La vicenda di Romano Prodi che insulta a giornalista Lavinia Orefici, tirandole i capelli di fronte alle telecamere, per poi negare tutto, mostra come l’Italia sia un Paese tragicomico. A Hong Kong ebbi la ventura di trovarmi Romano Prodi seduto di fronte a una cena, nella residenza del Console d’Italia. Alla sua destra stava il suo segretario permanente, un francese, pagato dalla comunità europea, in quanto Prodi è un suo ex presidente. Ricordo che era il 2013 e guardando fuori dalle finestre lui si stupiva della ricchezza della ex colonia britannica, mormorando: “Qui ci sono i soldi…non credevo” e osservava le torri di cristallo e acciaio che s’innalzavano in Central, il distretto finanziario. Gli chiesi se avrebbe voluto essere ancora presidente del consiglio e lui rispose subito di sì, che gli sarebbe molto piaciuto e poi, a un certo punto, cominciò a parlare delle lobby ebraiche che controllano la finanza mondiale. Non male per un fondatore del PD, pensai. Ricordo che la console Alessandra Schiavo strabuzzò gli occhi e alla fine della cena mi prese da parte intimandomi che quel che avevo sentito lì, doveva restare lì.
Penso che se dovessi paragonare Romano Prodi a un personaggio della Commedia dell’Arte, non lo vedrei come il dottor Balanzone ma come il conte Culacchia, creato dal Tassoni.
Alessandro Tassoni (Modena 1565 – 1635) vien ricordato per il suo poema eroicomico La Secchia Rapita uscito nel 1621. I bolognesi, al rifiuto dei modenesi di riconsegnare una secchia, dichiarano guerra ai vicini. Ad essa partecipano, distribuiti tra le due parti, gli dèi dell’Olimpo: Apollo e Minerva che si schierano a fianco di Bologna, mentre Marte, Venere e Bacco con Modena. Anche re Enzo, figlio dell’imperatore Federico II, parteggiò per loro.
Un elemento nuovo introdotto dal Tassoni nel suo poema è l’entrata in campo di un esercito di donne, guidato dalla bella Renoppia. Uno dei personaggi più divertenti del suo poema è il conte di Culagna, modenese, che mi ricorda il bolognese Romano Prodi, e la bella giornalista alla quale ha tirato le chiome, potrebbe essere la prode Renoppia.
Il conte Culagna sfidò a duello il prode Melindo e lo vinse, secondo quanto predetto da una antica profezia che aggiudicava la vittoria al più debole e vile: il Culagna, appunto.
Il conte Culagna s’innamora della Renoppia e per farla sua pensa di uccidere la propria moglie. Ma rivela il suo piano all’amico Titta, che è l’amante di sua moglie. Il cavaliere mette l’amata al corrente del piano del marito e il conte va a procurarsi il veleno, ma gli daranno invece un forte purgante. Il conte a tavola dice alla moglie di volerle mettere del pepe nel piatto, ma quando lui si volta, la contessa scambia i piatti. Sarà così il marito a subire l’effetto del farmaco, la cui azione gli farà fare una pessima figura nella pubblica piazza, cacandosi addosso di fronte a tutti i modenesi.
Alla fine il conflitto fra bolognesi e modenesi si concluderà grazie a un legato pontificio, che stabilisce le seguenti condizioni: i bolognesi possono tenersi re Enzo, fatto prigioniero durante la battaglia di Fossalta e i modenesi si potranno tenere la secchia.
Parafrasando Karl Marx possiamo dire che: “La storia si ripete sempre due volte: la prima come farsa e la seconda come tragedia”.
Angelo Paratico