo imperiale presentava elementi artisticamente barbari, tratti abbozzati. Il rovescio sarebbe stata una brutta copia di un denario repubblicano databile al 135 a.C. (gens Minucia del II secolo a.C.).

La moneta contestata porta sul dritto il profilo di Sponsiano con corona rodiata (secondo il modello degli “antoniniani”) mentre sul rovescio possiamo individuare diversi interessanti elementi. Prima di tutto, al centro è posta una colonna sormontata da una statua con una lancia nella mano destra. A sinistra, è presente un uomo in toga, a destra un augure con in mano un lituus, piccolo bastone ricurvo utilizzato per marcare uno spazio rituale nel cielo. In primo piano due spighe di grano, che simboleggiano sia la buona sorte sia l’abbondanza dei raccolti.

Paul Pearson, Professore del London University College, nel 2020 grazie a ricerche per un libro dedicato alla crisi del III secolo si è imbattuto in questa moneta ritenuta un falso, dimenticata in un armadio. La tentazione di saperne di più era troppo forte: così è iniziata una ricerca che potrebbe cambiare le nostre conoscenze sull’Impero Romano. Alla ricerca ha partecipato anche Jesper Ericsson, Responsabile Numismatico dell’Hunterton Museum. Ad un primo esame, è stata subito rilevata una patina che solo oggetti antichi possiedono. La ricerca è stata realizzata con nuove tecnologie che hanno permesso di rilevare, ad esempio, microabrasioni che portano a concludere che circolò per anni per poi essere sepolta per secoli (tracce di calce ed altri elementi).

Le fonti antiche non citano Sponsiano, però grazie alle altre monete che furono ritrovate in quel tesoro, in Transilvania, possiamo ritenere che l’usurpatore si possa posizionare cronologicamente tra Gordiano III (238 – 244) e Filippo l’Arabo (244 – 247). In particolare, si tende a valutare il suo periodo di azione durante il regno di quest’ultimo. Il primo e unico arabo ad aver governato Roma passò alla Storia per aver presieduto i festeggiamenti per il Millennio della Fondazione di Roma il 21 aprile del 247.

Sponsiano fu forse Governatore della Dacia, attuale Romania, in un momento molto complesso. Il paese, ricco di miniere d’oro e d’argento, faceva gola ai goti. Il Governatore decise così di adibire due legioni per proteggere la popolazione dagli invasori barbari.

Queste unità militari riportarono una grande vittoria, ricordata anni dopo dall’Imperatore Gallieno (253 – 268), il quale lodò le legioni per la loro vittoria e la dimostrata fedeltà all’Impero Romano. La situazione non migliorò successivamente, tanto che Aureliano (270 – 275) ordinò il ritiro dalla Dacia, ormai indifendibile economicamente. Per questo motivo, forse, ci sono così poche monete di Sponsiano: le monete potrebbero essere state fuse per un nuovo utilizzo.

Quanto detto fino ad ora porta ad alcune affascinanti ipotesi. Sponsiano potrebbe aver deciso di proclamarsi Imperatore (o forse fu acclamato dalle vittoriose legioni contro i goti e costretto ad assumere il titolo) per ovviare alla mancanza di una catena di comando. In mancanza di ordini da Roma, era necessario che qualcuno prendesse delle decisioni. Oppure, e così si spiegherebbe il rimando alla Roma Repubblica sul verso delle monete, egli fu parte di una congiura senatoria. Ma allora perché utilizzò rimandi ad una sola gens, peraltro estinta da secoli? Un’altra possibilità è che semplicemente Sponsiano vide la sua migliore occasione di una vita in armi e accettò di giocarsi il tutto e per tutto contro un governo lontano e inesistente. Cosa poi accadde è difficile da dire, forse le sue truppe vennero a sapere della vittoria di Decio a Verona, e lo uccisero.

 

Le donne portarono Adolf Hitler al potere

Le donne portarono Adolf Hitler al potere

Le antiche tribù germaniche si muovevano ponendo i guerrieri in testa alla colonna, poi venivano le donne e infine vecchi e bambini con gli animali. Queste colonne umane si snodavano per giorni e settimane. Gaio Mario vide sfilare per tre giorni e tre notti la tribù Cimbra nel 101 a.C.. Dopo il loro passaggio, i legionari uscirono fuori da dietro le palizzate e, affrontandoli in battaglia, li distrussero. Il nome della città di Mortara (Ara Mortis) ricorderebbe le grandi pire di corpi germanici. I guerrieri, vistisi perduti, gettarono le spade e fuggirono, ma dietro trovavano le donne germaniche che, con picche e bastoni, li assalivano per indurli a ritornare indietro e a contrastare i nemici. Questa è una vecchia tradizione germanica.

Dunque, perché le donne germaniche votarono per Hitler, permettendogli di arrivare al potere?

Esistono più di 30 saggi sul tema “Perché sono diventata nazista”, scritti da donne tedesche nel 1934, ma questi giacciono da decenni negli archivi della Hoover Institution di Palo Alto. Questi saggi sono stati portati alla luce solo tre anni fa, quando tre professori della Florida State University hanno organizzato la loro trascrizione e traduzione. Da allora sono stati resi disponibili in formato digitale, ma non hanno ricevuto grande attenzione.

Il movimento femminile tedesco era stato tra i più potenti e significativi al mondo, per mezzo secolo, prima che i nazisti salissero al potere nel 1933. Sin dagli anni Settanta del XIX secolo esistevano scuole superiori di alta qualità per le ragazze e all’inizio del XX secolo le università tedesche erano state aperte alle donne. Molte donne tedesche divennero insegnanti, avvocati, medici, giornalisti e scrittrici. Nel 1919 le donne tedesche ottennero il voto. Nel 1933, le donne, che erano milioni in più degli uomini (a Berlino c’erano 1.116 donne ogni 1.000 uomini), votarono più degli uomini per Hitler e i candidati nazionalsocialisti.

L’insoddisfazione per gli atteggiamenti dell’era di Weimar, il periodo tra la fine della Prima guerra mondiale e l’ascesa al potere di Hitler, è evidente negli scritti delle donne. La maggior parte delle autrici di saggi esprimono disappunto per qualche aspetto del sistema politico. Una di loro definisce il diritto di voto alle donne “uno svantaggio per la Germania”, mentre un’altra descrive il clima politico come “impazzito” e “tutti erano nemici di tutti”. Margarethe Schrimpff, una donna di 54 anni che vive appena fuori Berlino, descrive la sua esperienza:

“Ho partecipato alle riunioni di tutti… i partiti, dai comunisti ai nazionalisti; in una delle riunioni democratiche a Friedenau [Berlino], dove parlava l’ex ministro delle Colonie, un ebreo di nome Dernburg, ho vissuto la seguente esperienza: questo ebreo ha avuto l’ardire di dire, tra le altre cose: ‘Di cosa sono effettivamente capaci i tedeschi, forse di allevare conigli’?”.

“Cari lettori, non pensate che il sesso forte, fortemente rappresentato, sia saltato su e abbia detto a questo ebreo dove andare. Tutt’altro. Non un solo uomo ha emesso un suono, sono rimasti in silenzio. Tuttavia, una misera e fragile donnina del cosiddetto ‘sesso debole’ alzò la mano e respinse con forza le sfacciate osservazioni dell’ebreo, che nel frattempo era presumibilmente scomparso per partecipare a un’altra riunione”.

Questi saggi furono originariamente raccolti da un professore assistente della Columbia University, Theodore Abel, che organizzò un concorso di saggi con premi generosi con la collaborazione del Ministero della Propaganda nazista. Dei circa 650 saggi, circa 30 erano scritti da donne e Abel li mise da parte, spiegando in una nota a piè di pagina che intendeva esaminarli separatamente. Ma non lo fece mai. I saggi degli uomini costituirono la base del suo libro “Perché Hitler è salito al potere”, pubblicato nel 1938, che rimane una fonte importante nel discorso globale sull’ascesa al potere dei nazisti.

Riassumendo le scoperte di Abel, lo storico Ian Kershaw ha scritto nel suo libro sull’ascesa al potere di Hitler che esse dimostravano che “il fascino di Hitler e del suo movimento non si basava su alcuna dottrina distintiva”. Ha concluso che quasi un terzo degli uomini era attratto dall’ideologia della “comunità nazionale” indivisibile (Volksgemeinschaft) dei nazisti, e una percentuale simile era influenzata da nozioni nazionaliste, super-patriottiche e romantiche tedesche. Solo in circa un ottavo dei casi l’antisemitismo era la principale preoccupazione ideologica, anche se due terzi dei saggi rivelavano una qualche forma di avversione nei confronti degli ebrei. Quasi un quinto era motivato dal solo culto di Hitler, attratto dall’uomo in sé, ma i saggi rivelano differenze tra uomini e donne nel motivo dell’innamoramento per il leader nazista.

Per gli uomini, il culto della personalità sembra essere incentrato su Hitler come leader forte che spinge verso una Germania che si definisce in base a coloro che esclude. Non sorprende che le donne, anch’esse sull’orlo dell’esclusione, siano state meno affascinate da questa componente del nazismo. Piuttosto, i saggi delle donne tendono a fare riferimento a immagini e sentimenti religiosi che confondono la pietà con il culto di Hitler. Le donne sembrano essere mosse più dalle soluzioni proposte dal nazismo a problemi come la povertà che dalla presunta grandezza dell’ideologia nazista in astratto. Nel suo saggio, Helene Radtke, moglie 38enne di un soldato tedesco, descrive il suo “dovere divino di dimenticare tutte le faccende domestiche e di prestare il mio servizio alla patria”.

Agnes Molster-Surm, casalinga e insegnante privata, chiama Hitler il suo “Führer e salvatore donato da Dio, Adolf Hitler, per l’onore della Germania, la fortuna della Germania e la libertà della Germania!”.

Un’altra donna ha sostituito la stella del suo albero di Natale con una fotografia di Hitler circondata da un’aureola di candele. Questi uomini e queste donne condividevano il messaggio del nazionalsocialismo come se fosse un vangelo e si riferivano ai nuovi membri del partito come “convertiti”. Una di queste donne descrive i primi sforzi per “convertire” la sua famiglia al nazismo come se fossero caduti “su un terreno sassoso e non fosse germogliato nemmeno il più piccolo alberello verde di comprensione”.