Una cara amica mi ricorda le gravi responsabilità europee nel caos del Medio Oriente, responsabilità che, a suo parere, datano dal tempo delle crociate. Le rispondo che sono d’accordo con lei, infatti commettemmo eccessi e crudeltà e poi aggiungo che, forse, nel caso nostro ci muovemmo più per avidità che per zelo religioso. Ma fu davvero così? Poi dopo aver meditato sulle mie stesse parole e tolto la polvere a certi libri che da anni non aprivo, debbo ammettere che la mia visione della realtà è stata distorta. Credo che le crociate altro non furono che un tentativo di difendere noi stessi e il nostro mondo da un aggressore feroce e spietato che andò vicino, nel corso dei secoli, a sottometterci alle sue leggi e alla sua religione.
Possiamo dire che fu solo grazie alla intelligenza, al coraggio e alla forza d’animo di un uomo se oggi l’Europa non è musulmana, quell’uomo fu Carlo Martello (686 – 741), camerlengo di palazzo, che riuscì a unire e a organizzare i franchi e i burgundi, bloccando l’avanzata islamica nel cuore dell’Europa.
La battaglia che – come quella di Maratona, nel 490 a.C. – decise del corso della storia europea fu combattuta fra Tours e Poitiers, proprio dove, nel 451, il generale romano Flavio Ezio, fermò gli Unni di Attila.
Ecco ciò che scrisse il grande storico Edward Gibbon: “Una linea di vittorie lunga mille miglia venne tirata da Gibilterra alla Loira. Una ripetizione di simili vittorie avrebbe portato i saraceni ai confini della Polonia e agli altopiani della Scozia; infatti il Reno non è inguadabile più del Nilo e dell’Eufrate e la flotta Araba avrebbe potuto navigare incontrastata sino alla foce del Tamigi. Forse l’interpretazione del Corano sarebbe oggi materia d’insegnamento nelle scuole di Oxford e gli alunni spiegherebbero a un gregge di circoncisi la santità della verità e della rivelazione di Maometto. Da tali calamità il mondo cristiano fu salvato dal genio e dalla fortuna di un solo uomo. Carlo, il figlio illegittimo di Pipino il vecchio…”.
Gli arabi sbarcarono a Gibilterra nel 711 e si dice che il loro generale, Tariq Bin Ziyad, diede ordine di bruciare la flotta per far capire ai propri uomini che intendeva conquistare o morire. Dopo aver soggiogato la Spagna e sconfitto i visigoti, un’armata di cavalieri arabi e berberi comandati da Abdul Rahman Al Ghafiri, governatore del Al-Andalus assediò Tolosa e poi mise al sacco Bordeaux, muovendosi verso Tours, la Città Santa dei Galli. Dopo aver riunificato la parte a nord dell’attuale Francia, Carlo Martello li affrontò il 25 ottobre 732.
L’armata del califfato islamico era perlopiù composta da cavalleria, circa 80.000 armati, mentre i franchi erano solo 30.000 ma tutti soldati di professione grazie alla preparazione di Carlo, che aveva trasformato un’orda di contadini – che ritornavano ai campi una volta terminata una guerra – in un esercito di professionisti: una fatto non più visto dai tempi di Roma.
Per poterli mantenere e pagare, Carlo espropriò i beni della chiesa francese. Un’altra sua grossa innovazione fu l’introduzione delle staffe per i cavalieri, anche se la sua armata era perlopiù composta da fanteria pesante.
Abbiamo vari resoconti, sia da parte araba che cristiana, che descrivono quello storico scontro avvenuto fra Tours e Poitiers. Gli invasori non conoscevano i franchi, anche se sapevano che erano numerosi e abili ma pensavano che davanti agli zoccoli dei loro cavalli se la sarebbero data a gambe, come facevano tutti i loro nemici. Carlo, invece, li conosceva bene, come pure le loro tattiche. Era informato del loro assedio a Bisanzio del 717-718 e dunque non li sottovalutava affatto. Un primo assedio musulmano a Bisanzio era stato posto nel 668, determinato dal fatto che Maometto (570?-632) aveva promesso un’indulgenza plenaria a chi avrebbe preso la città dei cesari. Questa sua promessa vien spesso ripetuta anche oggi, ma per il Profeta la città dei cesari era quella che oggi conosciamo come Istanbul, e che fu nota come Costantinopoli, Bisanzio e Romania, e che fu conquistata da Maometto II nel 1453, non la nostra Roma.
Le due armate si schierano l’una di fronte all’altra, ma franchi e burgundi ben conoscevano il terreno e s’attestarono su di un colle dove oggi sorge il villaggio di Moussais-la-Bataille. Per cinque o sei giorni si squadrano, senza muoversi. Carlo proibì ai suoi uomini d’attaccare: dovevano restare uniti formando dei quadrati, stare dietro ai loro scudi e tenendo le lance pronte e tagliare il ventre dei cavalli arabi che li avrebbero attaccati. Per loro fortuna gli arabi non usavano archi sofisticati, altrimenti sarebbero stati massacrati, come successe ai romani, a Carre con Crasso, nel 53 a.C.
Impaziente d’uscire da quella impasse, Abn al-Rahman ordinò un attacco frontale con la cavalleria ma il muro dei franchi non si spezzò. Gli scudi si aprivano e dai varchi uscivano dei guerrieri che lanciavano le loro francische (asce bipenni) e poi rientravano nei ranghi. Lo stesso comandante dei saraceni perì nell’assalto.
Con il sopraggiungere dell’oscurità la battaglia cessò, ma il mattino successivo i franchi scoprirono che il nemico era fuggito. Nell’accampamento saraceno erano emerse tensioni fra i vari comandanti, che si erano scagliati l’uno contro l’altro. Solo mille e cinquecento franchi morirono, mentre i corpi degli arabi e dei loro cavalli coprivano tutta la piana sottostante e i feriti vennero finiti a colpi di lancia.
Fu lì che Carlo si guadagnò l’epiteto di “Martello” e fu la sua vittoria che fermò l’avanzata del califfato Ummayyad (661-750) in Europa, anche se un nuovo tentativo fu fatto via mare, nel 736 dal figlio di Abdul Rahman, che sbarcò a Narbona. Rinforzò la fortezza di Arles e poi si mosse all’interno della Francia e di nuovo toccò a Carlo Martello di muoversi con l’esercito per fermarlo: riprese Montfrin e Avignone. Prudente come sempre, Carlo chiese l’intervento di Liutprando, il re dei Longobardi, che da Pavia si unì a lui con un esercito e poi insieme presero Arles con un brutale attacco frontale e con una scalata alle sue mura. Il figlio di Carlo Martello, Pipino, nel 737 era stato adottato da Liutprando per cementare l’amicizia fra i due guerrieri. Poi marciarono su Nimes, Agde e Béziers che erano state occupate dai musulmani dal 725 e le liberarono.
Ci si sarebbe aspettata più riconoscenza da parte della Chiesa nei confronti di Carlo Martello, ma diamo nuovamente la parola al grande storico inglese Edward Gibbon: “Ci saremmo aspettati che il grande salvatore della cristianità sarebbe stato santificato, o perlomeno benedetto dalla gratitudine del clero, dato che devono alla sua spada la propria esistenza. Nella pubblica calamità il camerlengo del palazzo era stato costretto ad appropriarsi delle ricchezze o, perlomeno, delle entrate di vescovi e cardinali, per dar sollievo alle finanze statali e pagare i soldati. I suoi meriti furono dimenticati, solo il suo sacrilegio fu ricordato e, in una lettera a un principe Carolingio, un sinodo francese non si peritò di dichiarare che il suo antenato era dannato; tanto che all’apertura della sua tomba, gli spettatori furono terrorizzati dall’odore di zolfo e dalle fiamme, seguite all’apparizione d’un orribile drago; e che un santo di quei tempi si trastullava nella visione dell’anima e del corpo di Carlo Martello bruciare, per l’eternità, nell’abisso dell’inferno”.
Angelo Paratico