CHIAMA.AI: LA PRIMA INTELLIGENZA ARTIFICIALE TELEFONICA ITALIANA. Rivoluzione nel mondo della ristorazione, sarà più semplice prenotare e ordinare

CHIAMA.AI: LA PRIMA INTELLIGENZA ARTIFICIALE TELEFONICA ITALIANA. Rivoluzione nel mondo della ristorazione, sarà più semplice prenotare e ordinare

 

 

Ordinare una pizza da asporto o prenotare un tavolo al ristorante da ora diventa tutto più facile grazie a chiama.ai la prima intelligenza artificiale telefonica italiana pensata per il mondo della ristorazione.
Il progetto è nato dall’incontro tra la creatività di AMO1999, società di marketing di Verona e la razionalità di Colibryx, società specializzata in soluzioni digitali.
“chiama.ai” rappresenta un vero e proprio alleato sempre disponibile, in grado di offrire un servizio di altissimo livello che cambierà la gestione delle chiamate e le interazioni con i clienti. Grazie alla potenza dell’intelligenza artificiale, questo rivoluzionario sistema apprende il funzionamento specifico di ogni attività, comprende tutte le esigenze dei clienti e fornisce risposte immediate alle loro domande.
Elemento peculiare di “chiama.ai” è la sua capacità di essere sempre attivo, garantendo un servizio operativo 24 ore su 24, 7 giorni su 7: le attività della ristorazione non dovranno più preoccuparsi di chiamate perse o di prenotazioni non gestite, poiché “chiama.ai” si occuperà di tutto in modo impeccabile.

“Quando abbiamo sviluppato questo progetto e mi sono reso conto della potenzialità dell’intelligenza artificiale e di quale sarebbe stato il futuro sono rimasto sbalordito. Credo che nel prezioso incanto delle giovani menti risieda l’innovazione del domani: solo ascoltando le loro idee e desideri possiamo abbracciare il futuro con meraviglia e progresso”, spiega Alessio Masotto, titolare di Amo 1999. “Da sempre, siamo inoltre particolarmente attenti alla sostenibilità dei nostri marchi e progetti. Per questo motivo, stiamo implementando Chiama.ai con funzioni specifiche di accessibilità e inclusività, pensate appositamente per agevolarne l’uso da parte di persone con disabilità auditive e vocali”.
Paolo De Giglio, amministratore delegato di Colibryx, aggiunge che “il progetto è stato elaborato e sviluppato dopo aver ascoltato le esigenze e problematiche delle categorie del settore, in maniera tale da poter agevolare la loro attività e renderla il più produttiva e competitiva possibile. A questo riguardo vale la pena sottolineare che nell’arco di qualche anno saranno numerose le realtà che potranno contare su questo tipo di servizio, in grado oltretutto di fidelizzare la clientela, per cui sono piuttosto evidenti i vantaggi di chi potrà avvantaggiarsene quanto prima”.

Chiama.ai è stato presentato ufficialmente il 17 luglio, in occasione di uno degli incontri organizzati con gli imprenditori del settore nella sede di Amo1999 a San Giovanni Lupatoto, programmati ogni lunedì mattina e già tutti sold out per il mese di luglio. Altri si terranno nelle prossime settimane anche in diverse località italiane considerato l’interesse suscitato a livello nazionale e le enormi potenzialità di questo progetto per un settore di fondamentale importanza per l’economia italiana.
Gli incontri, con partecipazione gratuita, proseguiranno già dal mese di agosto.
Gli operatori del settore che intendono iscriversi possono consultare il sito chiama.ai

Un intervento di semplice ingegneria a Verona, per proteggerla dalle alluvioni. Ripristinare l’Adigetto di Vespasiano

Un intervento di semplice ingegneria a Verona, per proteggerla dalle alluvioni. Ripristinare l’Adigetto di Vespasiano

Il segno rosso indica il condotto sotterraneo.

Un giorno prossimo venturo il centro storico di Verona finirà sottacqua, e il cambiamento climatico non c’entra nulla, semmai la colpa sarà dei corsi e ricorsi della storia. Perché, infatti, nei secoli passati questa splendida città è stata spesso sommersa e sfregiata dalle piene dell’Adige. Eppure, si potrebbe mettere al sicuro almeno il suo centro storico, con un intervento di semplice ingegneria.

Suggeriamo, dunque, di scavare una galleria sotterranea che colleghi l’Adige di Castelvecchio all’Adige di subito dopo il ponte Aleardo Aleardi.

I romani, ai tempi di Vespasiano, avevano provveduto a proteggere la città costruendo un canale, che è stato ricoperto solo ai primi del ‘900, per poterci costruire sopra e che si chiamava Adigetto

Percorso del vecchio Adigetto

In momenti di grande piena si potrebbe scaricare una parte delle acque del fiume attraverso questo grande condotto. L’idea non è nuova, a Tokyo è stata approntato un enorme serbatoio sotterraneo che funga da battente e che viene progressivamente svuotato, accendendo delle turbine di tipo aeronautico che spingono l’eccesso d’acqua nel mare. Dal giorno del suo approntamento, nel 2006, Tokyo non è più stata allagata, mentre in precedenza capitava anche 6-7 volte all’anno, a seconda del numero di tifoni. Il suo costo totale è stato di circa 2 miliardi di euro, ed è stato un ottimo investimento.

Una delle camere di Tokyo, nota come il Partenone sotterraneo.

Costruire della grandi gallerie sotterranee sotto a degli edifici non è semplice e, soprattutto sarà molto costoso, esistono dunque delle alternative?

Direi di sì. Ecco come: bisogna piazzare delle turbine sotto al livello stradale, sulla riva dell’Adige di Castelvecchio e poi approntare delle tubazioni flessibili in carbonio, che potranno essere dispiegate fra le vie di Verona solo nel momento critico della piena. Queste avranno un diametro di una decina di metri.  La portata potrà essere facilmente calcolata in base ai volumi di piena e alla spinta delle turbine.

Esiste il tunnel di Torbole, che è di notevole portat0a, avente una capacità di circa 500 m3 per scaricare nel lago di Garda, ma a causa della diversa temperatura e qualità delle acque lo si è utilizzato  soltanto 12 volte tra il 1960 e il 2022.

La portata massima che può transitare nell’Adige è pari a 2.500 m³/secondo, oltre a questa portata, esonda, dunque, in caso di un evento di piena catastrofica, il passante di Torbole potrà fare poco.

 

 

Morto Rodolfo De Benedictis, un amico d’infanzia

Morto Rodolfo De Benedictis, un amico d’infanzia

(Foto: G. Leoni)

La professione di medico aveva portato Rodolfo De Benedictis lontano da Turbigo, ma vi tornerà per esservi sepolto, accanto ai suoi genitori, nel cimitero sulla collina, oltre il castello visconteo. Nato nel 1957, lascia la sua famiglia e la sua sorella maggiore, Daniela, laureata in ingegneria.

Ci separavano due anni d’età ma ci univa la grande amicizia fra suo padre, Ezio, giudice di pace e vice-sindaco e mio padre, sindaco.

A sinistra, Ezio De Benedictis

Suo padre è stato un grande gentiluomo meridionale, sempre composto e signorile, nei modi e nel vestire. Mio padre mi diceva che era stato in aviazione, durante la guerra e dopo lo sbarco degli Alleati, in Sicilia, aveva cominciato a ritirarsi, fino a giungere a Turbigo, dove si era fermato, sposando una bella donna turbighese,  Maria Barozza, nel 1953. Di lui ho un bellissimo ricordo, perché un giorno fu invitato a casa nostra per una cena, io avrò avuto sei anni e si presentò con un bellissimo libro per me, una edizione illustrata dell’Isola del Tesoro, di Robert Luis Stevenson. Credo che quello fu il mio primo libro.

I funerali di Rodolfo si terranno martedì 13 giugno, alle ore 15, presso alla chiesa parrocchiale e, purtroppo, non potrò esserci fisicamente, ma ci sarò nello spirito.  Spero che il suo viaggio lo potrà fare con Silvio Berlusconi, che lo allieterà con le sue barzellette.

Angelo Paratico

Verona fulcro ferroviario italiano

Verona fulcro ferroviario italiano

Si è svolto presso il Quadrante Europa il convegno organizzato dall’associazione Comunità e Trasporti e patrocinato dal Consorzio ZAI dal titolo “Verona: fulcro ferroviario per il commercio, la logistica e il turismo”. In questo evento, ci si è concentrati sulla posizione strategica di Verona come centro di trasporto e connessione per le attività commerciali, logistiche e turistiche. Verona è una città che si trova al centro di importanti corridoi ferroviari e autostradali, ed è uno dei principali punti di ingresso per il nord Italia e l’Europa. Grazie alla sua posizione
privilegiata, Verona svolge un ruolo cruciale nel facilitare il commercio e la logistica, nonché nello sviluppo del turismo nella regione.
Il convegno si è aperto con il video messaggio del Vice Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Bignami che ha sottolineato l'impegno del governo per ampliare il trasporto su rotaie e l’importanza di Verona come esempio da seguire in tutto il territorio. Dopo l’introduzione del presidente dell’associazione Comunità e Trasporti
Marco De Cesare è intervenuto Leo Ramponi, presidente di una importante associazione di ristoratori di Verona, sul cambiamento della cultura del cibo e sulle criticità del non avere un turismo responsabile. Sul tema del turismo e dello sviluppo del trasporto e della logistica, l’Europarlamentare europeo Paolo Borchia ha dichiarato che ci debba essere maggiore collaborazione e non imposizioni dall’alto, tra l’Unione europea e le autorità e imprese locali. L’Assessore al Commercio del Comune di Venezia Sebastiano Costalonga ha auspicato una maggiore connettività tra
le due città per migliorare l’efficienza e la sostenibilità della catena di approvvigionamento delle merci e il Segretario Nazionale UGL Ferrovieri Ezio Favetta ha messo in evidenza come il sindacato possa contribuire ad affrontare e
vincere le sfide future del settore e come il dialogo tra le parti sociali e le istituzioni possa promuovere uno sviluppo economico della Regione.
Dopo le domande e gli interventi del pubblico il convegno è terminato con le conclusioni del Prof. Giuseppe Cirillo, docente Logi Master.

Macron sta tramontando e la Francia è fottuta

Macron sta tramontando e la Francia è fottuta

Nonostante la sua proverbiale arroganza, la mancanza di empatia nei confronti degli elettori e il disprezzo inconfessabile per coloro che considera inferiori dal punto di vista intellettuale, Macron ha spesso ragione su ciò che affligge la Francia e su ciò che deve essere risolto. Ma ottenere qualcosa si sta rivelando faticoso e scoraggiante. Ha il potere di continuare a ignorare le manifestazioni, almeno per un po’. La polizia ha a disposizione tonnellate di gas lacrimogeni. Ma se il Consiglio Costituzionale dovesse dichiarare invalido il suo decreto di riforma, ciò potrebbe portare a nuove elezioni per l’Assemblea, che probabilmente vedrebbero ulteriori guadagni per la Le Pen.

Milioni di persone sono scese in piazza nelle manifestazioni indette dai sindacati. Chiedono il ritiro della riforma delle pensioni, che il Presidente sta cercando di imporre per decreto dopo il no dell’Assemblea Nazionale. Ci sono stati due milioni di manifestanti in tutto? Cinque milioni? Otto milioni? Dipende da chi conta. Hanno aderito studenti delle scuole superiori e delle università. I controllori di volo francesi (che possono già andare in pensione a 52 anni) hanno interrotto i voli in tutta Europa. Tutto ciò si traduce in un capriccio nazionale, in cui è venuta meno ogni logica.

La riforma proposta da Macron, che prevede l’innalzamento dell’età pensionabile da 62 anni, una delle più basse in Europa, a 64 anni, è perfettamente razionale. È in gioco la solvibilità del Paese. Quando il generoso sistema pensionistico fu istituito nel dopoguerra, l’aspettativa di vita era di 66 anni. Ora è di 83 anni. Il costo delle pensioni ha spinto la spesa pubblica in Francia al 59% del PIL; la spesa per le pensioni è pari al 14%. Si tratta di cifre tra le più alte non solo in Europa, ma anche nel mondo sviluppato, destinate a peggiorare senza una riforma.
Molti dei manifestanti, se presi da parte, ammettono che le pensioni a 62 non sono sostenibili, ma il loro odio per questo “principino” che disprezza gli “sdentati” è ancora più forte. Tutto sommato i francesi sono gli stessi che scesero in Italia con Napoleone I, poveri straccioni ai quali il grande còrso, seduto sopra al suo cavallo bianco indicò le ricche pianure e i palazzi dorati d’Italia, dicendo loro: “Li volete? Rischiate la morte e seguitemi”.

L’autorità di Macron viene visibilmente sfidata da milioni di suoi connazionali. Persino i giornalisti, un tempo ammiratori, si sono scagliati contro di lui. Si susseguono voci di rabbia presidenziale, intervallate da malinconia e depressione. Non molto tempo fa, Macron sperava di essere il leader non solo della Francia ma anche dell’Europa post-Merkel. Ma è vittima della sua stessa indifferenza verso gli affari sporchi della politica interna. Sembra molto più interessato a fare lo statista internazionale che governare il suo Paese.

Mentre i disordini continuano, Macron sembra essere in uno stato di negazione: un discorso televisivo risentito, la scorsa settimana, è servito solo a peggiorare le cose. Se vuole affrontare il suo Paese, troverà un Paese altrettanto determinato. Un sondaggio ha rilevato che il 62% è favorevole all’intensificazione degli scioperi e afferma di incolpare Macron – e non i manifestanti – di eventuali violenze. Non sono mancate le violenze, con 440 agenti di polizia feriti in un solo giorno la scorsa settimana.

Un incontro di crisi all’Eliseo con Élisabeth Borne, il primo ministro di Macron, ha prodotto un’anemica promessa di essere pronto a parlare con i sindacati, ma non a ritirare la riforma promessa in campagna elettorale. La sua offerta è stata immediatamente respinta dai sindacati e denunciata dalla sinistra parlamentare, guidata da Jean-Luc Mélenchon, che ha fatto il giro dei talk show per promuovere la sua agenda radicale in un modo che lo ha portato a essere paragonato a Robespierre. Marine Le Pen, invece, sta prosperando negli ultimi sondaggi.

Macron ha pochi amici. Metà del suo gabinetto vuole il suo posto, compreso il ministro degli Interni, il sinistro Gérald Darmanin. Egli presiede una forza di polizia che secondo molti (e secondo molte prove video) non ha il controllo della situazione e risponde nell’unico modo che conosce, agitando manganelli dietro a nuvole di gas.

Macron avrebbe voluto posare con Re Carlo a un banchetto a Versailles – uno spettacolo glorioso per segnare il ripristino delle relazioni con il Regno Unito, gravemente danneggiate dalla Brexit ed esacerbate dalle dispute sulle piccole imbarcazioni. Ma la visita reale è stata annullata a causa dei disordini.

Forse è questo che alimenta la rabbia nelle strade: la sensazione dei francesi di vivere negli ultimi giorni di una bolla speculativa e che, se tornasse il sereno, la riforma delle pensioni sarebbe solo l’inizio. E che se il Presidente riuscirà a far passare questa riforma, avrà altri quattro anni di potere per continuare a spremere. Ma da quando Macron è stato rieletto l’anno scorso con una maggioranza molto risicata (seguita dalla mancata conquista della maggioranza all’Assemblea), la patologia della politica francese è diventata estremamente pericolosa.

 

Massimo Mariotti ha incontrato il deputato rumeno Antonio Andrusceac

Massimo Mariotti ha incontrato il deputato rumeno Antonio Andrusceac

Massimo Mariotti, a destra.

Lo sviluppo dei rapporti tra Verona e la Romania è stato al centro dell’incontro che si è tenuto nei giorni scorsi in città tra l’on. Antonio Andrusceac, capogruppo nel parlamento rumeno del partito di destra, AUR, e il consiglie di Fratelli d’Italia, nel Comune di Verona, Massimo Mariotti, vice responsabile nazionale per il partito di Giorgia Meloni, del Dipartimento Italiani nel Mondo.

Tra le varie tematiche trattate durante il colloquio vi è stata la possibilità di un intervento da parte di professionisti e aziende veronesi, specializzate in particolare nel ramo del restauro e ripristino degli edifici.

“Penso ad esempio agli interventi che avete realizzato in seguito al terremoto in Abruzzo”, ha spiegato l’on. Andrusceac. Precisando che “noi, in Romania, possiamo disporre sicuramente di molta manodopera, ma i vostri tecnici possono aiutarci ad utilizzarla al meglio e a predisporre progetti in grado di valorizzare monumenti, strutture, edifici che come dicevo prima necessitano di interventi particolari”.

Mariotti ha assicurato, in questo senso, una fattiva collaborazione e il suo intervento diretto per coinvolgere le associazioni di categoria e i professionisti scaligeri interessati a operare in Romania. Mariotti ha aggiunto: “Numerosi sono i Comuni dell’area veronese gemellati con quelli rumeni, ma questa opportunità di sviluppare ulteriormente i rapporti economici, rappresenta sicuramente una grande occasione per rinsaldare i rapporti tra i due Paesi”.

L’on.Andrusceac, in occasione della sua visita in Italia, ha incontrato a Roma vari esponenti del Parlamento, accompagnato
dal presidente del Comites Romania, Gianni Calderone. Al Parlamento italiano, vista la fortissima presenza di immigrati rumeni, ha proposto “di rispettare questa comunità chiedendo che venga rappresentata nel parlamento, come d’altronde succede per la minoranza italiana in quello rumeno”.

Altro obiettivo della sua visita in Italia è stata “la possibilità di far studiare la madrelingua agli studenti rumeni, come accade per quelli italiani in Romania, pur molto meno numerosa, avendo come riferimento il Liceo Dante Alighieri”.

 

Massimo Mariotti, Presidente della Serit, inaugura il Monumento ai paracadutisti a Cattigliano

Massimo Mariotti, Presidente della Serit, inaugura il Monumento ai paracadutisti a Cattigliano

Da sinistra: Loris Salgaro Vaccaro, Massimo Mariotti, Giovanni Danese.

Domenica 5 marzo, è stato inaugurato a Cattignano, frazione di San Giovanni Ilarione, il monumento in onore dei Paracadutisti d’Italia. Numerosi i baschi amaranto accorsi per l’occasione, da tutta la provincia e dal Veneto, anche per tenere vivo il ricordo dei parà caduti e di quelli impegnati nelle missioni di pace.

Giovanni Danese, presidente della sezione Paracadutisti Valdalpone, nata nel 2022, ispirandosi alla figura del combattente della Nembo Angelo Beltrame, ha ricordato il primo incontro presieduto da Loris Salgaro Vaccaro, ex Presidente della Sezione intitolata al carabiniere paracadutista Germano Posenato, decorato con la croce al merito di guerra per aver partecipato alle operazioni in Africa settentrionale tra il 1940 e il 1943.

“ L’idea del monumento, disegnato da Loris Florio e dalla consorte, è stata del nostro commilitone Vincenzo Mainente ,che purtroppo non è più tra noi”, ha ricordato Danese.  Precisando che “l’opera è stata realizzata col marmo di Campofontana, grazie all’impegno dei soci della Sezione, della Parrocchia di Cattignano che ha concesso il terreno ed al prezioso contributo di Serit il cui presidente Massimo Mariotti, anche lui paracadutista, ci ha voluto onorare con la sua presenza in occasione dello scoprimento. Auspico che il monumento rimanga in questa piazza non solo come simbolo della nostra presenza sul territorio, ma anche a memoria dei Paracadutisti caduti in guerra e di tutti coloro che ancora operano sul suolo nazionale e contribuiscono alle missioni di Pace”.

Oltre al sindaco di San Giovanni Ilarione, Luciano Marcazzan, erano presenti anche i primi cittadini di Vestenanova Stefano Presa e quello di Selva di Progno Marco Cappelletti, il consigliere Nazionale Giorgio Munerati, il Segretario tecnico Nazionale dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia, Mauro Benatti, il quale anche a nome del presidente nazionale, il generale di corpo d’Armata, Marco Bertolini, ha rimarcato come il monumento è la trasposizione quotidiana del senso del dovere, uno dei valori della Folgore. La giornata, che ha visto una numerosa presenza di cittadini, è stata allietata dalla musica della Banda di San Giovanni Ilarione e Montecchia di Crosara, oltre che dal coro “El Biron”.

 

 

Avviso ai poveri naviganti e un modesto consiglio

Avviso ai poveri naviganti e un modesto consiglio

La tragedia di Crotone ha scosso tutti. Si tratta di veri profughi, disperatamente alla ricerca di una vita degna per sé e per i propri figli. Ed è stato l’afflusso dei migranti economici, in questi anni, che li ha oscurati. I migranti economici andrebbero tutti espulsi, o meglio, andrebbero bloccati prima della loro partenza.

Per i veri profughi, in fuga da guerre e distruzioni, sarebbe comunque meglio non mettersi per mare, e non pagare gli assassini che, forse, neppure li sbarcheranno su spiagge lontane. Dovrebbero trovare altre rotte e altre strade. Se possibile dovrebbero restare nel proprio Paese e cercare di migliorarlo dal di dentro, se necessario impugnando le armi , trasformando l’inferno in purgatorio. Ma se comunqne vorranno mettersi per mare, allora, almeno adottino questa piccola precauzione che mi sento di consigliare.

Raccolgano delle bottigliette di plastica usate per l’acqua, proprio la odiata e ubiqua spazzatura. Dopo aver bevuto l’acqua che contengono, con il tappo ben chiuso, le cuciscano dentro a giacche e a vesti. Oltre a queste bottigliette raccolgano anche del polistirolo, quello che viene usato per gli imballaggi, di radio, di giocattoli e via dicendo. Nella spazzatura di ogni città del mondo lo si trova in abbondanza. Lo chiudano in piccoli sacchi di poliestere o nylon, ne facciano dei cuscinetti e anche quelli li usino come imbottitura di vesti, per sé e per i propri cari. In caso di caduta in mare questi semplici indumenti permetteranno un sufficiente galleggiamento, per loro, per i loro figli e le loro donne, non  abituate alle onde.  Questa spazzatura li aiuterà a star sopra al pelo dell’acqua, seppur parzialmente, tenendo le teste alte.

Costa davvero poco procurarsi questo materiale di scarto, prima di salpare con i barconi, ma poterne disporre in momenti critici segnerà il discrimine fra la vita e la morte.

Perché non fumo

Perché non fumo

Era il 1983 e, dopo aver passato qualche anno in tintorie industriali nell’hinterland milanese, mi ero deciso a cercare un lavoro che mi permettesse di viaggiare. Leggevo molti libri sulla Cina e sul Giappone e volevo andarci a vivere. Attorno a me tutti fumavano e, per darmi un atteggiamento da adulto, avevo cominciato a fumare qualche sigaretta e anche la pipa. Il sapore del tabacco in bocca mi disgustava ma cercavo di persistere. Un giorno mi assunse la ILMA di Schio, dopo che avevo risposto a una loro inserzione messa sul Corriere della Sera. Ci lavorai per tre anni e poi fallì. Era una fabbrica che produceva macchinari d’acciaio per tintorie, io ero avvantaggiato perché sapevo l’inglese e conoscevo la chimica della tintura. Venni subito mandato in Marocco e poi in Turchia, dove potei svolgere un discreto lavoro.
Una delle macchine che avevamo venduto era in Australia, serviva per tingere rocche di lana merinos e stava dando dei grossi problemi. Essendo l’Oceania una mia zona di competenza mi mandarono a vedere cosa si poteva fare. Giunsi a Melbourne a metà settimana e individuai il problema. La grossa autoclave era stata spedita con le eliche della pompa sbagliate e, dunque, ‘cavitava’ non riuscendo a raggiungere la pressione necessaria per tingere uniformemente le rocche, con gravi danni per i nostri clienti, che erano pure nostri agenti per l’Australia. Ordinammo un nuovo set di eliche, che andavano spedite per corriere. Durante il fine settimana restai a Melbourne, in attesa dell’arrivo del pacco, e il direttore della fabbrica, di domenica, mi invitò a casa sua, a pranzo.
Abitava con la moglie e due bambini in una bella villetta circondata da un prato verde. Ciò che mi fece impressione di quel quartiere fu che non esistevano recinzioni, salvo una bassa siepe che la circondava. Sul retro della casa venne messo un tavolino e una graticola per il barbecue. La sua gentilissima moglie si occupava di tutto, sia dei due bambini che della cottura delle braciole di carne e delle patate. Ci sedemmo a bere una birra e poi a parlare del più e del meno. Quando la carne fu cotta, la moglie ce la servì nei piatti e mangiammo. Era tutto eccellente. C’era un bel sole e i bambini erano educatissimi. Alla fine bevemmo del caffè, ben rilassati e sazi. Fu a quel punto che chiesi alla padrona di casa se facesse la casalinga a tempo pieno oppure se avesse un lavoro. Il marito mi disse, anticipando la sua risposta, che lavorava all’ospedale di Melbourne e che possedeva due lauree. Vedendola in modalità domestica non avevo pensato a quello e poi le feci una domanda che, forse, non avrei dovuto fare. Le chiesi di che si occupava all’Ospedale di Melbourne. Lei si tirò su sulla sedia e mi guardò. In quel momento ebbi come l’impressione di notare un cambiamento catartico in lei e, quella notte, facendo fatica a dormire, mi tornarono in mente le parole pronunciate da Robert Oppenheimer, conoscitore della letteratura Hindu, quando vide esplodere la prima bomba atomica a Los Alamos, il 16 luglio 1945: Ora sono diventato la Morte, il distruttore dei mondi del quale avevo letto in un libro nel quale si raccontava la corsa alle bombe atomiche da lanciare su Hiroshima e Nagasaki.
Mi disse che aveva una laurea in medicina, con specializzazione in malattie polmonari e una in psichiatria. Il suo lavoro consisteva nel dire ai pazienti, con tumori ai polmoni, quanto gli restasse da vivere e le varie opzioni per ritardare l’evento fatale. In Australia esisteva il crudele obbligo per i medici di comunicare queste informazioni ai pazienti. Disse che ne riceveva una dozzina al giorno. Un po’ ingenuamente io le chiesi se ciò fosse da mettere in relazione al fumo, lei disse che per un novanta per cento erano fumatori e il dieci per cento erano persone esposte all’amianto o alla silice. Non pago, volendo far sfoggio di cultura, le dissi che avevo letto di ricerche scientifiche nelle quali si diceva che non si dovevano mettere in relazione troppo stretta il fumo e i tumori polmonari. Lei fece un sorriso ironico ma non disse nulla. Qualche anno dopo uscì la notizia che Philip Morris e altri produttori di tabacco avevano finanziato dei ricercatori proprio per arrivare a queste erronee conclusioni, ovvero che il fumo fosse una variabile indipendente per l’insorgere di tumori. Pagarono una multa e dei risarcimenti, ma non cambiò nulla.“Un lavoro difficile il suo” le dissi.

Lei alzò le spalle e aggiunse che: “Quando lo dico alle donne, si mettono a piangere e quasi tutte dicono vorrei tanto non aver mai fumato. Gli uomini, invece, impallidiscono e si perdono nei propri pensieri, spesso devo richiamarli, per essere certa che capiscano ciò che gli sto dicendo. Forse pensano al passato, o al futuro, alla loro famiglia, al lavoro…”. Poi si alzò in piedi e riprese ad accudire i figlioletti.  Tornato in albergo, buttai le sigarette nel cestino dei rifiuti e ne non toccai più una.

Putin è più forte di prima

Putin è più forte di prima

 

 

Per molti commentatori, Putin avrebbe i giorni contati. Essi sostengono che i leader che subiscono terribili sconfitte sul campo di battaglia difficilmente resisteranno a lungo al potere. È il caso, ad esempio, del leader pakistano Yahya Kahn all’inizio degli anni ’70 e del leader della giunta argentina Leopoldo Galtieri un decennio dopo, costretti a dimettersi dopo umilianti imprese militari. Pertanto, si sostiene che l’invasione di Putin porterà probabilmente alla sua caduta. Ma questa valutazione potrebbe essere prematura.

Più di recente, il fiasco degli Stati Uniti in Afghanistan è stato preso alla leggera e non ha avuto alcun effetto sul Presidente Joe Biden. Sebbene i suoi indici di gradimento siano stati bassi, ci sono poche prove che questo calo di popolarità sia sostanzialmente dovuto alla disastrosa sconfitta del governo sostenuto dagli Stati Uniti a Kabul per mano dei Talebani. In effetti, il fallimento della guerra è stato a malapena menzionato nelle elezioni americane di midterm dell’anno successivo e, nella misura in cui lo è stato, le lamentele non hanno riguardato il risultato in sé, ma l’inettitudine con cui è stato gestito l’umiliante ritiro dal Paese.

Il parallelo più pertinente con l’avventura di Putin in Ucraina può essere la guerra cecena del 1994-1996. Preoccupato da un movimento di secessione in Cecenia, che avrebbe potuto essere imitato da altre entità della Federazione Russa, il Presidente russo Boris Eltsin inviò truppe con l’assicurazione da parte dei suoi militari di poter riprendere rapidamente il controllo della regione. Invece, le forze russe hanno subito migliaia di perdite e si sono comportate bene contro una resistenza determinata come nel 2022 in Ucraina. Mentre la guerra cecena si trasformava in un disastro, Eltsin elaborò disperatamente un accordo per il ritiro in base al quale la Cecenia avrebbe potuto alla fine essere formalmente secessionista. Questi eventi umilianti si sono verificati durante la campagna elettorale per la rielezione di Eltsin nel 1996, che tuttavia fu rieletto.

In generale, però, la storia fornisce numerosi esempi di politici, soprattutto nelle autocrazie, in grado di sopravvivere alle débâcle militari. Questa capacità di sopravvivenza può essere in parte il risultato del fatto che gli autocrati che si impegnano in rischiose avventure all’estero tendono a farlo, come ha fatto Putin, quando sono già sicuri della loro carica e possono ostacolare e sconfiggere gli sforzi per rimuoverli quando l’avventura va male: tendono ad avere un apparato di sicurezza sostanziale ed efficace, popolato da persone il cui destino dipende da loro. E le possibilità di sopravvivenza sono probabilmente maggiori se non sembra esserci un’alternativa valida in attesa dietro le quinte o in trincea. Inoltre, le imprese militari fallite sembrano essere facili da ignorare quando si svolgono all’estero e non coinvolgono direttamente molte persone in patria. Per ora, quindi, l’esperienza suggerisce che c’è una seria possibilità che Putin rimanga in carica durante qualsiasi periodo di accordo sulla guerra in Ucraina e che sia ancora lì dopo. Inoltre, suggerisce che Putin sarà in grado di reprimere qualsiasi tentazione di escalation catastrofica della guerra. Per gli Stati Uniti e i suoi partner, ciò comporta delle conseguenze.

In primo luogo, non è affatto chiaro se Putin abbia bisogno di concessioni che gli salvino la faccia per ritirarsi dalla sua disfatta e ritirarsi dall’Ucraina. Infatti, se Putin ha bisogno di una scusa – o di un argomento di conversazione – può semplicemente raddoppiare la principale giustificazione che ha avanzato per la guerra all’inizio, una giustificazione che, per quanto bizzarra, sembra essere stata sostanzialmente accettata in Russia. Paragonando la situazione in Ucraina a quella che portò all’invasione tedesca della Russia nel 1941, ha sostenuto che il suo attacco era stato progettato per impedire alla NATO di stabilire una presenza militare in Ucraina da cui avrebbe poi attaccato la Russia. Si tratta ovviamente di un’illusione, ma può essere trasformata in una rivendicazione di vittoria che potrebbe essere prontamente accolta dai russi stanchi e diffidenti nei confronti della guerra, sia nell’opinione pubblica che nell’élite.

In secondo luogo, tuttavia, se potesse contribuire al ritiro della Russia, la NATO potrebbe cercare di spingere Putin in questa fantasia di giustificazione della disfatta impegnandosi in diversi gesti a costo zero. Questi potrebbero includere l’emissione di un impegno formale di non invasione, la dichiarazione di una moratoria sull’adesione alla NATO per l’Ucraina per forse 25 anni – a causa della corruzione dilagante e di altri difetti, l’Ucraina impiegherebbe probabilmente così tanto tempo per soddisfare i criteri di adesione in ogni caso – e il perseguimento di un ampio accordo nell’area per stabilire un’Ucraina sicura ma formalmente neutrale, seguendo il meccanismo utilizzato negli anni ’50 per l’Austria.

Ma se l’Occidente continuerà a basare i suoi calcoli sull’aspettativa che il potere di Putin sia in gioco e che potrebbe dover fornire un sostanziale accomodamento a un Cremlino, disperato e timoroso della sconfitta per evitare un’escalation radicale da parte del leader russo, potrebbe alla fine minare l’obiettivo stesso che cerca: portare la guerra a una rapida e positiva conclusione.

Putin è stato in grado di costruire un’economia che si presta abbastanza bene a essere chiusa fuori dall’Occidente. E’ stato, tutto sommato, un manager sufficientemente competente e con aspirazioni messianiche.

Si è preparato a questo per un po’ di tempo, e il successo nell’incanalare le sanzioni post-2014 per rendere l’economia più autosufficiente e resiliente gli ha sicuramente dato alla testa. È dunque probabile che la Russia sia in una eccellente posizione per uscire intatta dall’imminente crisi energetica che si manifesterà pienamente. Putin otterrà, dopo una guerra di logoramento, un danno per russi, ucraini e i consumatori europei.

Tutti questi discorsi sul fatto che sia sull’orlo del baratro sono così fuori luogo che non è nemmeno più il caso di rispondere. La sua posizione personale e quella della sua cricca interna sono migliorate di un ordine di grandezza come risultato della guerra. La sua gente ora possiede tutte le attività occidentali in Russia, e vende gas e petrolio al Giappone. Chiunque fosse lontanamente vicino a protestare o a combattere contro di lui se n’è andato, è stato esiliato o mandato in prima linea. Per i prossimi 2-3 anni potrà fare quello che vuole, e dare la colpa all’Occidente e ai nazisti e poi farla franca. Inoltre, un altro risultato della guerra è stato quello di accelerare la transizione verso un mondo bipolare che giunge un po’ troppo presto per la Cina.  Il risultato più sorprendente della metà degli anni ’20 sarà una posizione relativamente più forte della Russia nel mondo, nonostante un pasticcio militare.

A parte la generale posizione antiviolenza di qualsiasi tipo, siamo in difficoltà con tutte le scuse che la Russia e i vari osservatori pro Russia stanno ripetendo: perché sono vere: l’amministrazione Clinton ha chiaramente fatto la scelta coscienziosa di ignorare l’accordo di Bush senior con Gorbachev e Eltsin. Gli ucraini hanno insistito sul nazismo e sulle politiche anti-russe, una cosa doppiamente difficile da ignorare, visto che la Lettonia tratta ancora i suoi cittadini di origine russa come non-cittadini di seconda classe, a meno che non si discolpino completamente della loro russitudine, e l’Unione Europea, chiudendo un occhio, non fa altro che rafforzare l’argomentazione che l’Ucraina stesse per finire lì. Anche la seconda rivoluzione arancione del 2014 è stata chiaramente orchestrata da Washington, con Victoria Nuland che ha nominato la maggior parte del successivo gabinetto. L’Ucraina cerca palesemente di contrapporre l’UE alla Russia e viceversa per ottenere un trattamento commerciale vantaggioso, pur non mantenendo le promesse fatte a entrambe le parti, resta chiaro che comunque nulla di tutto questo giustifica la guerra scatenata da Putin.