La cantonata presa da Liz Truss

La cantonata presa da Liz Truss

Roosevelt al tempo del suo New Deal

di Michael Santi

“Intendevamo cambiare una nazione, e invece abbiamo cambiato un mondo”, fu l’emblematica dichiarazione di Ronald Reagan, che per tutta la sua presidenza condivise con Margaret Thatcher ossessioni fondamentalmente individualiste, in cui lo Stato rappresentava la minaccia assoluta contro la libertà e contro la proprietà. E, in effetti, il loro avvento – di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald Reagan negli Stati Uniti – fornì a questi campioni dell’ultraliberismo l’occasione perfetta per concretizzare il loro metodo, che fu portato avanti battendo i tamburi con gioia e partecipazione. Fin da subito, la schietta dichiarazione di Reagan, del 20 gennaio 1981, durante la cerimonia di insediamento – “Il governo non è la soluzione al nostro problema, il governo è il problema” – preannunciò il metodico smantellamento del lungo e benevolo processo del New Deal che aveva prefigurato la socialdemocrazia europea occidentale del dopoguerra. Da quel momento in poi, il conservatorismo economico e la regressione sociale regnarono sovrani.

Come dimenticare l’effetto devastante degli anni di Reagan? Egli fu iniziatore di una politica che ha ridotto nel breve, medio e lungo periodo, la quota dell’industria sul reddito nazionale (dal 21,5% del 1980 al 12% del 2005) per aumentare ovviamente quella dei servizi finanziari (dal 15% del 1980 al 23% del 2005)? Era ovvio che questa abdicazione dello Stato alle sue prerogative sarebbe stata meccanicamente colmata dallo sviluppo iperbolico di quella piovra che è il settore finanziario che, da quel momento in poi, avrebbe dovuto fornire tutti i servizi all’economia. I mercati finanziari esistevano naturalmente prima della metà degli anni ’70, ma sono decollati solo quando è stata attribuita loro una virtù miracolosa, quella di generare profitti immensi, a condizione (ma questo era evidente) che l’assunzione di rischi sia banalizzata e che la regolamentazione sia necessariamente simbolica.

Mercati finanziari, abbiamo detto? No: giudici onnipotenti e onniscienti che avrebbero riportato l’ordine nei conti delle imprese e delle famiglie attraverso tutte le parti dell’economia con la loro benevola efficienza. “Ritengo che l’ipotesi dei mercati efficienti sia una semplice affermazione che dice che i prezzi dei titoli e delle attività riflettono tutte le informazioni conosciute”, affermava all’epoca con grande serietà l’economista Eugene Fama. I seguaci di questi mercati finanziari “ideali” erano convinti che i prezzi fossero il risultato di un equilibrio razionale, che qualsiasi considerazione superflua, qualsiasi stato d’animo, dovesse cedere di fronte ai mercati che indicavano il prezzo a tutti gli attori. Tutto aveva un prezzo.

Ma ecco che questo neoliberismo coltivato all’eccesso dalla Thatcher, da Reagan, da Friedman e dai loro seguaci è fortunatamente passato sotto i colpi di… questi stessi mercati e delle loro crisi ricorrenti. È in quest’ottica che dobbiamo comprendere il naufragio in Gran Bretagna di Liz Truss, sconfessata innanzitutto dal mercato per aver voluto resuscitare l’ignominia thatcheriana, ormai divenuta arcaica anche agli occhi del grande capitalismo. Infatti, divenuti dipendenti dallo Stato, dai suoi interventi, dalle sue ripetute infusioni, i mercati si sono posti sotto la protezione del Governo, abbandonando senza scrupoli il dogma della libertà che hanno rivendicato con arroganza e spregiudicatezza per decenni. Nel momento in cui Truss ha proclamato a gran voce che lo Stato non avrebbe offerto alcuna protezione nell’ambito del suo mandato, è stata quasi immediatamente liquidata dai mercati trasformatisi improvvisamente in informatori, unendosi così ai cittadini nell’emettere una richiesta congiunta che nessun politico può più ignorare.

Questo cambio di paradigma scoperto a spese di Liz Truss – ironia suprema in una Gran Bretagna considerata fino a poco tempo fa il centro nevralgico del neoliberismo – può essere formulato semplicemente così: come i cittadini, i mercati vogliono essere governati, guidati, protetti. Lo Stato, oggi, è quindi chiamato ad agire su più fronti: ovunque in Occidente i partiti di destra, tradizionalmente iper-liberali, sono chiamati a prendere le distanze dall’algido individualismo un tempo propugnato da Thatcher e Reagan. Un appello forte e chiaro viene lanciato dal mondo degli affari, dai mercati, dalla finanza in generale, tutti tradizionalmente impegnati a destra: tutti chiedono un nuovo impulso, perché non una sorta di paternalismo? Certamente una richiesta insopprimibile che lo Stato assuma la guida nella lotta contro le molteplici insicurezze: economiche, militari e, naturalmente, climatiche.

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