Vivere oggi da anziani

Vivere oggi da anziani

Con questo articolo inizia la collaborazione di Ciriaco Offeddu, editorialista de L’Unione Sarda,  con il Giornale Cangrande di Verona.

In una delle più belle pagine di ‘Annientare’, un romanzo che mai potrebbe essere scritto nell’attuale deserto culturale italiano, Houellebecq parla di una società “che non sopporta più i vecchi, che non vuole neanche sapere che esistono, e per questo li parcheggia in luoghi specializzati, lontano dalla vista.” Fa una considerazione profonda che rischia di apparire banale alla luce del vissuto odierno: “Si ritiene che il valore di un essere umano diminuisca con l’età; che la vita di un giovane, e ancor più quella di un bambino, sia di gran lunga più preziosa di quella di una persona vecchia,” e analizza per contro le civiltà precedenti, basate invece sulla stima di merito e su un giudizio di valore legato al comportamento degli uomini nella propria vita.

Oggi, tutto ciò che una persona è riuscita a realizzare, le opere e i traguardi, e quanto potrebbe ancora fare e trasmettere non ha il minimo valore in un mondo che privilegia la funzionalità di breve e l’omogeneizzazione al basso, che odia la terza età considerata come uno spreco infruttuoso di risorse, che assegna maggiore importanza alla vita di un infante (visto come una pila carica contrapposta a quelle che si stanno spegnendo) indipendentemente da che cosa quest’ultimo potrà mai diventare.

Houellebecq sottolinea: “Svalutare il passato e il presente a beneficio del futuro, svilire il reale per preferirgli una virtualità situata in un vago avvenire vuol dire svuotare la nostra vita d’ogni motivazione e senso: è puro nichilismo.”

E non per nulla le pagine più crude e disperate di ‘Annientare’ sono quelle che descrivono una moderna e occidentale RSA, residenza sanitaria che non nasconde l’aggettivo assistenziale, quindi caritatevole, una sorta cioè di elemosina pelosa che l’istituzione benignamente elargisce (sperando che la durata e il fastidio siano limitati).

Possiamo indignarci con, possiamo citare esempi virtuosi che mai mancano nelle analisi stile Enza Sampò (ai tempi della tv di Stato unica, una volta l’anno la conduttrice intervistava, non certo di sua sponte, una ventina di persone a caso per dimostrare che i gusti e i bisogni degli italiani erano i più svariati, e che pertanto i palinsesti Rai erano quanto di meglio potesse immaginarsi); rimane il fatto che la nostra società disegna un panorama sempre più squallido per le categorie dei pensionati, dei pensionati che diventano vecchi, dei vecchi, dei vecchi bisognosi – il valore assegnato e l’interesse diminuiscono con l’età, è una legge anch’essa in costante peggioramento.

Inutile predicare al vento che una civiltà può definirsi tale solo quando assicura il l’assistenza e il benessere delle fasce deboli; osserviamo come vengono trattati gli ottantenni che aspettano la pensione in un ufficio postale, guardiamoli in fila al freddo per essere vaccinati, calcoliamo la perdita costante del valore d’acquisto delle loro pensioni (oggi, alleluia, rivalutate di circa un caffè al mese, al netto), seguiamoli nella ricerca disperata di un medico di base che presti loro attenzione, di una terapia che non li sveni, di una visita e un’operazione tempestiva, di uno svago che non sia Jerry Scotti o Bonolis. Non entriamo in una RSA, non tocchiamo questo tasto soprattutto dopo l’esplosione del Covid, ma cerchiamo una risposta cristiana (si può ancora dire o si viene subito perseguitati?) a un problema sociale di progressiva marginalizzazione, di dissoluzione di un’intera popolazione in un mare di dimenticanza, persino di repulsione.

Leggo su questo giornale un articolo di Ruscetta sulla mancanza di compassione all’epoca della pandemia e mi colpisce la definizione “crudeltà dell’abbandono” riferita alle morti in solitudine. In realtà, quello che in generale sta avvenendo è il perseguimento di una “strategia dell’abbandono” della vecchiaia – annientare non è solo un titolo. “Se mi toccano la pensione scendo in piazza,” ho sentito minacciare più volte. Ma la nostra pensione, è palese, viene già tagliata dalla mancanza di sanità, di servizi, di comunità e socialità, di possibilità, di gioia. E ci penserà l’inflazione (che è una manna per chi ha debiti e obbligazioni) a decurtarla ulteriormente. Houellebecq non sbaglia, vede lontano.

Ciriaco Offeddu prubblicato da L’Unione Sarda il 2.02.2022

 

 

 

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