Perché non fumo

Perché non fumo

Era il 1983 e, dopo aver passato qualche anno in tintorie industriali nell’hinterland milanese, mi ero deciso a cercare un lavoro che mi permettesse di viaggiare. Leggevo molti libri sulla Cina e sul Giappone e volevo andarci a vivere. Attorno a me tutti fumavano e, per darmi un atteggiamento da adulto, avevo cominciato a fumare qualche sigaretta e anche la pipa. Il sapore del tabacco in bocca mi disgustava ma cercavo di persistere. Un giorno mi assunse la ILMA di Schio, dopo che avevo risposto a una loro inserzione messa sul Corriere della Sera. Ci lavorai per tre anni e poi fallì. Era una fabbrica che produceva macchinari d’acciaio per tintorie, io ero avvantaggiato perché sapevo l’inglese e conoscevo la chimica della tintura. Venni subito mandato in Marocco e poi in Turchia, dove potei svolgere un discreto lavoro.
Una delle macchine che avevamo venduto era in Australia, serviva per tingere rocche di lana merinos e stava dando dei grossi problemi. Essendo l’Oceania una mia zona di competenza mi mandarono a vedere cosa si poteva fare. Giunsi a Melbourne a metà settimana e individuai il problema. La grossa autoclave era stata spedita con le eliche della pompa sbagliate e, dunque, ‘cavitava’ non riuscendo a raggiungere la pressione necessaria per tingere uniformemente le rocche, con gravi danni per i nostri clienti, che erano pure nostri agenti per l’Australia. Ordinammo un nuovo set di eliche, che andavano spedite per corriere. Durante il fine settimana restai a Melbourne, in attesa dell’arrivo del pacco, e il direttore della fabbrica, di domenica, mi invitò a casa sua, a pranzo.
Abitava con la moglie e due bambini in una bella villetta circondata da un prato verde. Ciò che mi fece impressione di quel quartiere fu che non esistevano recinzioni, salvo una bassa siepe che la circondava. Sul retro della casa venne messo un tavolino e una graticola per il barbecue. La sua gentilissima moglie si occupava di tutto, sia dei due bambini che della cottura delle braciole di carne e delle patate. Ci sedemmo a bere una birra e poi a parlare del più e del meno. Quando la carne fu cotta, la moglie ce la servì nei piatti e mangiammo. Era tutto eccellente. C’era un bel sole e i bambini erano educatissimi. Alla fine bevemmo del caffè, ben rilassati e sazi. Fu a quel punto che chiesi alla padrona di casa se facesse la casalinga a tempo pieno oppure se avesse un lavoro. Il marito mi disse, anticipando la sua risposta, che lavorava all’ospedale di Melbourne e che possedeva due lauree. Vedendola in modalità domestica non avevo pensato a quello e poi le feci una domanda che, forse, non avrei dovuto fare. Le chiesi di che si occupava all’Ospedale di Melbourne. Lei si tirò su sulla sedia e mi guardò. In quel momento ebbi come l’impressione di notare un cambiamento catartico in lei e, quella notte, facendo fatica a dormire, mi tornarono in mente le parole pronunciate da Robert Oppenheimer, conoscitore della letteratura Hindu, quando vide esplodere la prima bomba atomica a Los Alamos, il 16 luglio 1945: Ora sono diventato la Morte, il distruttore dei mondi del quale avevo letto in un libro nel quale si raccontava la corsa alle bombe atomiche da lanciare su Hiroshima e Nagasaki.
Mi disse che aveva una laurea in medicina, con specializzazione in malattie polmonari e una in psichiatria. Il suo lavoro consisteva nel dire ai pazienti, con tumori ai polmoni, quanto gli restasse da vivere e le varie opzioni per ritardare l’evento fatale. In Australia esisteva il crudele obbligo per i medici di comunicare queste informazioni ai pazienti. Disse che ne riceveva una dozzina al giorno. Un po’ ingenuamente io le chiesi se ciò fosse da mettere in relazione al fumo, lei disse che per un novanta per cento erano fumatori e il dieci per cento erano persone esposte all’amianto o alla silice. Non pago, volendo far sfoggio di cultura, le dissi che avevo letto di ricerche scientifiche nelle quali si diceva che non si dovevano mettere in relazione troppo stretta il fumo e i tumori polmonari. Lei fece un sorriso ironico ma non disse nulla. Qualche anno dopo uscì la notizia che Philip Morris e altri produttori di tabacco avevano finanziato dei ricercatori proprio per arrivare a queste erronee conclusioni, ovvero che il fumo fosse una variabile indipendente per l’insorgere di tumori. Pagarono una multa e dei risarcimenti, ma non cambiò nulla.“Un lavoro difficile il suo” le dissi.

Lei alzò le spalle e aggiunse che: “Quando lo dico alle donne, si mettono a piangere e quasi tutte dicono vorrei tanto non aver mai fumato. Gli uomini, invece, impallidiscono e si perdono nei propri pensieri, spesso devo richiamarli, per essere certa che capiscano ciò che gli sto dicendo. Forse pensano al passato, o al futuro, alla loro famiglia, al lavoro…”. Poi si alzò in piedi e riprese ad accudire i figlioletti.  Tornato in albergo, buttai le sigarette nel cestino dei rifiuti e ne non toccai più una.

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