Fra Orwell e Huxley: la televisione ci ha reso polli d’allevamento, ma i telefonini ci rendono degli zombie. Due libri lo avevano previsto

Fra Orwell e Huxley: la televisione ci ha reso polli d’allevamento, ma i telefonini ci rendono degli zombie. Due libri lo avevano previsto

“La dittatura perfetta avrà sembianza di democrazia. Una Prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitù”. Autore di questa breve ma significativa riflessione fu a suo tempo lo scrittore britannico Aldous Leonard Huxley (Godalming, 26 luglio 1894 – Los Angeles, 22 novembre 1963). In un discorso tenuto nel 1961 alla California Medical School di San Francisco, Huxley disse che “ci sarà in una delle prossime generazioni un metodo farmacologico per far amare alle persone la loro condizione di servi e quindi produrre dittature, come dire, senza lacrime; una sorta di campo di concentramento indolore per intere società in cui le persone saranno private di fatto delle loro libertà, ma ne saranno piuttosto felici”.
Orwell temeva coloro che avrebbero bandito i libri. Huxley temeva che non ci sarebbe stato bisogno di bandire i libri, perché nessuno sarebbe stato più interessato a leggerli. Orwell temeva coloro che ci avrebbero privato delle informazioni. Huxley temeva coloro che ci avrebbero sommerso da così tante informazioni da ridurci alla passività e all’egoismo. Orwell temeva che la verità ci sarebbe stata nascosta. Huxley temeva che la verità sarebbe stata affogata in un mare di irrilevanza. Orwell temeva che la nostra sarebbe diventata una civiltà di schiavi. Huxley temeva che la nostra sarebbe diventata una civiltà di gente superficiale, attenta solo a piaceri infantili. In  “Mille Novecento Ottanta Quattro” le persone sono controllate con il dolore. Ma in “Il Mondo Nuovo” di Huxley le persone sono controllate con il piacere. In breve, Orwell temeva che ciò che ci spaventa ci avrebbe rovinato. Huxley temeva che che ciò che desideriamo e non riusciamo a controllare ci avrebbe rovinato.
Neil Postman

Questa è una saggia citazione che gira da parecchio tempo sui socials ma pochi sanno che è stata presa dal libro di Neil Postman “Amusing Ourselves to Death: Public Discourse in the Age of Show Business” uscito nel 1985. E’ stato pubblicato in Italia nel 2002 con il titolo di “Divertirsi da morire“.

Neil Postman (1931 – 2003) è stato un grande educatore e critico culturale. Nato a New York dove ha passato la gran parte della sua vita, insegnando alla New York University.

Le origini del libro risalgono a un discorso che Postman tenne alla Fiera del Libro di Francoforte nel 1984. Partecipava a una tavola rotonda intitolata “Mille Novecento Ottantaquattro  di George Orwell e il mondo contemporaneo”. Postman disse che il mondo contemporaneo è meglio rispecchiato da Brave New World di Aldous Huxley, (“Il Mondo Nuovo” in italiano) che mostrava una umanità oppressa dalla dipendenza dal divertimento, piuttosto che dall’opera di Orwell, dove era oppresso dal controllo dello Stato e dalla violenza.

Postman distingue la visione orwelliana del futuro, in cui i governi totalitari si appropriano dei diritti individuali, da quella offerta da Aldous Huxley in Brave New World, in cui la gente si droga fino alla beatitudine, sacrificando volontariamente tutti i propri diritti. Facendo un’analogia con quest’ultimo scenario, Postman vede il valore dell’intrattenimento televisivo come un “oppiaceo” dei giorni nostri, la droga del piacere fittizia di Brave New World, attraverso la quale i diritti dei cittadini vengono scambiati con l’intrattenimento dei consumatori.

La premessa essenziale del libro, che Postman estende al resto delle sue argomentazioni, è che “la forma esclude il contenuto”, cioè che un particolare mezzo di comunicazione può sostenere solo un particolare livello di idee. Per questo motivo, l’argomentazione razionale, che è parte integrante del libro a stampa, è ostacolata dal mezzo televisivo. E non vide il sorgere dei telefonini, altrimenti ne sarebbe stato inorridito, notando subito i danni che stanno facendo sulle menti dei nostri giovani.

A causa di queste carenze, la politica e la religione vengono diluite e le “notizie del giorno” diventano una merce preconfezionata e precotta. La televisione mette in secondo piano la qualità dell’informazione a favore della soddisfazione delle esigenze di intrattenimento, da cui l’informazione è condizionata e a cui è subordinata.

Postman esamina inoltre le differenze tra il discorso scritto, che secondo lui ha raggiunto il suo apice alla metà del XIX secolo, e le forme di comunicazione televisiva, che si basano principalmente su immagini visive predigerite per “vendere” stili di vita. Sostiene che, a causa di questo cambiamento, la politica ha smesso di riguardare le idee e le soluzioni di un candidato, ma il fatto che si presenti bene in televisione, che parli bene e offra sensazioni gratificanti. La televisione implica una totale assenza di connessione tra gli argomenti separati che una frase o nrrazione, apparentemente, collega. Egli sostiene che “la televisione sta alterando il significato di ‘essere informati‘, creando una specie di informazione alternativa che potrebbe essere propriamente chiamata disinformazione: una informazione fuori luogo, irrilevante, frammentata o superficiale che crea l’illusione di sapere qualcosa, ma che in realtà porta lontano dalla conoscenza”. Vediamo le immagini di un diluvio in Bangladesh e pochi secondi dopo ci parlano del compleanno della gemelle Kessler o subito dopo delle dichiarazioni di un politico circa i difetti di altri politici.

La lettura, invece, richiede un intenso coinvolgimento intellettuale, al tempo stesso interattivo e dialettico, mentre la televisione richiede solo un coinvolgimento passivo.

La televisione commerciale è diventata semplicemente un derivato della pubblicità. Inoltre, i moderni spot televisivi non sono “una serie di asserzioni verificabili e logicamente ordinate” che razionalizzano le decisioni dei consumatori, ma “sono un dramma – una mitologia, una serie di emozioni espresse da belle persone” che vengono spinte “quasi all’estasi, dalla propria passiva fortuna” di possedere i beni o i servizi pubblicizzati. “La verità o la falsità delle affermazioni di un inserzionista non sono un problema” perché il più delle volte “non vengono fatte affermazioni, se non quelle che lo spettatore proietta o deduce dal dramma”. Poiché la televisione commerciale è programmata in base agli ascolti, il suo contenuto è determinato dalla fattibilità commerciale, non dall’acume dello spirito critico. La televisione, allo stato attuale, non soddisfa le condizioni per un onesto coinvolgimento intellettuale e per un’argomentazione razionale. Il XVIII secolocon l'”Età della Ragione” fu l’apice dell’argomentazione razionale. Solo con la parola stampata, afferma, si potevano trasmettere razionalmente verità complicate.

 

 

 

 

 

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