Massimo Terni, il romanzo dell’amicizia | La nostra storia (corriere.it)
Dino Messina ci ha abituati a libri che brillano per originalità e incisività. L’anno scorso avevamo letto con grande piacere il suo bellissimo “Italiani per forza. Leggende contro l’unità d’Italia che è ora di sfatare”. Da pochi giorni è uscita una sua nuova ricerca, intitolata “La Storia Cancellata degli Italiani”, scorrevole e piacevole, nel quale si tratta della “Cancel Culture” che, partita dagli Stati Uniti, si sta ormai diffondendo in tutto il mondo.
Stati Uniti a parte, la furia messa nell’azzerare o normalizzare il passato è vecchia come l’uomo e la storia ne è piena. L’imperatore cinese Qin Shi Hung, noto come il Primo Imperatore, unificò la Cina e morì nel 210 prima di Cristo. Fu sontuosamente seppellito a Xian. Negli ultimi anni del suo regno, ordinò che tutti i libri che trattavano di storia e di filosofia venissero bruciati, così che il suo nome segnasse l’anno zero. Catone il Vecchio s’alzava spesso dal suo scranno in Senato per raccomandare che Cartagine venisse distrutta, che i suoi monumenti venissero abbattuti e che venisse sparso sale sui suoi campi, per renderli sterili. Alla fine lo accontentarono, ed ha funzionato. Gli imperatori della dinastia Flavia ordinarono a Tacito e Svetonio di scrivere bestialità nelle biografie dei loro predecessori, discendenti di Cesare e Augusto, così che i giorni presenti apparissero migliori di quelli passati. Ci riuscirono, perché sino a oggi abbiamo solo delle vignette caricaturali per descrivere i regni di grandi sovrani come Tiberio e Nerone. Come si dice nel libro di George Orwell 1984 “chi controlla il presente scrive il passato e prepara il futuro”. Questo è un concetto validissimo ancor oggi, con tanti personaggi che lo applicano più o meno consapevolmente.
Venendo ai giorni nostri, nel bel libro di Dino Messina vengono trattati vari episodi d’insofferenza per il passato che hanno riempito pagine dei nostri quotidiani: vi si parla di foibe, di fascismo, di colonialismo prefascista, di Lombroso e Pasolini, presentando con equità i vari punti di vista e lasciando libertà al lettore di decidere cosa ci sia di vero o di falso.
Nel leggere il libro di Messina mi son gettato d’impeto sul quarto capitolo, dedicato a Cilindro Raffaello Alessandro Schizogene (detto Indro) Montanelli. Il capitolo s’intitola: “Montanelli lì non riposa” e tratta delle polemiche, da lui stesso generate, circa la sua sposa, Destà, quattordicenne, o dodicenne a seconda della versione, che comprò in Eritrea quando era un giovane tenente dell’esercito italiano. A causa di queste sue ammissioni lo sfregio della sua memoria culminò con una serie di articoli al vetriolo e l’8 marzo 2019 con il versamento di una lattina di vernice rossa sul suo monumento. Dino Messina, con grande misura, riporta anche una pagina intitolata: “E se fosse una storia inventata?”. Ecco, appunto, ricordavo delle letture del tempo nella quali veniva dimostrato inconfutabilmente che quella era una storia inventata, forse frutto di certe sue letture delle opere di Rudyard Kipling.
La creazione di belle storie frutto della sua fantasia e di begli incontri mai accaduti, fu un fatto abbastanza comune in Montanelli, il quale forse applicava il vecchio detto britannico, ben noto in Fleet Street, “Never let the truth stands on the way of a good story”, ovvero mai permettere alla verità di mettersi di traverso a una bella storia. Montanelli non fu mai un cronista, bensì uno straordinario romanziere e affabulatore.
Ecco, questo episodio di Montanelli mi pare ottimo per invitare i giornalisti alla prudenza. Questo invito vale anche per le donne del “Me Too”, perché prima di condannare o assolvere bisogna studiare per bene le carte e poi, nel dubbio, sospendere il proprio giudizio ed evitare di sputare controvento. Questo è l’insegnamento che traiamo dalla lettura del libro di Dino Messina.
Angelo Paratico