I libri di Napoleone

I libri di Napoleone

Kindle di Napoleone

 

Durante la sua prima campagna in Germania Napoleone vide un uomo alto, con il cappello in mano, fuori dalla tenda dove tenevano un consiglio di guerra. Erano nei pressi di Weimar, Napoleone gli andò incontro, ed esclamò: “Ecco un uomo!”. Lo aveva riconosciuto: era Wolfang Goethe, l’autore del best seller “I dolori del giovane Werther”.

Napoleone era un grande lettore di libri di ogni genere, ed ebbe a dire che avrebbe scambiato le sue più splendide vittorie per un libro da lui scritto, che avesse lasciato il segno nel mondo delle lettere. Alla fine ci riuscì comunque, una sera, a Sant’Elena, guardando il sole che tramontava sull’Oceano disse con un sospiro: “Ah, che grande romanzo è stata la mia vita”.

“Molti biografi di Napoleone hanno menzionato incidentalmente che era solito portare con sé un gran numero di libri preferiti, ovunque egli andasse, sia in viaggio che durante le campagne militari”. Si legge in un articolo del Sacramento Daily Union del 1885 pubblicato da Austin Kleon, “ma non è generalmente noto che egli fece diversi progetti per la costruzione di biblioteche portatili che avrebbero dovuto far parte del suo bagaglio”. La fonte principale dell’articolo, un bibliotecario del Louvre, figlio di uno dei bibliotecari di Napoleone, ricorda dai racconti del padre che “per molto tempo Napoleone aveva l’abitudine di portare con sé i libri che gli servivano in diverse scatole che contenevano circa sessanta volumi ciascuna”, ogni scatola, inizialmente, era fatta di mogano e successivamente di quercia, più solida e poi rivestita di pelle. “L’interno era foderato di pelle verde o di velluto e i libri erano rilegati in marocchino, con i titoli d’oro”, una pelle ancora più morbida e spesso utilizzata per la rilegatura.

Per utilizzare questa prima biblioteca itinerante, Napoleone fece compilare ai suoi assistenti “un catalogo per ogni cassa, con un numero corrispondente su ogni volume, in modo che non ci fosse mai un attimo di ritardo nello scegliere il libro desiderato”. Questo sistema funzionò abbastanza bene per un po’, ma alla fine “Napoleone si accorse che molti libri che voleva consultare non erano inclusi nella collezione, per ovvie ragioni di spazio. Così, l’8 luglio 1803, inviò al suo bibliotecario questi ordini:

L’Imperatore desidera che tu costituisca una biblioteca itinerante di mille volumi in piccolo formato, ovvero in 12mo, stampati in bei caratteri. È intenzione di Sua Maestà far stampare queste opere per il suo uso personale e, per risparmiare spazio, non ci devono essere margini. Dovrebbero contenere dalle cinquecento alle seicento pagine ciascuno ed essere rilegate con copertine il più possibile flessibili. Dovrebbero esserci quaranta opere sulla religione, quaranta opere drammatiche, quaranta volumi di poesia epica e sessanta di altre poesie, cento romanzi e sessanta volumi di storia, il resto saranno memorie storiche per ogni periodo”.

Insomma, non solo Napoleone possedeva una biblioteca itinerante, ma quando questa si rivelò troppo ingombrante per le sue numerose e variegate esigenze letterarie, fece realizzare una serie di custodie per libri, ancora più portatili.

Questo prefigurava in modo molto analogico il concetto dell’era digitale di ricreare i libri in un altro formato appositamente per la compattezza e convenienza – il tipo di compattezza e convenienza che oggi è sempre più disponibile per tutti noi (pensiamo a Kindle) e che Napoleone non avrebbe mai potuto immaginare, né tanto meno richiedere.

Angelo Paratico

210 anni fa la battaglia della Beresina, molti veneti, lombardi e napoletani fra i combattenti

210 anni fa la battaglia della Beresina, molti veneti, lombardi e napoletani fra i combattenti

La divisione della Guardia Reale partì da Milano il 18 febbraio 1812, e traversò il Tirolo, la Baviera, e la Sassonia, giunse il 17 aprile a Goldberg, una delle città della Slesia Prussiana. Fu seguita dalla divisione Pino composta totalmente d’italiani, quindi dalle divisioni Broussiers, e Delsons, (alimentate sempre, durante il loro lungo soggiorno in Italia, dai dipartimenti italiani aggregati alla Francia) e finalmente dai reggimenti di cavalleria della guardia comandati dai colonnelli Narboni, e Marranesi, e dalla brigata di cavalleria leggera, sotto agli ordini del general Villata. Tutte queste truppe compresi i cannonieri, gl’ingegneri, i servizi riuniti ecc. formarono il contingente italiano, il quale si recò pure nella Slesia Prussiana componendo un solo corpo sotto agli ordini del duca d’Abrantes. Un ordine dello stato maggior generale li informò che l’armata d’Italia aveva preso il nome di 4° corpo, e riunita a Glogau sull’Oder, fu capitanata dal viceré d’Italia, Eugenio, si diresse alla Vistola. Li raggiunse lì l’ordine di Napoleone che comandava di entrare in Russia e marciare su Mosca.

Fra questi italiani c’era anche un giovane, Francesco Benedetti, originario di Ceredo, una frazione di Sant’Anna d’Alfaedo, in Lessinia. Vi era nato nel 1795, e per mettere insieme pasto e cena decise di arruolarsi nell’esercito francese. Si unì nel 1812 alle truppe napoleoniche che dal Veneto marciavano verso la Russia. Dopo la Moscova era entrato in  una Mosca in fiamme. Infine, durante la ritirata si trovò a combattere la battaglia della Beresina, affluente di destra del Dnepr, tra la Grande Armata di Napoleone e l’esercito dell’impero russo, tra il 26 e il 29 novembre 1812. Ritornato, dopo diverse peripezie, nella sua Ceredo, anche se non sollecitato, continuò a raccontare gli orrori di quella campagna. Raccontava di essersi protetto dal freddo sventrando un cavallo ed essergli entrato nella pancia! Forse per questo, nel tempo «Bresini» sono chiamati, ancor oggi, i suoi discendenti di Ceredo.

Durante la ritirata, la temperatura durante il giorno, variava dai venticinque ai trenta gradi sottozero, eppure i pontieri francesi riuscirono a costruire un ponte, tuffandosi, con i corpi spalmati di grasso di foca, nelle acque ghiacciate del fiume e quando uno di loro moriva, veniva trascinato via dalla corrente, ma subito un suo sostituto si tuffava a prendere il suo posto, per pochi minuti, prima di esalare l’anima. Si sacrificarono per permettere a Napoleone e al loro esercito di ritirarsi, sfuggendo alla trappola tesa da Kutuzov. Napoleone, dopo aver fatto traversare quel che restava del suo esercito, ordinò la distruzione del ponte, lasciandosi dietro migliaia di uomini, donne e bambini, perlopiù francesi.

Gli italiani furono molti, 45.000 (meno di un terzo tornarono indietro) su un corpo di spedizione di mezzo milioni di armati: c’erano napoletani, toscani e molti lombardo-veneti.

Il Corpo d’armata italiano era composto dalla 13°, 14° e 15° divisione di fanteria, della Guardia Reale Italiana e della Cavalleria.  Questo includeva 54 battaglioni di fanteria, 15 compagnie del reggimento artiglieria, 20 squadroni, 5 compagnie di cavalleria, 8 batterie di artiglieria, 4 unità di servizi, 4 compagnie del genio, una compagnia di marinai e un reparto carreggiato. In totale, il Corpo d’armata contava 45.300 uomini (di cui 1.447 ufficiali), circa 9.500 cavalli e 116 cannoni.  Inoltre, molti italiani facevano parte del 111°  Reggimento Piemonte e del 113° Reggimento Toscana di  fanteria di linea. Dell’esercito napoleonico facevano parte anche 9000 soldati elvetici, arruolati in base a un trattato imposto dalla Francia alla Svizzera. Ne sopravvissero 400.

La battaglia della Beresina, nell’odierna Bielorussia, ebbe luogo dal 26 al 29 novembre 1812, tra la Grande Armée di Napoleone e l’esercito imperiale russo guidato dal feldmaresciallo Wittgenstein e dall’ammiraglio Chichagov. Napoleone si stava ritirando verso la Polonia, nel caos dopo l’occupazione interrotta di Mosca e stava cercando di attraversare il fiume Berezina a Borisov. L’esito della battaglia fu inconcludente poiché, nonostante le pesanti perdite, Napoleone riuscì ad attraversare il fiume e a continuare la ritirata con i resti superstiti del suo esercito.

Napoleone aveva combattuto per uscire dalla Russia nelle battaglie di Maloyaroslavets, Vyazma e Krasnoi. Il suo piano prevedeva di attraversare il fiume Berezina a Borisov, nella Russia occidentale, per ricongiungersi con l’alleato austriaco, il feldmaresciallo Schwarzenberg, a Minsk. Mentre il nucleo centrale della Grande Armée di Napoleone marciava verso Borisov, tuttavia, le truppe russe sostenute dai cosacchi si mossero per bloccare le sue forze malconce, ridotte a 49.000 uomini sotto le armi e 40.000 sbandati. Il 21 novembre, i russi attaccarono e catturarono la guarnigione francese a Borisov, compreso il ponte sulla Berezina. Una forza avanzata francese tentò di riconquistare Borisov il 23 novembre, ma i russi distrussero il ponte e rimasero in controllo della riva occidentale. A nord, il feldmaresciallo russo Wittgenstein e un’armata di 30.000 uomini seguirono Napoleone mentre si muoveva verso ovest. Da Minsk, a ovest, l’ammiraglio russo Chichagov e un’armata di 35.000 uomini avanzarono verso Borisov. E a inseguire l’esercito di Napoleone da est c’era il generale russo Miloradovich, con una forza di altri 32.000 soldati.

Fortunatamente, il comandante dei costruttori di ponti, il generale Jean Baptiste Eblé, aveva disobbedito ai precedenti ordini di Napoleone, impartiti durante la ritirata, di distruggere le attrezzature, le fucine e gli strumenti necessari per la costruzione dei ponti. Per distogliere l’attenzione dei russi dalle vicinanze dell’attraversamento, furono intrapresi numerosi diversivi. Il 25 novembre, la costruzione del ponte iniziò a Studienka, nonostante si osservassero numerosi falò delle forze dell’ammiraglio Chichagov al di là del fiume, a Brili.

I movimenti del corpo d’armata del generale francese Nicolas Oudinot e le numerose voci fecero credere ai russi che Napoleone avrebbe attaccato a Borisov e tentato di riparare il ponte, oppure avrebbe condotto le sue truppe a sud di Borisov e attraversato la Berezina a valle. Di conseguenza, Chichagov decise di spostare il corpo principale delle sue forze a sud di Borisov, a Szabaszeviki, in modo da poter sorvegliare e pattugliare un tratto di 90 chilometri del fiume Berezina. Al generale russo Tshaplitz e alla sua forza di circa 3.000 uomini accampata a Brili fu ordinato di spostarsi di 15 chilometri a sud per sostenere le forze russe a Borisov. Di conseguenza, la mattina del 26 novembre, i francesi scoprirono che i russi avevano abbandonato il loro campo sulla riva occidentale. Quaranta soldati della cavalleria francese attraversarono il fiume e protessero la traversata di 400 uomini in barca. Questa piccola forza mise poi in sicurezza la sponda occidentale, in modo che i ponti potessero essere completati. Nel frattempo, nessuna delle forze russe che inseguivano Napoleone dalle retrovie era molto aggressiva ed entrambe rimasero a distanze considerevoli a nord e a ovest del fiume Berezina mentre i francesi gettavano i ponti. Questo fiume era largo 20-30 metri e pieno di ghiaccio alla deriva, ma le sue sponde sono paludose, rendendo l’attraversamento dello stesso estremamente difficile.

Nella notte tra il 26 e il 27 novembre, il generale russo Chaplitz si accorse dell’attraversamento francese, consolidò le forze e tentò di tornare a Brili per intercettare i francesi. Le forze di Tshaplitz, tuttavia, furono fermate ben a sud di Brili dai battaglioni di Oudinot. Sempre il 27, Chichagov iniziò a spostare la parte principale della sua armata verso Borisov quando divenne evidente che non c’erano attività francesi a valle. Chichagov, tuttavia, scelse di non muoversi immediatamente verso nord, verso Brili, in quanto i suoi uomini erano ancora in transito e non completamente assemblati.

A mezzogiorno del 27, Napoleone e la sua Guardia Imperiale passarono. Una delle campate si ruppe nel tardo pomeriggio, ma gli ingegneri la ripararono entro la prima serata. I corpi del maresciallo Davout e del principe Eugenio, con i suoi italiani, riuscirono ad passare prima della fine della giornata. L’ultima unità sulla riva orientale, il IX Corpo del maresciallo Victor, ricevette l’ordine di difendersi dall’avvicinamento di Wittgenstein, che aveva raggiunto Borisov. Nell’ambito di questa operazione, la 12ª Divisione del IX Corpo del generale francese Louis Partouneaux subì una grave sconfitta, arrendendosi con oltre 8.000 uomini quando fu travolta da Wittgenstein a Staroi-Borisov.

Il 28 novembre, i russi coordinarono i loro sforzi e attaccarono la Grande Armée di Napoleone su entrambe le sponde del fiume. Sulla sponda occidentale, Tshaplitz, rinforzato con altra fanteria, attaccò le posizioni avanzate francesi e iniziò a spingere Oudinot verso Brili. Il generale francese Ney prese il comando quando Oudinot fu ferito e l’avanzata russa fu fermata. Venticinquemila uomini ingaggiarono uno scontro a fuoco che durò tutta la notte. Alla fine, il generale francese Doumerc guidò una carica di cavalleria dei corazzieri costringendo i russi a indietreggiare e ponendo fine alla battaglia per quel giorno. Sulla riva orientale del fiume, Wittgenstein attaccò il IX Corpo di Victor alle 5 del mattino. I francesi furono respinti in un combattimento che durò otto ore. Alle 13, i russi raggiunsero una posizione che permise loro di affiancare i francesi e di far piovere cannonate sui ponti. Il bombardamento dell’artiglieria cadde in gran parte sui soldati sbandati, provocando un’ondata di persone che si precipitavano verso i ponti o si gettavano nel freddo fiume nel tentativo di raggiungere a nuoto l’altra sponda. I combattimenti e i bombardamenti durarono per circa quattro ore, quando gli ingegneri del ponte iniziarono a lavorare per liberare un percorso che permettesse al IX Corpo di Victor di attraversare il fiume.

Alle 22 circa di quella sera, il IX Corpo di Victor effettuò l’attraversamento e tre ore dopo i ponti erano liberi dalle truppe armate di Napoleone. I ponti erano quindi a disposizione dei soldati sbandati; tuttavia, nonostante gli incoraggiamenti, la maggior parte di coloro che avevano lottato così duramente per attraversare il fiume durante il bombardamento preferirono accendere i loro falò e passare la notte sulla riva orientale. Il mattino seguente, il comandante degli ingegneri, il generale Eblé, ebbe l’ordine di Napoleone di bruciare i ponti alle 7. Eblé ritardò l’esecuzione dell’ordine fino alle 8:30, quando decine di migliaia di soldati sbandati e i loro compagni civili furono lasciati indietro.

Il risultato immediato della battaglia di Berezina fu semplice: la ritirata francese proseguì, l’esercito russo la seguì.  In effetti, nonostante le enormi perdite, Napoleone era in grado di rivendicare una vittoria strategica, avendo strappato ciò che restava del suo esercito a una catastrofe apparentemente inevitabile. Per il resto della ritirata non ci sarebbero stati grandi scontri militari, anche se le incessanti vessazioni dei cosacchi russi e le condizioni atmosferiche continuarono a pesare sui membri superstiti dell’esercito francese.

Le perdite erano state straordinarie. Si stima che 20-30.000 combattenti francesi siano rimasti vittime. Al numero dei caduti in azione vanno aggiunti probabilmente 30.000 non combattenti. La Guardia, che non era entrata affatto in azione, perse circa 1.500 uomini su 3.500. Molto, tuttavia, era stato salvato. Napoleone, i suoi generali, 200 cannoni, il forziere di guerra, gran parte del bagaglio e migliaia di ufficiali e soldati veterani erano fuggiti. Complessivamente, si salvarono circa 40.000 membri dell’esercito napoleonico. Senza questo nucleo di uomini esperti, Napoleone non avrebbe potuto ricostruire le sue armate per le battaglie della Guerra della Sesta Coalizione.

Dei 612.000 uomini (compresi i rinforzi) che erano entrati in Russia, ne rimanevano non più di 110.000. Le perdite russe furono di circa 250.000 uomini.