Il mito della caverna di Platone è una delle allegorie più conosciute tra quelle riportate dal filosofo ateniese. Tale mito viene presentato all’inizio del libro settimo della Repubblica. Platone mette in dubbio “la realtà” nella quale ci troviamo immersi. Ecco la sua storia. Dei prigionieri sono stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che i loro occhi possano solo fissare il muro dinanzi a loro. Alle spalle dei prigionieri è stato acceso un enorme fuoco e, tra il fuoco e i prigionieri, corre una strada rialzata. Lungo questa strada è stato eretto un muretto lungo il quale alcuni uomini portano modellini e manichini con le forme di vari oggetti, piante, animali, e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e ciò attirerebbe l’attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un’eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un’idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accade realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (sono stati incatenati fin dall’infanzia), sarebbero portati a interpretare le ombre “parlanti” come oggetti, piante, animali e persone reali.
Molti filosofi e scienziati dopo Platone (anche il Budda prima di Platone) si sono chiesti se viviamo in un universo simulato, ma lo scienziato Melvin Vopson, dell’Università di Portsmouth, ritiene di avere le prove che le cose stanno effettivamente così.
Utilizzando la Seconda Legge dell’Infodinamica, da lui formulata in precedenza, Melvin Vopson sostiene che la diminuzione dell’entropia nei sistemi informativi nel corso del tempo potrebbe dimostrare che l’universo ha una “ottimizzazione e compressione dei dati” incorporata, che rivela la sua natura digitale. Sebbene queste affermazioni meritino un’indagine, siamo ben lungi dall’essere di fronte a una scoperta vera e propria, ci sarà bisogno di prove rigorose perché la comunità scientifica in generale prenda seriamente in considerazione questa teoria. Vopson docente all’Università di Portsmouth, in un articolo pubblicato sul sito web The Conversation sostiene di avere una cosa che a quelli prima di lui mancava: una prova.
Scrive: “In fisica, ci sono leggi che governano tutto ciò che accade nell’universo, ad esempio come si muovono gli oggetti, come scorre l’energia e così via. Tutto si basa sulle leggi della fisica. Una delle leggi più potenti è la seconda legge della termodinamica, che stabilisce che l’entropia – una misura del disordine in un sistema isolato – può solo aumentare o rimanere uguale, ma non potrà mai diminuire”.
Sulla base di questa famosa legge, Vopson si aspettava che l’entropia nei sistemi informativi – che la sua precedente ricerca definiva come un “quinto stato della materia” – aumentasse allo stesso modo nel tempo. Ma non è così. Al contrario, rimane costante o addirittura diminuisce fino a raggiungere un valore minimo all’equilibrio. Questo è in diretto contrasto con la seconda legge della termodinamica, che ha ispirato Vopson ad adottare la Seconda Legge della Dinamica dell’Informazione (o Infodinamica).
“Sappiamo che l’universo si espande senza perdita o guadagno di calore, il che richiede che l’entropia totale dell’universo sia costante”, ha scritto Vopson su The Conversation. “Tuttavia, sappiamo anche dalla termodinamica che l’entropia è sempre in aumento. Questo dimostra che ci deve essere un’altra entropia – l’entropia dell’informazione – per bilanciare l’aumento”.
Vopson sostiene che questa legge ha un ruolo nella fisica atomica (disposizione degli elettroni), nella cosmologia e nei sistemi biologici. In quest’ultimo caso Vopson fa una grande affermazione: contrariamente all’idea di Charles Darwin che le mutazioni avvengano in modo casuale, in realtà le mutazioni avvengono in modo da ridurre al minimo l’entropia dell’informazione. Vopson ha analizzato il virus COVID-19 in costante mutazione e il suo articolo su questa indagine, pubblicato lo scorso ottobre sulla rivista AIP Advances, mostra “una correlazione unica tra l’informazione e la dinamica delle mutazioni genetiche”.
“Un universo super complesso come il nostro, se fosse una simulazione, richiederebbe un’ottimizzazione e una compressione dei dati integrata per ridurre la potenza di calcolo e i requisiti di archiviazione dei dati per eseguire la simulazione”, ha scritto Vopson su The Conversation. “Questo è esattamente ciò che stiamo osservando intorno a noi, anche nei dati digitali, nei sistemi biologici, nelle simmetrie matematiche e nell’intero universo”.
Tutte queste affermazioni richiedono ulteriori test e verifiche prima di essere considerate plausibili e, come nota IFLScience, ci sono tanti documenti di ricerca che confutano la nostra esistenza digitale quanti ne promuovono l’inevitabilità scientifica. È possibile che la Seconda Legge dell’Infodinamica di Vopson porti a scoperte interessanti.
E se Vopson avesse ragione si spiegherebbe l’infinità dell’universo e il fatto che l’unica entità avente la capacità di promuovere questo esperimento sia ciò che noi chiamiamo Dio. Potremo concludere, seguendo SantAgostino, che la realtà del mondo e degli oggetti materiali è solo nella loro esistenza come idee, prima nella mente di Dio e poi nella mente dell’uomo, che è stata creata da Dio.
Angelo Paratico