Lo storico viaggio di Nixon in Cina ebbe luogo tra il 21 febbraio e il 28 febbraio 1972, visitando le città di Pechino, Hangzhou e Shanghai. Appena arrivato, Nixon incontrò privatamente Mao Zedong. Sappiamo cosa si dissero grazie al medico personale di Mao, che stava dietro a una tenda, pronto a intervenire con la bombola d’ossigeno. Il medico si chiamava Zhisui Li e pubblicò le sue memorie nel 1994, dopo essersi stabilito negli USA. Questo libro resta ancora proibito in Cina. L’autore racconta che Mao, stupito da quanto giovane fosse Richard Nixon, esordì con una battuta ironica, tramite il suo interprete: “Allora, Presidente, cosa vuole l’America, vuole la pace?”. Nixon lo stupì con la sua risposta: “Sì, vogliamo la pace, ma con onore!”.
Oggi tutti parlano di una pace giusta per l’Ucraina, ma si tratta un ossimoro o un flatus vocis senza senso. Ne ha parlato il segretario generale dell’Onu al summit dei Brics, auspicando una soluzione negoziata della guerra in Ucraina. La reclama da mesi Zelensky, in chiave diversa, per opporsi a ogni e qualsiasi trattativa che ponga fine alla guerra fissando le loro perdite territoriali, inclusa la Crimea. Anche Immanuel Kant sapeva che non esiste una pace giusta fra uomini ingiusti e parlava piuttosto di una pace-attraverso-il-diritto, quando possibile. Oggi dovremmo tornare a Nixon e puntare a una pace con onore per entrambi i contendenti.
L’insistenza di Zelensky sulle garanzie di non aggressione equivarrebbe all’entrata dell’Ucraina nella Nato, cosa che non ha alcun senso. La pace si deve basare su equilibri sottili non sulla garanzia di intervento in guerra della Nato e degli USA in un conflitto contro alla Russia. Gli errori storici spesso si ripetono. Fu, infatti, la concessione di un assegno in bianco alla Polonia e ad altri paesi da parte di Gran Bretagna e Francia, che portarono l’occidente a una guerra contro la Germania Nazista il 1 settembre 1939. Quello fu un grave errore fatto da Chamberlain, primo ministro del Regno Unito, in accordo con la Francia, perché giocando a una partita di Poker non si dice mai “vedo” se non si hanno buone carte in mano.
Gli inglesi bruciano Washington e la Casa Bianca nel 1812.
Le sparate del presidente Trump circa il Canada non vengono dal vuoto, ma scaturiscono da una serie di eventi, battaglie e scontri, vecchi di tre secoli ma pochi in Italia li conoscono. Cerchiamo qui di abbozzare un breve sommario dei pricipali eventi, anche se vorremmo anticipare che le elezioni federali in Canada si terranno prima del 20 ottobre 2025 e se passessero gli oppositori dell’attuale presidente Trudeau, la tensione calerà molto.
Il Canada divenne un dominio autonomo nel 1867 ma la Gran Bretagna mantenne il controllo sulla sua diplomazia e sulla difesa. Il capo di Stato è ancora re Carlo III.
Prima della conquista britannica del Canada francese, nel 1760, vi furono una serie di guerre tra inglesi e francesi. In generale, i britannici facevano molto affidamento sulle unità della milizia coloniale, mentre i francesi facevano affidamento sui loro alleati locali. La nazione irochese era un importante alleato britannico. Gran parte dei combattimenti consistevano in imboscate e guerre su piccola scala, seguiti da massacri feroci, nei villaggi lungo il confine tra il New England e il Quebec. Le colonie del New England avevano una popolazione molto più numerosa di quella del Quebec e quindi le invasioni principali avvenivano da sud a nord. La tensione lungo il confine era esacerbata dalla religione, poiché i cattolici francesi e i protestanti inglesi nutrivano una profonda sfiducia reciproca.
In seguito all’indipendenza dell’America, con il trattato di Parigi del 3 settembre 1783, il Canada divenne un rifugio per circa 70.000, ovvero il 15% dei lealisti che volevano lasciare gli Stati Uniti o che erano costretti a farlo a causa delle rappresaglie dei patrioti. Tra i lealisti originari, c’erano 3.500 afroamericani liberi. La maggior parte si trasferì in Nuova Scozia e nel 1792, 1.200 migrarono in Sierra Leone. Circa 2.000 schiavi neri furono portati dai proprietari lealisti; rimasero schiavi in Canada fino a quando l’Impero abolì la schiavitù nel 1833.
Le tensioni aumentarono nuovamente dopo il 1805, sfociando nella guerra del 1812 (1812-1815), quando il Congresso degli Stati Uniti, approvato dal quarto presidente James Madison (1751-1836, in carica dal 1809 al 1817), dichiarò guerra alla Gran Bretagna nel giugno 1812. Gli americani erano irritati dalle vessazioni britanniche nei confronti delle navi statunitensi e dal sequestro di 6.000 marinai dalle navi americane, dalle severe restrizioni contro al commercio americano neutrale con la Francia e dal sostegno britannico alle tribù ostili dei nativi americani nell’Ohio e nei territori che gli Stati Uniti avevano conquistato nel 1783.
Una volta scoppiata la guerra, la strategia americana fu quella di impadronirsi del Canada. C’era qualche speranza che i coloni nel Canada occidentale, la maggior parte dei quali erano immigrati recenti dagli Stati Uniti, avrebbero accolto con favore la possibilità di rovesciare i loro governanti britannici. Tuttavia, l’invasione americana fu sconfitta principalmente dalle truppe regolari britanniche con il supporto dei nativi americani e della milizia dell’Alto Canada. Aiutati dalla Royal Navy, una serie di incursioni britanniche sulla costa americana ebbero grande successo, culminando con un attacco su Washington che portò i britannici a bruciare la Casa Bianca, il Campidoglio e altri edifici pubblici nel 1812.
Con la resa di Napoleone nel 1814, la Gran Bretagna pose fine alle politiche navali che avevano fatto infuriare gli americani; con la sconfitta delle tribù indiane, la minaccia all’espansione americana cessò. Il risultato fu che sia gli Stati Uniti che il Canada affermarono la loro sovranità, il Canada rimase sotto al dominio britannico e Londra e Washington non ebbero più nulla per cui combattere. La guerra terminò con il Trattato di Gand, che entrò in vigore nel febbraio 1815. Una serie di accordi postbellici stabilizzò ulteriormente le relazioni pacifiche lungo il confine tra Canada e Stati Uniti. Il Canada ridusse l’immigrazione americana per timore di un’influenza eccessiva da parte degli Stati Uniti e rafforzò la Chiesa anglicana del Canada come contrappeso alle chiese battiste e metodiste, in gran parte americane.
All’indomani della guerra del 1812, i conservatori filo-britannici guidati dal vescovo anglicano John Strachan presero il controllo dell’Ontario (“Alto Canada”) e promossero la religione anglicana in contrapposizione alle chiese metodiste e battiste più repubblicane. Una piccola élite interconnessa, nota come Family Compact, prese il pieno controllo politico. La democrazia, così come praticata negli Stati Uniti, fu ridicolizzata. Le politiche ebbero l’effetto desiderato di scoraggiare l’immigrazione dagli Stati Uniti. Le rivolte a favore della democrazia in Ontario e Quebec (“Lower Canada”) nel 1837 furono represse; molti dei leader fuggirono negli Stati Uniti e la politica americana fu quella di ignorare in gran parte le ribellioni e di fatto ignorare il Canada in generale a favore dell’espansione verso ovest della frontiera americana.
Il trattato Webster-Ashburton del 1842 formalizzò il confine tra Stati Uniti e Canada nel Maine, scongiurando la guerra di Aroostook. Durante l’era del Manifest Destiny, l’agenda richiedeva l’annessione da parte degli Stati Uniti di quello che sarebbe diventato il Canada occidentale; gli Stati Uniti e la Gran Bretagna concordarono invece un confine sul 49° parallelo.
Quando il Segretario di Stato americano William H. Seward negoziò l’acquisto dell’Alaska dalla Russia, nel 1867, lo intese come il primo passo di un piano globale per ottenere il controllo dell’intera costa nord-occidentale del Pacifico. Seward credeva ai vantaggi commerciali che ne derivavano per gli Stati Uniti e si aspettava che la Columbia Britannica chiedesse l’annessione agli Stati Uniti e pensava che la Gran Bretagna avrebbe potuto accettarlo. Presto altri elementi approvarono l’annessione, pianificarono di annettere la Columbia Britannica, la Colonia del Fiume Rosso (Manitoba) e la Nuova Scozia. L’idea raggiunse il culmine nella primavera e nell’estate del 1870, quando gli espansionisti americani, i separatisti canadesi e gli inglesi filoamericani sembravano unire le forze. Poi per una serie di ragioni il piano fu abbandonato.
In seguito, vi furono delle pesanti frizioni fra i due stati che però non raggiunsero mai il livello di una guerra aperta.
In una mia lettera al quotidiano l’Arena, uscita il 12 maggio 2023 scrivevo che:
Per quanto riguarda la guerra fra Russia e Ucraina esiste una sola alternativa. Bisogna costringere l’Ucraina ad alzare le braccia e arrendersi e questo lo possono decidere solo gli Stati Uniti. È stupido combattere una guerra che non si può vincere. Un Paese con centinaia di bombe atomiche nell’arsenale non è battibile. Proseguire con queste illusioni di una controffensiva ucraina è una pericolosa follia, che può portare solo alla fine del nostro pianeta. Spero che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, abbia già pensato alla preparazione di rifugi antiatomici, sia nelle città che fuori di esse, utilizzando vecchie gallerie e miniere.
Ora, grazie a Trump stiamo arrivando a capire che le cose stanno effettivamente così, dopo la morte di mezzo milioni di ragazzi russi e ucraini. Nelle ultime 24 ore, tuttavia, i politici di mezzo mondo sono tornati a digrignare i denti e a lamentarsi, come avevano fatto durante il primo mandato di Trump. È vergognoso! È un analfabeta! È il burattino di Vladimir Putin! Un bancarottiere. È sconsiderato e completamente fuori controllo! E questo, ovviamente, è il punto per loro più importante.
La rielezione di Trump ha dimostrato che non è stata un’aberrazione passeggera, quindi, nel 2025 l’ordine mondiale liberale e occidentale cerca apparentemente di scendere a patti con lui.
L’Occidente ha investito un’enorme quantità di capitali, politici, economici e strategici, nella lotta contro alla Russia, ma ha fallito. Trump lo sa e quindi sta ponendo fine alla guerra: se questo significa insultare Volodymyr Zelensky, ripetere come un pappagallo i punti di discussione favorevoli ai russi e lisciarsi Putin, ebbene, così sia.
I soliti commentatori fanno la fila in televisione per confutare l’incoerente post di Trump su Truth Social della scorsa notte, che vale la pena ripubblicare qui per intero:
Pensateci, un comico di modesto successo, Volodymyr Zelensky, ha convinto gli Stati Uniti d’America a spendere 350 miliardi di dollari per entrare in una guerra che non poteva essere vinta, che non doveva nemmeno iniziare, ma una guerra che lui, senza gli Stati Uniti e “TRUMP”, non sarà mai in grado di risolvere. Gli Stati Uniti hanno speso 200 miliardi di dollari in più dell’Europa, e il denaro dell’Europa è garantito, mentre gli Stati Uniti non riceveranno nulla in cambio. Perché Sleepy Joe Biden non ha chiesto un’equalizzazione, dato che questa guerra è molto più importante per l’Europa che per noi? Abbiamo un grande e bellissimo oceano come separazione. Inoltre, Zelenskyy ammette che metà del denaro che gli abbiamo inviato è “Scomparso”. Si rifiuta di indire elezioni, è molto basso nei sondaggi ucraini e l’unica cosa in cui era bravo era suonare Biden “come un violino”. Il dittatore senza elezioni, Zelenskyy farebbe meglio a muoversi in fretta o non avrà più un Paese. Nel frattempo, stiamo negoziando con successo la fine della guerra con la Russia, qualcosa che tutti ammettono che solo “TRUMP” e l’amministrazione Trump possono fare. Biden non ci ha mai provato, l’Europa non è riuscita a portare la pace e Zelenskyy probabilmente vuole continuare a fare soldi. Amo l’Ucraina, ma Zelenskyy ha fatto un lavoro terribile, il suo Paese è distrutto e MILIONI di persone sono morte inutilmente.
Per gli occidentali che hanno passato anni a fare propaganda contro Putin, queste parole sono un anatema. Per i molti ucraini che hanno combattuto e sono morti combattendo contro le forze russe nel loro paese, questa retorica è oltre ogni limite. Ma se si riesce in qualche modo a guardare oltre l’insensibilità, le esagerazioni, i regolamenti di conti con Zelenskyj, le mezze bugie e la crudele spavalderia, bisogna ammettere che ha ragione Trump, o almeno non ha torto.
Solo l’offensivo e odioso Donald potrà porre fine alla guerra in Ucraina, cosa che sta facendo ora. La gentile e rispettosa Europa non è riuscita a portare la pace. In una conferenza stampa martedì, Trump ha detto che gli ucraini non dovrebbero lamentarsi di non essere stati coinvolti nel suo dialogo con la Russia: “Beh, siete stati lì per tre anni… avreste dovuto porvi fine tre anni fa… Non avreste mai dovuto iniziare. Avreste potuto stringere un accordo”. Questa frase è stata ampiamente interpretata come se avesse detto che l’Ucraina ha iniziato la guerra e, sebbene la sua scelta di parole sia stata un po’ infelice, nel contesto si riferisce chiaramente agli sforzi vanificati per raggiungere la pace nei primi giorni del conflitto nel 2022. Trump ha anche ragione a dire che ingenti quantità di fondi occidentali destinati all’Ucraina sono andati persi, perché il Paese è, e lo è sempre stato, profondamente corrotto.
Nei giorni e nei mesi successivi all’invasione russa, quando il presidente ucraino rimase coraggiosamente a Kiev e guidò l’impressionante resistenza dell’Ucraina, Zelensky divenne un eroe per l’Occidente. La gente lo definiva un Churchill del XXI secolo. Era osannato nelle capitali europee, a Hollywood e sulla copertina della rivista Vogue, mentre tanti giovani si scannavano al fronte.
Non c’è dubbio che, nella nostra fretta di difendere l’uomo con la maglietta verde, abbiamo trascurato gli aspetti più sordidi della sua leadership. I documenti di Pandora che mostrano i suoi loschi legami con conti bancari offshore sono stati dimenticati. I suoi legami con oligarchi profondamente corrotti e doppiogiochisti, come Ihor Kolomoisky, sono stati sorvolati. La sua spietata soppressione dei gruppi religiosi affiliati a Mosca è stata liquidata come “disinformazione” prodotta dal Cremlino.
I politici occidentali e i capitani dell’industria militare che hanno fatto molti soldi con lo sforzo bellico, hanno sempre saputo, nel profondo, che sostenendo l’Ucraina contro Putin nascondevano molte verità scomode. Ciò che ora li spaventa non è necessariamente l’incoscienza di Trump, ma piuttosto che le verità più oscure del rapporto Ucraina-Russia e il coinvolgimento dell’Occidente nel conflitto, che risale almeno al 2014 o forse anche prima, potrebbero presto venire alla luce.
Questo temono molto più della guerra.
Avevamo vissuto questo dramma, che aveva scosso Hong Kong, dal di dentro e da subito eravamo stati contrari a queste proteste violente, spinte da personaggi potenti rimasti nell’ombra e che volevano sovvertire una società prospera e pacifica come quella di Hong Kong. Il loro obiettivo era di voler destabilizzare il regime comunista cinese. Una follia! Forse la causa era buona ma la strategia era completamente sbagliata.
Ieri, 18 novembre 2024, i capetti di questa rivolta, pedine su di un’ampia scacchiera, sono stati condannati a pesanti pene detentive. Credevano di poterla fare franca e questo mostra la loro profonda ignoranza. La vecchia e pacifica Hong Kong, a causa loro, è morta e con lei il sogno di poter mutare la Cina per portarla verso uno sviluppo più armonioso e democratico. Hanno vandalizzato il Parlamento e attaccato chiunque dissentisse dalle loro posizioni radicali, utilizzando la violenza per radicalizzare la lotta e illudendosi che Stati Uniti e i paese europei li avrebbero seguiti giù per questa strada chiusa.
Un grave errore di calcolo, per raggiungere il successo avrebbero dovuto utilizzare la via dell’amore e della diplomazia nei confronti della Cina. Questo lo abbiamo sempre sostenuto in venticinque anni di articoli e interviste, temevamo di aver ragione e i fatti lo provano.
Benny Tai
L’ex accademico legale Benny Tai Yiu-ting è stato incarcerato per 10 anni per aver cospirato per sovvertire il potere dello Stato dopo aver avviato un’elezione legislativa “primaria” non ufficiale nella speranza di far cadere il governo di Hong Kong quattro anni fa. Il sessantenne ex professore dell’Università di Hong Kong è stato uno dei 45 politici e attivisti dell’opposizione condannati martedì dal tribunale di West Kowloon, su un gruppo di 47 perseguiti in un caso storico di sicurezza nazionale per le elezioni non ufficiali del luglio 2020. Gli altri 44 imputati, la maggior parte dei quali erano stati candidati alle elezioni primarie, sono stati incarcerati per pene comprese tra i quattro anni e due mesi e i sette anni e nove mesi. Il caso contro due dei 47 è stato precedentemente archiviato.
I tre giudici dell’Alta Corte hanno adottato un punto di partenza di 15 anni di reclusione per Tai, dopo averlo considerato un “colpevole principale” del complotto di sovversione, che ha cercato di creare una “crisi costituzionale” dopo aver preso il controllo della legislatura. Gli sono stati inflitti 10 anni di carcere, dopo avergli tolto un terzo per la sua tempestiva ammissione di colpevolezza.
Claudia Mo
Tai è salito all’attenzione dell’opinione pubblica quando nel 2014 ha lanciato l’idea del movimento Occupy Central per una maggiore democrazia, che alla fine ha paralizzato parti della città per 79 giorni e ha causato danni materiali per miliardi di dollari
L’ex legislatore Au Nok-hin e gli ex consiglieri distrettuali Andrew Chiu Ka-yin e Ben Chung Kam-lun, che hanno organizzato il sondaggio non ufficiale con Tai, sono stati incarcerati per un periodo compreso tra sei anni e un mese e sette anni per aver coordinato i potenziali candidati e aver fornito assistenza amministrativa. Tutti e tre si erano trasformati in testimoni dell’accusa e avevano testimoniato contro altri membri dell’opposizione nella speranza di ottenere sentenze più clementi. Il tribunale ha applicato al trio pene iniziali comprese tra i 12 e i 15 anni di carcere, dopo aver constatato che, come Tai, appartenevano alla categoria più grave di “colpevoli principali” nell’ambito del regime di condanna a tre livelli previsto dalla legge sulla sicurezza nazionale. Ma i giudici hanno acconsentito a concedere loro sconti di pena dal 49 al 55% in riconoscimento della loro assistenza all’accusa nel processo e dei fattori attenuanti individuali.
L’attivista Joshua Wong Chi-fung – tra i 31 imputati che si sono dichiarati colpevoli – è stato condannato a 56 mesi. Tuttavia, la Corte non ha trovato alcuna ragione per ridurre ulteriormente la sua condanna a sette anni, a parte la riduzione automatica di un terzo per la sua dichiarazione di colpevolezza tempestiva, notando che Wong aveva subito molteplici condanne in passato e non aveva commesso il reato attuale per errore. La corte ha inoltre rifiutato di concedere ulteriori riduzioni in quanto non poteva condannarlo in un’unica soluzione per tutti i suoi reati, compresi quelli commessi durante le proteste antigovernative del 2019.
Owen Chow
L’ex giornalista diventata legislatrice Claudia Mo Man-ching, 67 anni, è stata incarcerata per quattro anni e due mesi dopo essersi dichiarata colpevole del reato. Mo, che in precedenza aveva la cittadinanza britannica, ha attirato l’attenzione dei legislatori britannici, che hanno chiesto il suo rilascio per consentirle di ricongiungersi con il marito, il giornalista Philip Bowring.
I tre giudici hanno iniziato a condannare Mo a sette anni dopo aver respinto l’argomentazione del suo avvocato secondo cui non avrebbe partecipato attivamente allo schema, citando il suo precedente impegno a porre un veto indiscriminato al bilancio se fosse stata eletta. La corte ha ridotto la pena di un terzo per riflettere la sua dichiarazione di colpevolezza e ha concesso un’ulteriore riduzione di sei mesi alla luce del suo passato di servizio pubblico come ex legislatore e della sua ignoranza della legge.
Anche l’ex presidente del Partito Democratico Wu Chi-wai e l’ex leader del Partito Civico Alvin Yeung Ngok-kiu hanno ammesso il reato di cospirazione prima del processo, ricevendo rispettivamente quattro anni e cinque mesi e cinque anni e un mese di carcere. Gli ex legislatori Helena Wong Pik-wan, Lam Cheuk-ting, “Capelli lunghi” Leung Kwok-hung e Raymond Chan Chi-chuen sono stati tra i 14 imputati condannati dopo il processo e sono stati incarcerati per pene comprese tra i sei anni e sei mesi e i sei anni e nove mesi. Gli attivisti Gwyneth Ho Kwai-lam, Owen Chow Ka-shing e Winnie Yu Wai-ming, affiliati a una fazione localista più radicale, sono stati incarcerati da 81 a 93 mesi dopo essersi dichiarati non colpevoli dell’accusa. Il tribunale ha ordinato che la pena detentiva di Chow, pari a sette anni e nove mesi, venga scontata consecutivamente a un precedente caso in cui era stato incarcerato per cinque anni e un mese per aver preso parte a una rivolta presso il Consiglio legislativo nel luglio 2019, il che significa che l’attivista dovrà trascorrere un totale di 12 anni e 10 mesi dietro le sbarre. I giudici hanno notato che Chow è stato uno dei tre promotori di una dichiarazione online, intitolata “Resistenza risoluta, inchiostrata senza rimpianti”, in cui i firmatari si impegnavano a rispettare il piano di Tai di porre indiscriminatamente il veto al bilancio del governo una volta eletto nella legislatura.
Ng Kin-wai
L’ex giornalista Ho, che ha scelto di non chiedere clemenza, è stato incarcerato per sette anni, la seconda condanna più pesante tra i partecipanti alle elezioni primarie. In un post sui social media caricato poco dopo il verdetto dai suoi amici, Ho ha sostenuto che la narrazione proposta dall’accusa non era “solo una distorsione dei fatti o una minaccia per l’opinione pubblica”, ma costringeva anche gli accusati a “rinnegare le loro esperienze di vita”.
Il commerciante Mike Lam King-nam, che ha annullato la sua precedente dichiarazione di non colpevolezza ed è diventato testimone dell’accusa, è stato condannato a cinque anni e due mesi di carcere dopo che i giudici hanno rifiutato di concedergli un’ulteriore riduzione per aver testimoniato al processo.
La pena per i partecipanti che si sono dichiarati non colpevoli variava da sei anni e sei mesi a sette anni e nove mesi. Owen Chow ha ricevuto la pena più pesante di sette anni e nove mesi.
Secondo l’ordinanza sulla salvaguardia della sicurezza nazionale, la controparte nazionale della legge sulla sicurezza nazionale, nessun detenuto condannato per tali reati può essere rilasciato anticipatamente a meno che il commissario del servizio correzionale non ritenga che la decisione non comprometta gli interessi del Paese.
La nuova regola significa che la maggior parte dei 45 imputati dovrà scontare interamente la propria pena prima di essere rilasciati.
I giovani non ricordano la campagna elettorale dalla quale uscì vincitore Ronald Regan, noi la ricordiamo. I toni erano simili agli attuali (con meno turpiloquio) e i liberals, inclusi quelli che apparivano sulla RAI, dicevano che era troppo conservatore e troppo vecchio, che parlava alla pancia del Paese, non ai giovani. Poi Regan vinse, non avevano capito nulla del voto negli USA…
Ecco come vedo le prossime elezioni negli USA, nonostante tutte le stupidaggini che ci propina la TV:
1. Il problema più grande che la gente deve affrontare è l’inflazione. La famiglia media di lavoratori ha difficoltà ad arrivare a fine mese. Attribuiscono la colpa alla coppia Biden e Harris.
2. L’idea che Trump sia Hitler non conta nulla. Nel 2020 sembrava più autoritario. Ora, è circondato da RFK, Elon, JD, Tulsi ecc. gente che non ha problemi a rispondergli che sta sbagliando, quando sbaglia.
3. La gente non vuole più guerre. I democratici sembrano più falchi dei repubblicani.
4. Kamala è oggettivamente poco attraente. Biden almeno era un personaggio conosciuto. Kamala sembra avere problemi di alcolismo. I suoi schiamazzi e le sue risate a fauci aperte sono orribili.
5. I cripto/Bitcoin sono elettori monotematici e questo conta. I bookmakers puntano su Trump: per 100 dollari puntati su Trump ne vinci 165, se ne punti 100 su Kamala ne vinci 240.
6. I collegi elettorali giocano a favore di Trump. Penso che otterrà uno tra WI, MI, PA. Ma forse tutti e tre.
7. L’America ama i ritorni di chi è caduto in basso e si rialza. Trump è quel genere di uomo.
Senza entrare nel merito della nuova legge sull’Autonomia Differenziata (legge del 26 giugno 2024) di cui neppure conosco i termini, mi sento di dire che la campagna per la sua abolizione tramite referendum popolare lanciata dal PD, Cinque Stelle, verdi e CGIL non mi pare aver nessun fine concreto.
Il PD e i Cinque Stelle sono forze parlamentari che possono utilizzare il parlamento per modificare questa legge o abolirla, una volta che avranno il giusto mandato dall’elettorato. E se l’elettorato troverà dei meriti nella loro proposta allora li voterà, dandogli la maggioranza. Non ha nessun senso by-passare il Parlamento come farebbe una commissione referendaria, a differenza di una forza legislativa.
Penso che esistano dubbi sull’ammissibilità costituzionale di tale referendum, infatti: “Sono escluse dal referendum abrogativo le leggi tributarie, di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Non è possibile abrogare disposizioni di rango costituzionale, gerarchicamente sovraordinate alla legge ordinaria”.
Inoltre, sarà necessario che il referendum, se passerà il vaglio della Corte Costituzionale, perché sia valido, debba raggiungere il quorum di validità e cioè devono partecipare alla votazione la maggioranza degli aventi diritto al voto. Perché la norma oggetto del referendum stesso sia abrogata deve essere raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi, ossia il 50% + 1 dei voti. Questo sarà pressoché impossibile, come ci dice l’esperienza dei decenni passati.
Dunque, questa storia della raccolta delle firme sposata dal PD e da altri, pare essere solo una trovata per poter giocare. Serve una volpe per fare una caccia alla volpe.
Massimo Mariotti viene promosso capogruppo di Fratelli d’Italia nel Consiglio Comunale di Verona. Subentra a Daniele Polato, che intende concorrere alle prossime elezioni europee, dove sarà uno dei favoriti.
Massimo Mariotti possiede una lunga esperienza in Comune e questa, crediamo, non è una buona notizia per la deludente giunta del sindaco Damiano Tommasi, che si troverà a fronteggiare un veterano della Vecchia Guardia, che conosce alla perfezione tutti i meccanismi dell’amministrazione di Palazzo Barbieri.
Massimo Mariotti, ora vicepresidente di Verona Mercato e nel direttivo di ZAI, si è già distinto in passato nella amministrazione di Acque Veronesi e di SERIT, riuscendo a riportare in attivo le due società e rendendole modelli di efficienza.
La redazione di Giornale Cangrande si complimenta con Massimo Mariotti, augurandogli un buon lavoro.
Nicolai Lilin, pseudonimo di Nicolai Verjbitkii, è nato il 12 febbraio 1980 ed è uno scrittore moldavo naturalizzato italiano.
Nel 2004 si trasferì in Italia, in Piemonte, tra Cuneo e Torino, a Cavallerleone, poi dal 2010 a Milano. Oltre a dedicarsi alla scrittura di romanzi, ha un laboratorio artistico a Milano, Kolima Art Studio. Ha scritto per L’Espresso, XL di Repubblica e per altre testate. Non è un filo putiniano o un filo russo.
“Navalny, morto a 47 anni, non è mai stato un politico, ed è sbagliato dire che fosse un oppositore di Putin”. Lo dichiara all’ANSA Nicolai Lilin, nel giorno della morte in carcere di Navalny, andando molto controcorrente rispetto alla narrativa generale, che lo presenta come una vittima di un dittatore.
“Navalny era uno strumento di propaganda, ma non un elemento politico, perché l’elemento politico comprende l’esistenza di un programma, di un’ idea politica” ciò che Navalny non aveva. Era un blogger che attraverso i social diffondeva le proprie opinioni. È nato nell’ambiente dell’estrema destra russa, era un nazista”.
“Quando Putin ha massacrato tutti i nazisti, Navalny ha trasformato sé stesso in un progetto da vendere. Lavorava con una grande squadra di professionisti, hanno fatto un blog, notiziari, piattaforme social e così via. Era una organizzazione che ha cominciato a ricevere sponsorizzazioni dall’Occidente e Navalny, da nazista, si è trasformato in un libertario” incalza Lilin.
“È sbagliato partire presentandolo come un oppositore di Putin, lui era un elemento di disturbo in Russia che lavora per gli interessi del mercato Occidentale. Per questo è stato internato nel carcere. Io sono contrario a questo, ma sappiamo che la Russia funziona così, è un sistema autoritario e se ti comporti in un certo modo viene punito in un certo modo. Poi, quello che è successo in carcere è un mistero”.
“Certo è però”, continua Lilin, “che a Putin la morte di Navalny in carcere non serviva proprio a nulla. A Putin Navalny serviva come un detenuto per mostrare a tutti che il sistema putiniano può usare la legge per reprimere coloro che cercano di sabotare il funzionamento dello Stato. A Putin non serviva ammazzarlo. C’era più interesse in Occidente per trasformarlo in martire e portarlo avanti come bandiera della libertà”.
Dunque, secondo Lilin, esiste la possibilità che Navalny sia stato ammazzato da forze ostili a Putin, interne o esterne, oppure che sia morto per cause naturali. Tertium non datur.
Ci risiamo. Un’altra guerra tra israeliani e palestinesi che contribuisce a suscitare nuove discussioni sul rilancio del “processo di pace”, mentre funzionari, legislatori, opinionisti e studiosi di tutto il mondo propongono questo o quel piano per portare finalmente la pace in Terra Santa.
Questa volta funzionerà. E se si tracciasse il confine qui, si eliminassero alcuni insediamenti ebraici là, si scambiasse questo territorio con quello, si permettesse ai rifugiati arabi di entrare e si trovasse un modo per dividere Gerusalemme e i luoghi santi, allora ebrei e arabi vivrebbero felici e contenti nel loro territorio condiviso.
C’è, ovviamente, la vecchia e affidabile soluzione dei due Stati. Ma, se non funzionerà, si potrà verificare la soluzione a uno Stato, perché non è forse chiaro che gli arabi-palestinesi e gli ebrei-israeliani sono pronti a vivere insieme come i francofoni e i fiamminghi in Belgio? Ma poi, ripensandoci, anche lì le cose non sono così belle come sembrano. Allora, che ne dite di una federazione o di una confederazione? E in un inchino allo spirito della globalizzazione, aggiungiamo poi che “firmeranno un accordo di libero scambio”.
Forse è arrivato il momento di smettere di elaborare la pace e di fantasticare che, parafrasando il profeta Isaia, i due popoli “trasformeranno le loro spade in aratri e le loro lance in ganci da potatura”, che “la nazione non alzerà più la spada contro nazione e non impareranno più la guerra”.
Invece, dobbiamo ridimensionare le nostre aspettative in un momento in cui gli israeliani devono ancora riprendersi dagli orrori del 7 ottobre e dal massacro di oltre 1.200 israeliani. Inoltre, gli arabi stanno assistendo alla distruzione di Gaza e alla morte di 16.000 palestinesi. Ecco, ora La ‘pace’ non è mai stata così lontana.
Il punto fondamentale è che israeliani e i palestinesi non sono pronti per una grande pace o riconciliazione tra i loro due popoli. Il meglio che possiamo sperare è una qualche forma di lunga tregua, che ponga fine alla guerra, al contrario di ciò che il Libro dei Giudici descrive nei periodi tra le guerre: “Così la terra ebbe riposo per quarant’anni”.
Da questo punto di vista, un possibile modello che potrebbe aiutare gli Stati Uniti e il resto della comunità internazionale a delineare la fine della guerra a Gaza e, nel processo, a porre le basi per una tregua israelo-palestinese, è rappresentato dagli Accordi di Dayton del 1995 o dal Accordo Generale per la Pace in Bosnia-Erzegovina.
Quel accordo pose fine alla Guerra di Bosnia, durata tre anni e mezzo, dando vita ad un unico Stato sovrano, noto come Bosnia-Erzegovina, composto da due parti, la Republika Srpska, a maggioranza serba, e la Federazione di Bosnia-Erzegovina, a maggioranza croato-bosniaca.
L’obiettivo primario del Accordo di Dayton era quello di fermare la guerra, e in realtà fu descritto come una misura temporanea, in attesa che venisse sviluppato un piano di pace a lungo termine, cosa che non avvenne mai. Si è trattato del trentacinquesimo tentativo di cessate il fuoco tra le parti in guerra, dopo altri trentaquattro tentativi falliti.
In effetti, l’Accordo di Dayton fermò il conflitto e da allora non c’è stata una ripresa della violenza, anche se alcune delle differenze fondamentali tra le parti che hanno causato il conflitto non sono mai state risolte. Non ha segnato l’inizio di un’era di pace nell’area, ma d’altronde, senza conflitti aperti o violenze, cosa si può chiedere di più?
La presenza militare internazionale, l’EUFOR Althea è responsabile della supervisione del rispetto degli aspetti del Accordo di Dayton. E l’opinione generale è che senza tale accordo, le tensioni radicate nel Paese riemergerebbero. Da questo punto di vista, la forza militare aiuta a coprire le fratture che devono ancora essere sanate. Non esistono dubbi sul fatto che, se si rimovessero le forze EUFOR Althea, la guerra ricomincerebbe.
Tuttavia, non ci sono stati conflitti aperti o violenze. Alcuni si riferiscono a questa “pace negativa” in contrapposizione a quella “positiva”, il tipo di pace che israeliani e palestinesi potrebbero utilizzare oggi per garantire che la loro terra si calmi per diversi anni.
Il Dr. Leon Hadar è un Senior Fellow presso il Foreign Policy Research Institute (FPRI) di Philadelphia e un ex ricercatore in studi di politica estera presso il Cato Institute. Ha insegnato all’American University di Washington e all’Università del Maryland, College Park. Opinionista e blogger di Haaretz (Israele) e corrispondente da Washington per il Business Times di Singapore, è un ex capo ufficio delle Nazioni Unite del Jerusalem Post.
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