La veronese Claudia Farina ha scritto più di ogni altro autore vivente circa la parabola, molto breve e violenta, dell’eresia catara. Abbiamo di recente letto uno dei sui libri, Boni Homini. Sulle tracce dei catari e di Maria Maddalena edito da Cierre Grafica nel 2021.
Si tratta di un’opera ricchissima di informazioni storiche ma anche di deduzioni logiche e accenni sottili a eventi che, purtroppo, non risultano documentati, oppure ci sono pervenuti solo da loro nemici.
Quel che mi ha subito colpito leggendo le sue pagine sono stati gli accenni al borgo di Concorezzo, nella periferia di Milano, che conosco bene per averci lavorato. Mai avevo saputo che quel posto, oggi fortemente industrializzato, nel XIII secolo fosse un centro di propaganda del catarismo in Italia.
Non avevo mai sentito parlare di Raniero Sacconi, forse prima cataro e poi persecutore dei suoi vecchi confratelli. Ecco, il libro di Claudia Farina è stato uno stimolo a documentarmi, per capire chi sia stato. Raniero Sacconi che scrisse una storia (ostile) dedicata al catarismo. Nulla di preciso si sa su di lui salvo che fu noto anche come Raniero da Piacenza, prima del 1250 e poi lo possiamo seguire sino al 1262, forse l’anno della sua morte.
Il suo nome appare dapprima in uno scritto del suo confratello Galvano Fiamma che lo definisce addirittura «vescovo degli eretici» «episcopus hereticorum». Quel che è certo è che conobbe Pietro da Verona, quando fu priore di un convento di Piacenza.
Non sappiamo quasi nulla di quando viveva fra i «catari o patarini» cathari sive paterini se non ciò che racconta egli stesso in un’importante opera composta nel 1250, conosciuta con il titolo Summa de catharis, nella quale descrive le loro credenze e i riti. Circa la sua passata appartenenza alla chiesa catara di Concorezzo, dove aveva potuto ascoltare le parole del vescovo Nazario, dal quale aveva appreso la dottrina secondo cui la vergine Maria e Gesù erano angeli. Sarà stato davvero un cataro, oppure apprese le loro credenze mischiandosi a loro?
La significativa e contraddittoria vicenda umana e religiosa, di Raniero Sacconi, è documentata tra il 1250 e il 1262 e, in particolar modo, nel periodo successivo all’uccisione di frate Pietro da Verona avvenuta il 6 aprile 1252, data dopo la quale Raniero operò come braccio inquisitoriale del papato a Milano e in ‘Lombardia’. Ragionevolmente la sua conversione avvenne in un clima religioso in cui la predicazione degli Ordini mendicanti alimentò la conversione degli eretici, soprattutto catari che in alcuni casi diventarono giudici della fede: il passaggio eretico-frate-inquisitore trova in Raniero da Piacenza una sintesi esemplare, ma non unica. Ricordiamo nel medesimo contesto Daniele da Giussano; nel caso di Raniero, tale sintesi si consolida nel confronto con il frate-inquisitore-santo Pietro da Verona (anch’egli eretico, ma solo per retroattiva costruzione agiografica), il cui assassinio sulla strada per Como, creò una reazione emotiva e politica che permise al Papato di potenziare la politica antiereticale nel vuoto di potere causato della morte di Federico II. Con certezza sappiamo che nel 1250 quando scrisse la Summa era frate (come lui stesso si definisce, senza rivendicare un ruolo inquisitoriale); pare comunque che nel 1252 fu inquisitore a Pavia e poi a Milano.
L’analisi dell’opera non permette di chiarire se Raniero fosse già inquisitore: nella breve parte dedicata ai valdesi, la conoscenza della pratica della consacrazione dell’ostia da parte di laici e, soprattutto, di donne attraverso la testimonianza orale, può essere agevolmente interpretata come frequentazione e dialogo con altri gruppi non conformisti durante il periodo ereticale; non è dirimente nemmeno il possesso di un «grande volume di dieci quaderni» da cui estrasse la dottrina di Giovanni di Lugio, alla quale dedica ampio spazio, poiché anch’esso è possibile risalisse a quell’epoca. È certo invece che la Summa è un testo storico-dottrinale, non ha la concretezza giuridica della pratica giudiziaria presente in manuali successivi. Le informazioni di un ex cataro convertito sono ben più preziose di notizie ricavate da interrogatori, ed è ragionevolmente questa la ragione del suo anomalo successo. La Summa illustra conoscenze personali, opiniones communes e consuetudini religiose. Tra le opiniones communes a tutti i catari frate Raniero pone la creazione del mondo da parte del diavolo; la negazione dei sacramenti, della resurrezione e del purgatorio; la convinzione che giuramento e matrimonio carnale sono peccato mortale, così come mangiare carne, uova e formaggio «perché nascono da un coito». Frate Raniero si sofferma in particolar modo su uno degli episcopi, Giovanni di Lugio, di cui possedeva il «grande volume di dieci quaderni» dal quale aveva ricavato gli errori esposti. Fornisce inoltre dati quantitativi stimando in 4000 il numero complessivo di uomini e donne, di cui 1500 aderenti alla sola chiesa di Concorezzo, di cui egli stesso fece parte.
È indubbio che la conoscenza diretta dei fatti raccontati abbia contribuito a determinare la fortuna di un’opera inusualmente datata e autografa, paragonabile a un best seller dal momento che ne sono sopravvissuti circa 50 esemplari, sebbene ciò non abbia contribuito alla fama di un ex eretico convertito poi inquisitore, non sempre adeguatamente ricordato dagli scrittori del proprio Ordine religioso.
L’autorevolezza e la ricchezza delle informazioni hanno favorito l’ampia e immediata circolazione del manoscritto: già intorno al 1260, infatti, un’elaborazione era approdata nel codice del cosiddetto anonimo di Passau, un inquisitore di area tedesca, e poi nel coevo Tractatus de hereticis dell’inquisitore Anselmo d’Alessandria, titolare dell’officium a Genova e a Milano dopo gli anni Sessanta del XIII secolo. La Summa de catharis venne per la prima volta pubblicata nel Catalogus testium veritatis di Mattia Flacio Illirico nel 1556 e, in seguito, nel Liber contra Waldenses del gesuita Jacob Gretzer nel 1613 a dimostrazione dell’impiego nelle battaglie polemistiche di epoca moderna.
Se Raniero scrisse una Summa di straordinaria diffusione, incerta invece è la paternità di un’altra Summa tardivamente attribuita a frate Pietro da Verona (che nel 1250, quando Raniero elaborò la sua opera, era titolare dell’officium fidei di Milano), sopravvissuta in due soli esemplari che sembrano testimoniare un’influenza assai ridotta, nonostante il clamore suscitato dalla morte violenta. Con la Magnis et crebris del 25 marzo 1253 frate Pietro da Verona divenne, in meno di un anno dalla morte, s. Pietro martire; i processi ai suoi assassini invece furono assai più lunghi, tortuosi e contraddittori nel tentativo di individuare nei ‘catari’ i mandanti delle inchieste condotte, nella prima fase, soprattutto da frate Raniero. Se frate Pietro è il santo di Innocenzo IV, frate Raniero è il suo inquisitore: due figure complementari e funzionali alla politica antiereticale del papa.
Nel 1252 Raniero fu inquisitore a Pavia, ma dopo la morte di Pietro si trasferì a Milano e condusse le inchieste con frate Guido de’ Capitani da Sesto, uomo ben conosciuto nella curia arcivescovile, a cui probabilmente si deve il suo inserimento in tali ambienti. Anche Raniero fu obiettivo degli ‘eretici’ come apprese direttamente dagli interrogatori del settembre 1252: Giacomo della Chiusa aveva procurato il denaro (20 lire imperiali) e si era recato personalmente a Pavia per organizzare il suo omicidio. Nonostante il ricco dossier dell’inchiesta su Pietro da Verona non si sia conservato, dai lacerti documentari si evince che la reazione degli inquisitori fu durissima: lo scontro con i signori locali accusati e i poteri pubblici coinvolti fu frontale.
Raniero agì in prima persona in tali inchieste che si prolungarono per oltre 40 anni (l’ultima sentenza nota contro Stefano Confalonieri, uno dei principali imputati, è del 1295). Eppure, in modo tempestivo, già nell’aprile 1252, i due inquisitori emisero un triplice editto contro Stefano Confalonieri, signore di Agliate; in settembre vennero interrogati Manfredo e Facio da Giussano; il 3 febbraio 1253 venne condannato alla detenzione perpetua Giacomo della Chiusa, mentre il 27 luglio 1253 venne condannato, per la prima volta, Stefano Confalonieri.
Non conosciamo l’esito delle inchieste contro Manfredo e Facio da Giussano. Il 19 agosto 1254 con la Ad audientiam nostram, dopo aver ripercorso le tappe della vicenda giudiziaria di Roberto, detto Patta da Giussano, Innocenzo IV ordinò la distruzione del suo castello di Gattedo, non lontano da Agliate, un luogo dall’alto valore simbolico e religioso dal momento che vi erano sepolti i vescovi catari Nazario e Desiderio. In tal modo Ranierò eliminò i resti del proprio antico maestro Nazario.
Nel 1255 Raniero fu attivo su molteplici fronti: nella chiesa milanese di S. Tecla scomunicò coloro che si opponevano all’azione degli inquisitori (P.M. Campi, Dell’historia ecclesiastica…, 1651, p. 402); sollecitò l’inserimento delle norme antiereticali negli statuti di Como e richiese i nomi degli eretici di Chiavenna e Piuro (Scharff, 1996, pp. 168, 173). Nel 1257 incontrò nella canonica di Crescenzago Stefano Confalonieri che confessò il proprio ruolo nella morte di frate Pietro. L’incontro è significativo in quanto entrambi, giudice e accusato, in precedenza erano stati catari della chiesa di Concorezzo.
L’attività repressiva di frate Raniero non è attestata da documentazione giudiziaria (a parte un interrogatorio contro Manfredo e Facio da Giussano), ma da numerose lettere pontificie che dal 1253 al 1262 mostrano il suo impegno inquisitoriale e i legami personali con tre papi (Innocenzo IV, Alessandro IV, Urbano IV) i quali gli indirizzarono numerose missive a indicare un rapporto diretto con un inquisitore ‘sul campo’ mentre lavora anche alle inchieste contro Egidio da Cortenuova e altri membri della famiglia pure loro coinvolti in processi ultraventennali.
Ciononostante, a Milano la posizione dell’inquisitore si era indebolita al punto che il podestà Oberto Pallavicino, prima lo affrontò pubblicamente e, poi, lo cacciò dalla città in un crescendo conflittuale che indusse il pontefice a ingiungere al podestà di presentarsi al suo cospetto e a aumentare – in maniera eccezionale – a otto il numero degli inquisitori a Milano.
Frate Galvano Fiamma nell’illustrare questi accadimenti collocati nel 1258 commentò che frate Raniero fu il primo frate espulso da Milano da un laico, senza precisare che Oberto Pallavicino era detentore del dominio politico su ampia parte dell’Italia settentrionale.
Agli inizi del 1260 Alessandrò IV ordinò l’incarcerazione in penitenza perpetua di Stefano Confalonieri e a dicembre una ulteriore lettera esortò i rappresentanti delle istituzioni ecclesiastiche a fornirgli protezione a causa della precaria sicurezza con cui svolgeva le proprie funzioni inquisitoriali in territori al di fuori della propria giurisdizione. Nell’ultima lettera a lui rivolta, il 21 luglio 1262, Urbano IV lo invitava a recarsi in tutta fretta presso la sede apostolica per affrontare questioni inerenti l’eresia. Dopo questa convocazione null’altro è dato sapere di Raniero, se non l’ampia circolazione e riproduzione della sua opera antiereticale.
(Fonte Treccani)
Per chi fosse interessato a leggere la sua opera, tradotta dal Latino al Francese può scaricarla qui:
file:///C:/Users/Utente/Downloads/Raynerius_Sacconus_Summa_fratris_Raynerii_de_Catharis_trad_Emmanuel_Larrouturou.pdf
Il libro di Claudia Farina è di piacevole lettura e una volta giunti al termine potremo capire che, come si diceva un tempo, siamo delle scimmie sedute sulle spalle dei giganti.
By Luigi
Molto profondo ed interessante…anzi:
Incredibile la precisazione di date, luoghi e personaggi di quell’epoca.