Un articolo interessante che traduciamo e riproduciamo qui, per dimostrare quanto sia corrosiva l’incessante propaganda che vorrebbe farci vergognare del colore della nostra pelle, della nostra religione e della nostra storia.
Non potrete portare via così facilmente il nostro tesoro.
Con noi vengono prima la lancia e la lama della spada per decidere le condizioni,
Un conflitto feroce è il tributo che noi vi consegneremo.
Così parla Byrhtnoth, eroe del poema La battaglia di Maldon che racconta di un epico scontro d’armi nell’Essex contro ai predoni vichinghi, nel 991. La voce Essex deriva da “terra dei Sassoni orientali”, una delle tante eredità geografiche delle due principali tribù germaniche che arrivarono in Britannia alla caduta di Roma. Poco più a nord si trovava la regione che un tempo era stata il Regno degli Angli orientali, l’altro gruppo principale dell’invasione del V secolo (i poveri Juti, minori di numero, vengono piuttosto trascurati).
Ethelred, il sovrano sfortunato la cui politica di pagamento degli invasori divenne un’eterna lezione di cattiva politica, era il pronipote del primo sovrano che unì il popolo a lungo definito “anglosassone” e che all’epoca della stesura del poema si sentiva un unico popolo.
Gli anglosassoni persero quella grande battaglia, con Byrhtnoth eroicamente ucciso, e l’unico manoscritto originale andò distrutto nell’incendio della Ashburnham House del 1731, anche se una copia fu ritrovata molto più tardi, così che la maggior parte del poema si è salvata. Il suo popolo subì una catastrofe ben più grave nel secolo successivo, quando la sconfitta fuori Hastings, nel Sussex (terra dei Sassoni meridionali), portò al dominio straniero e alla soppressione della sua lingua. Oggi, però, gli anglosassoni devono affrontare una nuova umiliazione per mano di una forza molto più insidiosa dei normanni: gli accademici nordamericani.
Proprio come i vichinghi, una volta sconfitti, tornarono in forze all’epoca di Ethelred, percependo la loro debolezza, così l’assalto agli anglosassoni è ricominciato, con Cambridge che la scorsa settimana ha rinominato la sua rivista sull’Inghilterra di studi anglosassoni Anglo-Saxon England con Early Medieval England and its Neighbours. Dominic Sandbrook, per esempio, non ne è rimasto stupito.
Come scrive Samuel Rubinstein sul Critic: “Sin dalla sua fondazione, nel 1972, la rivista Anglo-Saxon England, pubblicata dalla Cambridge University Press, è stata la più prestigiosa del settore. Il rebrand, nonostante il nome ironicamente anglocentrico, promette un ‘approccio più ampio’ e una ‘portata interdisciplinare’ insieme alla ‘stessa alta qualità’ di Anglo-Saxon England. Pochi di coloro che hanno familiarità con la rivista nella sua precedente veste accetterebbero l’implicazione che l’Inghilterra anglosassone sia mai stata priva di “ampiezza” o “interdisciplinarità” (qualunque cosa ciò significhi in realtà)”.
La battaglia è iniziata nel 2019 quando l’accademica canadese Mary Rambaran-Olm, eletta due anni prima vicepresidente dell’International Society of Anglo-Saxonists (ISAS), dove nel suo discorso di accettazione si era definita “donna di colore e anglosassone”, si è dimessa dalla sua carica a causa del nome presumibilmente razzista.
Quell’anno la Società internazionale degli anglosassoni votò per cambiare il proprio nome in Società internazionale per lo studio dell’Inghilterra altomedievale, “in riconoscimento delle connotazioni problematiche che sono ampiamente associate ai termini ‘anglosassoni’”. La società ha concluso che il nome “è stato talvolta usato al di fuori del campo per descrivere coloro che hanno opinioni ripugnanti e razziste, e ha contribuito alla mancanza di diversità tra coloro che lavorano sull’Inghilterra altomedievale e sulla sua cultura intellettuale e letteraria”.
La dott.sa Rambaran-Olm ha poi dichiarato che il campo degli studi anglosassoni è di “intrinseca limitazione a uomini bianchi” e ha scritto sulla rivista Smithsonian che: “Il mito anglosassone perpetua una falsa idea di cosa significhi essere nativi della Gran Bretagna”.
In risposta, nel dicembre 2019, dozzine di studiosi hanno scritto una lettera in difesa dell’uso di anglosassone, dichiarando che:
“Le condizioni in cui si incontra il termine, e il modo in cui viene percepito, sono molto diverse negli Stati Uniti rispetto ad altri paesi. Nel Regno Unito il periodo è stato accuratamente presentato e discusso in documentari e mostre popolari e di successo per molti anni. Il termine “anglosassone” è storicamente autentico, nel senso che a partire dall’VIII secolo fu usato all’esterno per riferirsi a una popolazione dominante nella Gran Bretagna meridionale. I suoi primi usi, quindi, incarnano esattamente le questioni significative che possiamo aspettarci che qualsiasi etichetta etnica o nazionale generale rappresenti”.
Lo storico Tom Holland, uno dei firmatari, ha scritto: “Il termine ‘anglosassone’ è inestricabilmente legato alla pretesa di Alfredo di governare come ‘rex Angul-Saxonum’, al suo uso di Beda per proiettare una comune identità angliano-sassone e alla nascita dell’Inghilterra. Gli studiosi di storia medievale devono essere liberi di usarlo”.
Il Danegeld, tuttavia, era già stato consegnato e, come osserva Rubinstein, la dott.ssa Mary Rambaran-Olm “si è ritirata dalla vita accademica in un ‘atto di resistenza’, come l’ha definito in grande stile sul suo blog. Sembra che ora passi la maggior parte del suo tempo lavorando a maglia – un hobby ispirato, dice, dall’affermazione di Audre Lorde secondo cui “la cura di sé è un atto di guerra politica” – e twittando… su Hamas”.
Rambaran-Olm ha affermato che “anglosassone” è un termine “astorico” perché “gli abitanti della prima Inghilterra o Englelonde non si chiamavano anglosassoni”. Questa idea è ovviamente così popolare che la BBC l’ha ripetuta, anche se non è vera; l’uso più antico risale addirittura a Paolo Diacono, lo storico dei Longobardi, che scrisse in latino nell’ottavo secolo e lo usò per distinguerli dagli antichi sassoni del continente.
Alfredo il Grande si autodefinì Angulsaxonum rex e suo nipote Athelstan, primo re d’Inghilterra, rex Angulsexna, oltre che “imperatore dei Northumbrians, governatore dei pagani e difensore dei Britanni” (suo nipote, re Edgar, aveva un titolo ancora più altisonante: “Autocrate di tutta Albione e dei suoi dintorni”).
Ciò che è bizzarro, come ha sottolineato Rubinstein, è che “se fossi il tipo di persona che si irrita per queste cose, come sembra essere la Rambaran-Olm, ‘Inghilterra’ mi disturberebbe molto di più di ‘anglosassone’. La parola “Inghilterra” risale all’inizio dell’XI secolo, in uso per una generazione che poteva essere testimone di Hastings. Parlare di “anglosassoni” per il periodo compreso tra il V e l’XI secolo è meno “astorico” che parlare di “Inghilterra””.
In effetti, anche se non si fossero definiti anglosassoni, sarebbe stato un termine utile e significativo per descrivere una cultura composta principalmente da Angli e Sassoni e per distinguerla dal cambiamento culturale sismico avvenuto dopo il 1066. Diversi periodi storici sono comunemente indicati con nomi che avrebbero mistificato le persone che li hanno vissuti.
Una delle giustificazioni più divertenti per riferirsi a questo periodo come “alto medioevo” è che non si chiamavano anglosassoni. Ma di certo non si definivano “altomedievali”, essendo il termine “medievale” un termine del XIX secolo che affonda le sue radici nell’invenzione rinascimentale del “medioevo”.
Se tutto questo sembra un modo bizzarro per giustificare la politicizzazione della storia, è il risultato inevitabile dell’estremo squilibrio che si è sviluppato nel mondo accademico, che ha reso la disciplina molto più moralizzante (e noiosa). L’anno scorso è stato riportato che “Cambridge sta insegnando agli studenti che gli anglosassoni non sono esistiti come gruppo etnico distinto, come parte degli sforzi per minare i ‘miti del nazionalismo’. L’insegnamento mira a “smontare le basi dei miti del nazionalismo” spiegando che gli anglosassoni non erano un gruppo etnico distinto, secondo le informazioni fornite dal dipartimento”. Il dipartimento ha spiegato che “molti degli elementi discussi sopra sono stati ampliati per rendere l’insegnamento dell’ASNC più antirazzista”.
Eppure, rendere deliberatamente un corso di storia “più antirazzista” non è studio, è attivismo. Naturalmente, la storia è lì per essere usata e abusata, e lo è sempre stata; come nota Rubinstein, “l’articolo della Rambaran-Olm su History Workshop critica quei protestanti anglosassoni del XVI secolo che permisero alle preoccupazioni politiche e teologiche di interferire con i loro sforzi accademici”. Poi, senza alcun accenno di ironia per le proprie contraddizioni dialettiche, afferma che “il lavoro accademico, anche gli studi storici, non sono mai separati dalle realtà sociali e politiche attuali”.’ Rendere deliberatamente un corso di storia “più antirazzista” non è erudizione, è attivismo. Gli anglosassoni hanno assunto un’enorme importanza storica per molti inglesi, in parte a causa della Riforma, che ha dato vita a un nuovo nazionalismo e ha anche portato alla riscoperta di molte opere antiche, tra cui la biografia di Alfredo di Asser, a causa del saccheggio dei monasteri.
L’anglosassonismo era legato sia alle battaglie politiche interne all’Inghilterra, sia al lungo conflitto della prima età moderna con la Francia. I Normanni rappresentavano perfettamente sia una classe superiore autocratica e vagamente straniera, sia il principale nemico dell’Inghilterra.
Gerrard Winstanley, il leader dei Diggers, identificò il suo gruppo di radicali come eredi della libertà sassone e in The New Law of Righteousness sostenne che: ‘Visto che la gente comune d’Inghilterra, con il consenso di persone e borse, ha cacciato Charles, il nostro oppressore normanno, con questa vittoria ci siamo ripresi da sotto il suo giogo normanno’. Anche questo era attivismo, che promuoveva un’idea mitica di libertà anglosassone che non era lontanamente accurata: furono i Normanni, dopo tutto, ad abolire la schiavitù in Inghilterra.
I rivoluzionari americani come Thomas Jefferson si consideravano discendenti e successori politici degli anglosassoni, sia in senso politico che razziale. Jefferson era un attento studioso del periodo e propose che su un lato del sigillo degli Stati Uniti fossero raffigurati Hengest e Horsa, “i capi sassoni da cui rivendichiamo l’onore di discendere e di cui abbiamo assunto i principi politici e la forma di governo”. Thomas Paine avvertì che gli americani sotto agli inglesi avrebbero “sofferto come i miseri britannici sotto all’oppressione di Guglielmo il Conquistatore”.
Man mano che gli Stati Uniti diventavano dominanti a livello globale, spesso lavorando in tandem con il loro partner minore ed ex madrepatria, “anglosassone” veniva usato come termine per le nazioni di lingua inglese, in particolare da coloro che li consideravano accomunati da interessi comuni (come Charles de Gaulle). Oggi è ancora usato sia da amici che da nemici, compreso un regime russo che ha un’idea spropositata dell’influenza della Gran Bretagna (che purtroppo non riflette la realtà).
Naturalmente, anche in America il termine è stato utilizzato in un’accezione diversa, per distinguere coloro che hanno origini britanniche e dell’Europa nord-occidentale da coloro che sono arrivati più di recente dall’Europa meridionale e orientale, oltre che da altri gruppi – e il disagio moderno su quella sponda dell’Atlantico deriva dalla politica razziale del Paese. Un tempo governata da narcisisti razziali come Jefferson, è ora dominata da un sentimento reattivo di masochismo razziale. Ma questo coesiste con un senso di arroganza nato dalla certezza morale, e il progressismo della nazione più potente del mondo ha un senso di missione globale che non si preoccupa del resto del mondo.
Uno studioso americano si è schierato contro l’uso del termine clumsy “maldestro” perché “come ha dimostrato un’ampia letteratura, il suo bagaglio culturale – la forte associazione tradizionale con la supremazia bianca, passata e presente – significa che oggi ci troviamo di fronte a una decisione etica… la maggioranza delle persone, in tutto il mondo, associa il termine all’idea di una ‘razza bianca’. Quindi non mi definirei un “anglosassone”, perché non studio i bianchi. Sono specializzato nella cultura orale e scritta, soprattutto religiosa, dei popoli che parlavano l’inglese antico (il norreno antico, il gallese medio, l’irlandese antico, il latino, ecc.). All’epoca c’erano molti bianchi, ma non tutti: non voglio cancellare la diversità che c’era”.
Bene – se i progressisti americani hanno un problema con l’eredità inglese ed europea del loro Paese, è triste, ma è un problema per l’America da affrontare. Non sono sicuro che dovremmo preoccuparci di ciò che la maggioranza delle persone in tutto il mondo pensa del termine anglosassone, e non dovremmo nemmeno essere appesantiti dal bagaglio degli altri. Farlo significherebbe accettare una colonizzazione.
Naturalmente, la colonizzazione culturale è ormai consolidata, al punto che la Gran Bretagna ha adottato i modi americani di guardare al nostro passato, spingendo un marchio multiculturale di pseudo-storia che è comicamente falso.
Questo è guidato non solo dal dominio culturale americano, ma anche dalla forza più potente del mondo: il narcisismo razziale. Le persone vogliono aumentare il prestigio del proprio gruppo e i leader di pensiero del mondo “anglosassone” sono felici di incoraggiarli. Il motivo principale per cui non vedo la rivoluzione woke tornare indietro è che, come ha sostenuto Louise Perry, la spinta fondamentale del progressismo woke non è qualcosa di complesso e interessante, come la dialettica marxista o persino una forma mutata di pietà cristiana, ma è narcisismo etnico. Nessun accademico serio pensa davvero che un termine “razzializzato” impedisca alle persone di studiare una cultura con cui non hanno alcun legame ancestrale, cosa che è stata smentita da innumerevoli studiosi nel corso dei secoli. Accettare ciò significherebbe normalizzare il narcisismo etnico in un campo ispirato da un senso di curiosità universale.
Tuttavia, poiché il narcisismo e l’orgoglio etnico sono un gioco a somma zero, questo aumento di prestigio può essere fatto solo a spese di altri, per cui i gruppi a cui non è permesso indulgere in questa competizione vengono degradati, al punto che permettiamo placidamente che il nome stesso dei nostri antenati venga cancellato. L’unica cosa che può opporsi a una forza moralizzatrice così potente è il coraggio, e non sembra essercene molto in giro.
Cosa avrebbe pensato Byrhtnoth?
Ed West
Questo articolo è apparso per la prima volta nel Substack Wrong Side of History di Ed West. E’ stato tradotto in Italiano da Angelo Paratico, con qualche piccola modifica.