Dittatura monarchica o diarchia con il fascismo? Un bagno di realtà dopo le fantasticherie di Scurati e di Cazzullo

Dittatura monarchica o diarchia con il fascismo? Un bagno di realtà dopo le fantasticherie di Scurati e di Cazzullo

 

La nostra storia di Dino Messina. 6 GENNAIO 2025 | di Dino Messina Corriere della Sera

La casa editrice veronese Gingko Edizioni ha da poco pubblicato un libro assai originale, scritto da Angelo Paratico e intitolato “Un Re e il suo burattino. Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini”. L’originalità di quest’opera sta tutta nel tentativo di una revisione critica, basata su diari e i resoconti di personaggi secondari del ventennio, che offrono testimonianza dei cordiali rapporti intercorsi fra il Re e il duce del fascismo. Il Re e Mussolini s’incontravano due volte alla settimana, per un paio d’ore e durante quelle riunioni venivano messe sul tavolo tutte le questioni correnti, sia interne che internazionali. Infatti, senza la firma del Re, Mussolini non aveva alcun potere. Si trattava di una situazione simile a quella di altri primi ministri italiani, come Cavour, Giolitti e Crispi.
Il primo capitolo di questo libro tratta dell’imperatore del Giappone, Hirohito, che si trovò in una situazione simile a quella di Vittorio Emanuele III, e che se la cavò scaricando le proprie gravissime responsabilità sui generali che lo attorniavano. La narrazione diffusa in Giappone era sempre stata che Hirohito fosse controllato da una cosca di militari e che in realtà egli non avesse alcun potere. Questa narrazione è crollata nell’anno 2000 con l’uscita del libro di Herbert Bix “Hirohito and the making of modern Japan” che vinse il premio Pulitzer. Bix, consultando diari di personaggi secondari del regime, scoprì che in effetti l’imperatore era a capo di tutte le operazioni belliche giapponesi, né più né meno di Hitler in Germania.
Pur trincerandosi dietro a dei tecnicismi costituzionali, Vittorio Emanuele III fu l’italiano più nefasto del XX secolo. Gran parte delle sciagure italiane furono determinate dal piccolo monarca sabaudo, che si sarebbe dovuto processare al termine della II Guerra mondiale, ma Winston Churchill pose il veto. L’entrata in guerra dell’Italia, il 24 maggio 1915, diversamente da quanto si crede, non fu inevitabile ma organizzata da Vittorio Emanuele III, in barba al Parlamento e alla volontà del popolo, in seguito alla firma segreta del Trattato di Londra, che i bolscevichi resero pubblico solo nel 1917. Pur di entrare in quel conflitto il Re non ebbe timore di scavalcare le proprie prerogative costituzionali, la stessa cosa farà anche il 28 ottobre 1922, il 10 giugno 1940, il 25 luglio 1943 e l’8 settembre 1943. I motivi del suo comportamento sono da ricercare nelle sue tare psichiche mai adeguatamente studiate in precedenza. Dunque, perché scelse un ex estremista di sinistra, come Mussolini, come Primo Ministro? Paratico lo spiega così: “Alla fine della guerra l’ala massimalista della sinistra occupò le fabbriche, bloccando il Paese e appropriandosi dei mezzi di produzione. Per proteggere lo status quo intervennero i reduci dalla Grande Guerra, che un socialista radicale, formatosi sui testi di Georges Sorel, di Gustave Le Bon e di Karl Marx, unì e poi usò. Quell’uomo si chiamava Benito Mussolini e il Re, che lo ammirava, pur trovandolo incolto e rozzo, si convinse che fosse lui l’uomo di cui aveva bisogno per mantenersi sul trono, una sorta di generale Diaz fosforescente”.
Vengono riportati anche vari giudizi relativi a Mussolini, che dovrebbero scoraggiare ogni intenzione revanscista, per esempio Franco Bandini, reputato scrittore di destra ci descrive Mussolini con queste parole: “Dopo la guerra, la figura di Mussolini si è rivelata di grandissimo comodo, almeno all’interno della Nazione, tantoché se non fosse esistito si sarebbe reso necessario inventarlo. Nessuna delle accuse che gli sono state mosse, nessuna delle biografie che di lui sono state stese, potrà mai rendere pienamente l’incredibile ottusità di quest’uomo nefasto: la sua totale ignoranza dei problemi anche superficiali della collettività, la fatuità e la irresolutezza del suo giudizio, la sua completa dipendenza, di tipo psicanalitico, dalle pur mediocri personalità con le quali aveva ad imbattersi”.
Nel testo troviamo anche varie curiosità, fin qui poco note, sulla personalità del Re, che mostrano quanto profonda sia l’ombra che lo circonda. Per esempio, quasi certamente, pensava in inglese e poi traduceva in piemontese e in italiano. Questo perché, sino ai dodici anni, la sua governante fu una vedova irlandese, Elizabeth Lee, nota come Bessie.
Si racconta che, dopo la Marcia su Roma, quando Mussolini incontrò il Re gli disse: “Maestà, vi porto l’Italia di Vittorio Veneto”. In realtà tale frase non sarebbe mai stata pronunciata, e dev’essere parte della leggenda fascista costruita a posteriori, questo ce lo dice Giacomo Acerbo che fu presente all’incontro. Non è vero neppure che Armando Diaz disse che l’esercito era fedele ma era meglio non metterlo alla prova, questo lo nega il Re, dicendo che il 28 ottobre non si consultò con nessun generale. Ma, forse, è vero che si consultò con la sua fascistissima madre, la regina Margherita.
La situazione italiana fu molto simile a quella giapponese e desta stupore il fatto che due generazioni di storici non se ne siano accorti, e ora pensiamo che questo libretto cambierà la storia e indurrà molti a una revisione critica della figura di Vittorio Emanuele III e della diarchia con il fascismo.

Ambrogio Bianchi

Spigolature attorno al libro “La Storia Cancellata degli Italiani” di Dino Messina

Spigolature attorno al libro “La Storia Cancellata degli Italiani” di Dino Messina

Dino Messina ci ha abituati a libri che brillano per originalità e incisività. L’anno scorso avevamo letto con grande piacere il suo bellissimo “Italiani per forza. Leggende contro l’unità d’Italia che è ora di sfatare”. Da pochi giorni è uscita una sua nuova ricerca, intitolata  “La Storia Cancellata degli Italiani”, scorrevole e piacevole, nel quale si tratta della “Cancel Culture” che, partita dagli Stati Uniti, si sta ormai diffondendo in tutto il mondo.

Stati Uniti a parte, la furia messa nell’azzerare o normalizzare il passato è vecchia come l’uomo e la storia ne è piena. L’imperatore cinese Qin Shi Hung, noto come il Primo Imperatore, unificò la Cina e morì nel 210 prima di Cristo. Fu sontuosamente seppellito a Xian. Negli ultimi anni del suo regno, ordinò che tutti i libri che trattavano di storia e di filosofia venissero bruciati, così che il suo nome segnasse l’anno zero. Catone il Vecchio s’alzava spesso dal suo scranno in Senato per raccomandare che Cartagine venisse distrutta, che i suoi monumenti venissero abbattuti e che venisse sparso sale sui suoi campi, per renderli sterili. Alla fine lo accontentarono, ed ha funzionato. Gli imperatori della dinastia Flavia ordinarono a Tacito e Svetonio di scrivere bestialità nelle biografie dei loro predecessori, discendenti di Cesare e Augusto, così che i giorni presenti apparissero migliori di quelli passati. Ci riuscirono, perché sino a oggi abbiamo solo delle vignette caricaturali per descrivere i regni di  grandi sovrani come Tiberio e Nerone. Come si dice nel libro di George Orwell 1984 “chi controlla il presente scrive il passato e prepara il futuro”. Questo è un concetto validissimo ancor oggi, con tanti personaggi che lo applicano più o meno consapevolmente.

Venendo ai giorni nostri, nel bel libro di Dino Messina vengono trattati vari episodi d’insofferenza per il passato che hanno riempito pagine dei nostri quotidiani: vi si parla di foibe, di fascismo, di colonialismo prefascista, di Lombroso e Pasolini, presentando con equità i vari punti di vista e lasciando libertà al lettore di decidere cosa ci sia di vero o di falso.

Nel leggere il libro di Messina mi son gettato d’impeto sul quarto capitolo, dedicato a Cilindro Raffaello Alessandro Schizogene (detto Indro) Montanelli. Il capitolo s’intitola: “Montanelli lì non riposa” e tratta delle polemiche, da lui stesso generate, circa la sua sposa, Destà, quattordicenne, o dodicenne a seconda della versione, che comprò in Eritrea quando era un giovane tenente dell’esercito italiano. A causa di queste sue ammissioni lo sfregio della sua memoria culminò con una serie di articoli al vetriolo e l’8 marzo 2019 con il versamento di una lattina di vernice rossa sul suo monumento.  Dino Messina, con grande misura, riporta anche una pagina intitolata: “E se fosse una storia inventata?”. Ecco, appunto, ricordavo delle letture del tempo nella quali veniva dimostrato inconfutabilmente che quella era una storia inventata, forse frutto di certe sue letture delle opere di Rudyard Kipling.

La creazione di belle storie frutto della sua fantasia e di begli incontri mai accaduti, fu un fatto abbastanza comune in Montanelli, il quale forse applicava il vecchio detto britannico, ben noto in Fleet Street, “Never let the truth stands on the way of a good story”, ovvero mai permettere alla verità di mettersi di traverso a una bella storia. Montanelli non fu mai un cronista, bensì uno straordinario romanziere e affabulatore.

Ecco, questo episodio di Montanelli mi pare ottimo per invitare i giornalisti alla prudenza. Questo invito vale anche per le donne del “Me Too”, perché  prima di condannare o assolvere bisogna studiare per bene le carte e poi, nel dubbio, sospendere il proprio giudizio ed evitare di sputare controvento. Questo è l’insegnamento che traiamo dalla lettura del libro di Dino Messina.

Angelo Paratico