Articolo di Michel Santi
Il keynesianesimo viene considerato una piaga intellettuale, i suoi seguaci sono visti come membri di una setta che cerca la confisca della proprietà da parte di uno Stato necessariamente tentacolare. Si tratta di una posizione deplorevole, perché un tempo la società accettava l’intervento dello Stato per regolare i fondamenti – e spesso gli eccessi – degli attori economici. Preferiamo forse sacrificare le nostre vite e quelle dei più vulnerabili alla fredda brutalità dei mercati finanziari, i quali, barcollando sul filo del rasoio come durante le crisi precedenti, si convertono al keynesianesimo, invocano i poteri e i fondi pubblici per salvarsi, per poi guardarli con orrore e disprezzo non appena non ne hanno più bisogno?
Le nostre società hanno raggiunto un tale grado di decadenza da delegare al settore finanziario i doveri più elementari nei confronti dei cittadini in difficoltà. Per esempio, Goldman Sachs ha investito diversi milioni di dollari nelle carceri dello Stato di New York, con le seguenti prospettive: recuperare l’investimento se la recidiva diminuisce del 10%, raddoppiarlo se questo tasso migliora, perdere metà dell’investimento se la criminalità non migliora a New York!
Eppure, quasi tutti gli economisti, la stampa e i leader europei restano convinti che il keynesismo sia una forma di collettivismo.
I vostri politici vi hanno spiegato che la politica monetaria (cioè la Banca Centrale) e la politica fiscale/di bilancio sono entrambe fattori di stabilizzazione dell’economia? Lo sanno almeno?
In ogni caso, l’obiettivo dei neokeynesiani è ridurre i rischi e mantenere la fiducia:
-senza mettere in discussione la struttura dell’edificio economico e sociale,
-senza ridistribuzione vessatoria,
-senza eccesso di regolamentazione.
Ma, utilizzando la leva dei tassi di interesse della Banca Centrale, aumentandoli per rallentare l’economia ed evitare il surriscaldamento, e viceversa. La banca centrale, con la sua politica monetaria, permette di frenare le recessioni ed evita appunto un eccessivo coinvolgimento dello Stato.
Il neokeynesianesimo è un’alternativa a uno Stato che sarebbe costretto a esercitare una presa invasiva sull’economia. Permette a uno Stato indebitato di respirare, in attesa che la sua Banca Centrale rilanci l’economia attraverso la sua politica monetaria, che può fare miracoli. Chi ne dubita basta che guardi all’attivismo della Federal Reserve statunitense, a cui l’economia del Paese deve una parte sostanziale del suo dinamismo.
La Francia non deve cedere all’ossessione, spesso al ricatto, dei numeri. La Francia deve domare il suo deficit pubblico perché i nostri governanti hanno l’obbligo morale di rilanciare definitivamente la crescita, il potere d’acquisto e l’occupazione. Il nostro sistema ha bisogno di una profonda revisione perché dobbiamo ripensare collettivamente l’azione e la spesa pubblica, il ruolo delle tasse e lo scopo del denaro. La Francia ha tutte le carte in regola per convincere i suoi partner europei a seguire una strada diversa.
Il sollievo di una popolazione ferita, la lotta alla precarietà e il ripristino dell’occupazione non valgono forse un deficit?
Già negli anni ’30 Keynes suggeriva agli Stati di fermare la crisi, di ungere gli ingranaggi, impiegando i disoccupati a scavare buche per seppellire le banconote… Ma non fu ascoltato e la Grande Depressione fu superata solo grazie alla Seconda Guerra Mondiale.
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