“Regnum Chinae: le mappe stampate in occidente per rappresentare la Cina” monumentale opera di Marco Caboara

“Regnum Chinae: le mappe stampate in occidente per rappresentare la Cina” monumentale opera di Marco Caboara

 

Articolo di Juan José Morales

La pubblicazione del “Regnum Chinae di Marco Caboara: Le mappe occidentali stampate della Cina fino al 1735″ è un evento da celebrare. Finalmente, ogni mappa della Cina stampata in Europa – dalla prima mappa di Ortelius, del 1584, alla mappa di riferimento di Jean-Baptiste d’Anville del 1735 – è stata registrata e referenziata in un’unica fonte.

Non si tratta solo di una conquista carto-bibliografica – per quanto sia importante che gli studenti di cartografia e gli appassionati di mappe siano in grado di identificare e datare qualsiasi mappa stampata di quel periodo fondamentale – ma anche per il modo in cui tale catalogazione è stata realizzata, con lo sfondo storico e il contesto, per i saggi aggiuntivi e, non da ultimo, per le generose illustrazioni a colori che sembrano accompagnare ogni argomento, questo libro ha implicazioni di vasta portata. Si lascia alle spalle una conoscenza dispersa e frammentata, sostenuta tenuamente da pochi studiosi, o basata sul sentito dire e sulla tradizione dei collezionisti di mappe.

È significativo che Regnum Chinae sia il frutto di un progetto di ricerca intrapreso dall’Università di Scienza e Tecnologia di Hong Kong (HKUST), la cui biblioteca ospita una delle più notevoli collezioni di mappe della Cina al mondo; l’autore, Marco Caboara, che è il responsabile delle Collezioni Speciali, ha portato la tradizione di gestione dell’istituzione a nuovi livelli, dove le nuove conoscenze hanno costantemente integrato una collezione in crescita. Poco è stato scritto sulle mappe della Cina, l’unico precedente in inglese è China in European Maps, pubblicato vent’anni fa proprio da questa prestigiosa università grazie alla sua prima bibliotecaria Min-min Chang.

Questa grande opera è il risultato di un lavoro collettivo; oltre al suo dipartimento, Caboara ha contato sulla collaborazione del team di ricerca Explokart dell’Università di Amsterdam; le illustrazioni delle mappe provengono principalmente da queste due fonti, in primo luogo la Biblioteca HKUST e in secondo luogo la Allard Pierson (Collezioni Speciali) dell’Università di Amsterdam, e sono completate da altre fonti. L’editore, Brill, non ha risparmiato alcuno sforzo per portare a termine questo ambizioso progetto, che si riflette, tra l’altro, nella ricchezza delle illustrazioni mostrate, indipendentemente dalla fonte.

Le mappe sono tra i documenti più importanti del passato.

Le mappe qui catalogate sono quelle che descrivono la Cina come unità geografica e politica e di solito sono intitolate come tali – “Cina” – non come parte di un continente o di un’area geografica più ampia; sono stampate in un libro o in un atlante, come di solito accadeva, anche come parte del un frontespizio, o nei rari casi in cui erano stampate in un foglio separato; indipendentemente dal fatto che la mappa fosse grande o piccola, tascabile, o persino parte di un mazzo di carte dove, curiosamente, la Cina sarebbe stata il re di cuori.

La ricerca ha permesso di scoprire 127 diverse mappe stampate nel periodo di 150 anni, con la gradita scoperta di alcune precedentemente sconosciute. Organizzata cronologicamente, ogni mappa è sistematicamente presentata e referenziata con la storia della pubblicazione e delle edizioni, le biblioteche pubbliche in cui è possibile trovarla e la bibliografia. Per la gioia dei lettori più esigenti, è stato identificato anche ogni stato (la versione e le modifiche che accompagnano la lastra di rame della mappa originale), spiegato in dettaglio, con illustrazioni ravvicinate che indicano i cambiamenti.

Lungi dall’essere aride, le voci sono arricchite dalle storie che hanno reso possibili queste visioni di un altro mondo, “storie segnate da scoperte accademiche, ossessione, zelo missionario, sagacia commerciale e avidità”.

La classificazione e la catalogazione sistematica valorizzano le informazioni quasi esaustive. Nell’introduzione, Caboara offre una guida alla “famiglia delle mappe”, che rivela la genealogia di ogni mappa identificando i modelli di Ortelius, Hondius, Purchas, Blaeu, Sanson, Martini, eccetera, ai quali la maggior parte delle mappe può essere collegata.

Le mappe sono arrivate a ondate.

È illuminante, come dice Caboara, come queste mappe siano apparse, non “lentamente e progressivamente, seguendo la graduale espansione dei contatti commerciali e missionari occidentali; piuttosto, sono arrivate a ondate”. La prima ondata si verificò nel 1580-1590, in seguito all’unificazione del Portogallo e della Spagna sotto Filippo II, che pose fine alla cartografia come ‘scienza segreta’ per gli iberici; sfruttò le conoscenze precoci ma crescenti dei gesuiti e diede il via all’iconica prima mappa stampata della Cina di Ortelius.

Una seconda ondata (1640-1650) fu segnata dalla caduta della dinastia Ming “e dal viaggio di ritorno in Europa di missionari gesuiti come Martino Martini e Michael Boym, che portarono con sé mappe cinesi che tradussero in latino e convertirono in mappe occidentali”. La mappa di Martini del 1655 divenne per 80 anni “l’immagine cartografica più ristampata e affidabile della Cina”. E una terza ondata, negli anni ’30 del XVII secolo, epitomata dalla mappa di d’Anville pubblicata a Parigi, risultato di due decenni di collaborazione tra i gesuiti e i cartografi della dinastia Qing negli atlanti di rilevamento cinesi.

Da questo catalogo emerge una conclusione primaria: il ruolo da protagonista dei Gesuiti nella mappatura della Cina. Essi appaiono come formidabili catalizzatori per la loro determinazione, abilità e imprenditorialità, ma Caboara evidenzia anche qualcos’altro. Ci furono gesuiti come Martini e il versatile Athanasius Kircher che cercarono di pubblicare ad Amsterdam, una roccaforte protestante, consapevoli della qualità superiore della stampa e dell’impareggiabile rete di distribuzione di questa città, iniziando così a colmare il divario religioso in Europa. Pionieri dell’incontro culturale Cina-Occidente, i gesuiti furono, inoltre, gli illuminati non celebrati prima dell’Illuminismo.

Quando i missionari cristiani portarono in Cina il nuovo ‘sapere occidentale’ alla fine dei Ming, furono l’astronomia e la cartografia ad essere accolte con maggiore entusiasmo dagli studiosi cinesi, una conoscenza ‘straniera’ che sfidava la visione del mondo cinese. Tuttavia, in queste mappe occidentali stampate della Cina vediamo il contrario, l’influenza della cartografia cinese. Cosa sono queste mappe e come sono nate? Le risposte risiedono in una miscela unica di visioni cinesi e occidentali, frutto di un’esperienza condivisa che sfida le visioni sia eurocentriche che sinocentriche.

Chiarire l’influenza cinese in generale e per ogni mappa è uno dei principali contributi di questo libro. C’era un tipo di mappa presente fin dalla dinastia Song, “spesso meno focalizzata sull’accuratezza e sulla scala e più sulla relazione tra la Cina e i popoli e i Paesi stranieri, così come sulla rappresentazione dei diversi strati della struttura amministrativa del regno”. Li Xiaocong chiama tali mappe zongtu qui tradotte come “mappe dell’intero regno”. Caboara prosegue fornendo una definizione appropriata per queste mappe stampate europee della Cina.

Le mappe della Cina sono in un certo senso la creazione dell’incontro tra le “mappe dell’intero regno” cinesi e le convenzioni cartografiche dell’epoca degli atlanti, iniziate da Ortelius nel 1584. Queste convenzioni associavano una pagina intera con una mappa a una o più pagine di testo che coprivano il Paese secondo fonti che andavano dagli autori dell’antichità classica ai missionari e viaggiatori medievali e infine ai mercanti, navigatori e amministratori portoghesi e spagnoli.

Non del tutto pratici, i contenuti delle mappe stesse sono di solito scarni, alcuni ricorrenti. La Grande Muraglia “che divide la Cina dalla Grande Tartaria” è raffigurata in molte mappe antiche, ma in seguito, sotto ai Manciù, sarebbe stata contrassegnata da iscrizioni come “inutile” o “costruita invano”, per poi disperdersi e cessare di apparire. Anche la Stele Nestoriana nello Shaanxi è evidenziata in alcune mappe come tributo alla presenza dei primi cristiani, così come la piccola isola di Shangchuan, vicino a Macao, menzionata perché vi morì San Francesco Saverio.

Le storie relative a ciascuna mappa sono così interessanti da rendere quest’opera altamente accademica un vero e proprio “page turner”. Le storie più esemplificative sono quelle che stanno dietro alla prima mappa di Ortelius, inclusa nel suo Theatrum Orbis Terrarum del 1584. È noto che questa mappa si basava su un manoscritto del gesuita portoghese Ludovico Giorgio o Luiz Jorge de Barbuda redatto per volere di Filippo II, allora re di Spagna e Portogallo. L’eminente studioso Benito Arias Montano aveva portato il manoscritto al suo amico e cartografo reale Ortelius ad Anversa. Ma Caboara indica altre fonti. Arias Montano aveva cercato di ottenere un’altra mappa dall’orientalista e matematico Giovanni Battista Raimondi.

In modo notevole, e questo sarà una sorpresa per molti, viene sottolineato che la mappa di Ortelius mostra una certa somiglianza con due globi terrestri esistenti nelle biblioteche italiane attribuibili a Matteo Neroni, che aveva lavorato per Raimondi.

Regnum Chinae è un capolavoro di erudizione e un tributo a quei cartografi, editori, stampatori, commercianti di libri e a coloro che trasmettevano e passavano informazioni.

Alcuni prestigiosi specialisti contribuiscono con saggi che completano il catalogo in modo critico: Li Xiaocong ripercorre la storia della cartografia cinese, le sue influenze che si estendono alla Corea e al Giappone, e i primi scambi con l’Europa, un argomento raramente trattato nei libri in lingua europea; Angelo Cattaneo rivisita le prime mappe europee disegnate a mano dell’Asia orientale e della Cina, inquadrate nei primi scambi tra i due continenti; Marica Milanesi sui predecessori di Ortelio; Francisco Roque de Oliveira e Jin Guoping sulla rappresentazione della costa della Cina meridionale; Lin Hong e Mario Cams, sui contributi più importanti dei Gesuiti, da Ruggieri a d’Anville; infine, Emanuele Raini fa luce sugli sconcertanti nomi di luogo e sui sistemi di trascrizione.

I temi e le intuizioni che emergono da questi saggi sono profondi e numerosi. Una di queste riflessioni è la scarsità di conoscenze sulla Cina all’epoca, e come l’immagine della Cina sia stata messa a fuoco per il pubblico europeo, piuttosto tardi. Sembra, ad esempio, che le prime mappe portoghesi della regione – oggetti d’arte a sé stanti – non si siano sviluppate con la Cina come obiettivo principale, ma con le relazioni con Malacca da un lato e con il Giappone dal 1540 dall’altro.

I commenti di ampio respiro di Cattaneo riguardano i legami attraverso i viaggi e il commercio tra l’oikumene greco-romano “mondo civilizzato” e il tianxia cinese “tutto sotto il cielo”. Egli sottolinea come il mappamondo di Fra Mauro (1459) rifletta un mondo più antico, reso possibile dalla Pax Mongolica e dalla “civiltà mongolo-cinese della dinastia Yuan”:

“È importante sottolineare che per Fra Mauro, così come per i cartografi maiorchini Jafuda e Abraham Cresques, il Catai e Mangi [la Cina di Marco Polo] non costituivano un’estensione in longitudine dell’antico oikumene, ma piuttosto un aggiornamento di territori che, svaniti nell’oscurità dopo Alessandro Magno, erano diventati più noti in tempi recenti”.

Anche il nome ‘Cina’ è una costruzione successiva. Le prime mappe dell’Asia orientale riportavano i nomi Cathai e Mangi di Marco Polo. Nel 1545, le mappe stampate di geografi famosi come Ramusio sovrapponevano Cina e Messico come se fossero lo stesso luogo, mentre il fiume Canton era ancora confuso con il Gange fino al 1570, persino da Mercator. L’antico enigma fu risolto alla fine del 1570 grazie alle osservazioni di Martin de Rada, il primo a concludere che il Catai di Marco Polo e la Cina erano la stessa cosa.

Le mappe sono tra i documenti più importanti sopravvissuti dal passato, perché seguono e riflettono gli sviluppi storici. All’inizio degli anni ’30 del secolo scorso, lo scambio di informazioni attraverso le reti da Pechino a Parigi e San Pietroburgo portò a raffigurare una Cina dai confini molto estesi – verso il Tibet, la Mongolia, lo Xinjiang – confini che in gran parte rimangono ancora oggi: mentre gli imperatori Qing – Kangxi, Yonhgzheng, Qianlong – potenti come Pietro il Grande o Luigi XIV, governavano su una nuova Cina, “una nuova forza con cui fare i conti”.

Regnum Chinae è un capolavoro di erudizione e un tributo a quei cartografi, editori, stampatori, commercianti di libri e a coloro che hanno trasmesso informazioni. Quando si parla della mappa di Vincenzo Coronelli del 1688 e delle sue versioni in diverse lingue europee, il riferimento alla libreria sopra il Ponte di Rialto di Venezia dove venivano vendute le mappe (e alle aspre dispute legali tra Padoani, il libraio, e Coronelli) evoca un punto di osservazione che presiede un mondo di relazioni tra queste persone e i paralleli nelle loro opere. Caboara si era prefissato uno scopo fin dall’inizio: quello di mettere a nudo le connessioni tra la Cina e l’Europa e tra le varie città principali e altri centri all’interno dell’Europa, un obiettivo che ha realizzato in modo eccellente. L’entusiasmo per tale connettività è immediatamente evidente, sia per chi ha realizzato e pubblicato queste mappe della Cina come progetto paneuropeo, sia per il pubblico che queste mappe hanno raggiunto.

Queste mappe erano destinate a un pubblico sempre più vasto: gli atlanti e le mappe alimentavano le ricerche perenni della letteratura di viaggio, della geografia e della storia del mondo, e accendevano l’immaginazione dei lettori. Questo compendio ripropone queste antiche ricerche. In tutti i suoi risultati, il Regnum Chinae è una pietra miliare sia negli studi cartografici che nelle prime relazioni storiche tra la Cina e l’Occidente, un campo che illumina le relazioni sino-occidentali oggi, appartiene a tutte le biblioteche pubbliche e merita il più ampio pubblico di lettori.

 

Juan José Morales è coautore di Painter and Patron: The Maritime Silk Road in the Códice Casanatense (Abbreviated Books, 2020) e di The Silver Way: China, Spanish America and the Birth of Globalisation, 1565-1815 (Penguin, 2017).