Una parte dell’Oro di Dongo si trova nei forzieri della Banca d’Italia, perché non viene inventariato?

Una parte dell’Oro di Dongo si trova nei forzieri della Banca d’Italia, perché non viene inventariato?

Giuseppe Prezzolini scrisse che Adolf Hitler terminò la propria esistenza in un crepuscolo wagneriano, mentre Benito Mussolini morì accoltellato in una rissa all’osteria. Non conosciamo i suoi intenti estremi, né i motivi del suo illogico vagare sulla riva occidentale del lago di Como. Chi sostiene che stava tentando la fuga in Svizzera dimostra di non conoscere bene la geografia lariana e neppure i fatti. La città di Como tocca la frontiera svizzera e non c’era nessun bisogno per lui di puntare verso l’alto lago per arrivarci. E, del resto, se la sua salvezza fosse stata il suo unico fine, gli sarebbe bastato radunare qualche migliaio dei suoi fedelissimi a Milano e poi attendere tranquillamente l’arrivo degli Alleati.  Perché non lo fece? Non lo sappiamo.

L’Oro di Dongo

Su questi argomenti si pensa già di sapere tutto, in realtà sappiamo troppo e, proprio a causa di ciò, la
confusione è totale. Di tanto in tanto si accenna anche al “oro di Dongo” ma pochi sanno che una parte di questo tesoro si trova in un forziere della Banca d’Italia e che solo in parte è stato aperto e inventariato.
Se ci fossero dei preziosi tolti agli ebrei, questi potrebbero essere restituiti ai legittimi proprietari.
Possibile che nessuno alla Banca d’Italia se ne possa prendere cura, dopo 80 anni?

La pista inglese

Sandro Pertini venne intervistato negli anni Settanta da Gianni Bisiach per una serie televisiva intitolata
“Le grandi battaglie”. Quel documentario è stato mandato in onda varie volte su Rai1. Il futuro Presidente della Repubblica dichiarava: “…invece nella borsa che Mussolini teneva con sé con tanta cura si dice che ci fossero lettere di Churchill, che Churchill aveva scritto a Mussolini prima della guerra e durante la guerra, questa è la cosa grave. Ora io credo che questo corrisponda a verità, perché poi furono inviati dal governo inglese emissari qui in Italia, penso direttamente da Churchill, per venirne in possesso di questa borsa. Anche io fui avvicinato da un uomo del comando inglese che mi chiese se per caso avevo notizia di questa borsa e di quello che conteneva. Io risposi di no perché non venni mai in possesso di questa borsa”.
I libri relativi alle ultime ore di Mussolini sono moltissimi ed è oramai difficile districarsi in quella selva
piena di mezze verità e di menzogne. Ma, forse, l’unico strumento che può essere usato resta il rasoio di
Occam. Pare che anche Renzo De Felice avesse una certa idea su come fossero davvero andate le
cose. Basti citare un’intervista che il grande storico del fascismo concesse al Corriere della Sera, il 19
novembre 1995, per capire come la pensava. Quel pezzo, firmato da Pierluigi Panza, era intitolato: “I
servizi inglesi dietro alla morte del duce.” De Felice dichiarò che: “La documentazione in mio possesso
porta tutta a una conclusione: Benito Mussolini fu ucciso da un gruppo di partigiani milanesi su
sollecitazione dei servizi segreti inglesi. C’era un interesse a far sì che il capo del fascismo non arrivasse
a un processo. Ci fu il suggerimento inglese: ‘Fatelo fuori!’. In gioco c’era l’interesse nazionale, legato
alle esplosive compromissioni presenti nel carteggio che il premier britannico Churchill avrebbe
scambiato con Mussolini prima e durante la guerra”.

I servizi segreti inglesi

Il SOE (Special Operations Executive) fu una sezione speciale dei servizi di intelligence inglese, con
decine di agenti attivi nell’Italia settentrionale, che operarono protetti dalle formazioni partigiane. Fu un servizio segreto smantellato alla fine della Seconda guerra mondiale, ma talmente segreto che, persino i comuni cittadini britannici ne ignorarono l’esistenza sino ai primi anni Sessanta.
Lo scrittore Mattew Cobb, che ha dedicato un libro agli agenti del SOE, dopo aver frugato fra ciò che
resta dei loro archivi, a Kew Garden, manifestava la propria frustrazione in un articolo uscito il 13 marzo 2009 sul Times, notando che: “Ripuliture, convenienti sparizioni e strani incendi hanno lasciato poco per l’indagine storica e un accordo con i guardiani di quelle memorie è ancora necessario per poterle consultare”.

Verso i primi anni Sessanta cominciarono ad apparire delle biografie di ex agenti del SOE, celebre quella di Manfred Czernin, direttamente coinvolto nella guerra partigiana in Italia e, solo allora, il primo ministro britannico Harold MacMillan, autorizzò la redazione d’una storia ufficiale di quel corpo, attingendo a ciò che ne restava agli atti. La scrisse un professore di storia di Manchester, tale M.R.D Foot e uscì nel 1966 con il titolo “SOE in France” al quale, nel 1984, fece seguito: “SOE. The Special Operations Executive, 1940-1946”.

 

Prove della spregiudicatezza di Winston Churchill

Winston Churchill confidò a Stalin che la storia l’avrebbe trattato bene, perché intendeva scriverla.
Mantenne la sua promessa, ma il piedistallo di granito che si pose sotto ai piedi viene progressivamente
sgretolato dalla storiografia moderna. Più che le sue decantate virtù, i suoi più acuti biografi tendono a
metterne in risalto gli errori e l’infantilismo; le sue continue interferenze in campo militare, una materia
che non conosceva e che provocò disastri e carneficine; la sua feroce indifferenza verso le sofferenze
umane e la propensione alla menzogna. Parlando di disonestà intellettuale, basti citare il fatto che nel
1953 ebbe il premio Nobel per la Letteratura grazie ai sei volumi della sua “Storia della Seconda Guerra
Mondiale” che furono un grande successo editoriale e che sono ancora in stampa. Ma quei libri non li
scrisse lui, come il professor David Raynolds ha brillantemente dimostrato nel suo: In Command of
History. Churchill fighting and writing the Second World War, Londra, 2004. Quei sei volumi vennero redatti da un gruppo di storici che Churchill pagò con un tozzo di pane, ma che ebbero accesso ai
documenti segreti che egli aveva sottratto, senza permesso, all’archivio di Stato. Churchill si limitò a
supervisionare il loro lavoro.
Gli esempi della sua disinvoltura a livello diplomatico non mancano. Ma ci limiteremo a citarne due,
perché hanno un valore paradigmatico. Il 18 giugno 1940 Churchill pronunciava in Parlamento uno dei
suoi più famosi discorsi, quello in cui manifestava la risoluzione della Nazione a combattere sino alla fine. Eppure, poche ore prima di pronunciare quelle alate parole, Edward Halifax, ministro nel suo governo e il suo vice, Richard A. Butler, discutevano i termini d’una pace separata con Hitler. Ne parlarono con un ministro svedese che si trovava a Londra, Bjorn Prytz e che, da quanto poi raccontarono, avrebbero incontrato casualmente mentre passeggiava in St. James Park. Successivamente tentarono di bloccare la pubblicazione delle note prese dallo svedese e, ulteriore bizzarria, le minute riguardanti il punto 5 dell’agenda d’una riunione del concilio di guerra, tenuto proprio nel pomeriggio di quel 18 giugno 1940, sono ancora coperte da segreto di Stato. Alcuni storici pensano che quel punto numero 5 riguardi proprio le condizioni di pace da offrire alla Germania.
Il secondo esempio riguarda una missione segreta compiuta a Londra, nel mese di ottobre del 1940, da
Louis Rougier, un filosofo che viene considerato uno dei padri del neoliberalismo. Vi era stato inviato dal maresciallo Petain e con il primo ministro britannico stilò una sorta di accordo che prevedeva, fra l’altro, che il governo di Vichy, al momento opportuno, avrebbe combattuto contro alle forze dell’Asse. Il Foreign Office poi negò tutto, sostenendo che mai, alle spalle di Charles de Gaulle, si erano cercati accordi con il governo collaborazionista di Vichy. Fu allora che il diligente professor Rougier, che si era tenuto una copia fotostatica di tutti i telegrammi, delle lettere e delle minute, fece stampare in Canada (in Francia nessuno lo volle pubblicare) un libro in cui stavano in appendice quei documenti, fra cui il famoso accordo, con le correzioni autografe apportate da Churchill. Il suo libro è ancora rintracciabile nelle librerie antiquarie e ne abbiamo una copia, qui davanti a noi. Louis Rougier “Les Accords Pétain
Churchill. Historie d’une mission segrète” Beauchemin, 1945. Lo stesso Petain, durante il suo processo,
ammise che tale accordo era esistito. Messo di fronte all’evidenza, il Foreign Office ignorò tutta la
faccenda e successivamente, nonostante che le credenziali di Rougier fossero impeccabili, riuscirono a
discreditarlo e a fargli perdere il suo posto di docente universitario.

La necessità di cercare negli archivi britannici

Perché, dunque, a distanza di tanti anni la Perfida Albione insiste a mantenere il coperchio sopra a
queste vecchie storie? Pensiamo che lo faccia essenzialmente per due motivi. Per celare il fatto che le
due guerre mondiali alle quali parteciparono nel secolo scorso non le combatterono solo per difendere la Patria dall’invasione germanica, come la maggioranza dei cittadini britannici crede, bensì per regolare gli eventi in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Gli stessi motivi che li avevano indotti a contrastare Napoleone. A un livello più minuto, la segretezza serve per proteggere la reputazione degli uomini e delle donne che vennero direttamente coinvolti in quegli eventi. Pochi sono ancora vivi, ma i loro successori politici ancora siedono in Parlamento e gli interessi economici in gioco sono enormi.

 

Angelo Paratico

2 Replies to “Una parte dell’Oro di Dongo si trova nei forzieri della Banca d’Italia, perché non viene inventariato?

  • gaetano.zanotto@alice.it

    By gaetano.zanotto@alice.it

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    Questo è un motivo per fare incuriosire. Valido motivo che invita a conoscere il fine. È valido va tentato. Ha del materiale curioso. Angelo ha…

  • gaetano.zanotto@alice.it

    By gaetano.zanotto@alice.it

    Reply

    L’isola di trimellone di Mauro Vittorio Quartina aveva la volontà di trovare il tesoro del Duce, stretto e stranfugnato nel film per dare importanza alla persona. Ho sentito una musica che si può dichiarare melodia. Ciao.

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