Racconto  dell’Arcangelo Gabriele dopo l’Annuncio a Maria

Racconto  dell’Arcangelo Gabriele dopo l’Annuncio a Maria

Racconto  dell’Arcangelo Gabriele dopo l’Annuncio a Maria

 

di Angelo Franco

 

 

 

                                                                                                                    Alla memoria di mia nonna Giuseppina

                                                                                                                    che, con estrema venerazione,

                                                                                                                    ogni giorno di sua vita,

                                                                                                                    più e più volte,

                                                                                                                    pronunciò i dolci accenti

                                                                                                                    dell’Ave Maria

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“… Avvenga di me quello che hai detto” – concluse – e l’Arcangelo, indugiando, dispose al volo le ali per far ritorno laddove dimora il Signore. Ancora uno sguardo incantato, ancora un ultimo sospiro, poi l’angelo partì da lei. Fulmineo percorse il limite dello spazio e del tempo, varcò l’ombra delle cose e nell’immenso s’immerse.

Al suo arrivo, miriadi di celesti lo accolsero trepidanti e curiosi; Gabriele portava ancora dipinta sul volto l’estasi dell’incontro.

“Racconta, Gabriele, dicci com’è? – chiesero curiosi gli abitanti del cielo, facendogli ressa intorno – parla, non esitare”.

L’Arcangelo, col volto fiammante, ancora confuso per tanta meraviglia, si scostò, ma gli altri, impazienti, non gli davano tregua. “È bella? Parla, Gabriele, non vedi quanta ansia ci prende?”.

Mentre parlavano, un bagliore improvviso si diffuse per il Paradiso: tutti, serafini e cherubini, angeli ed arcangeli, vennero laddove Iddio chiamava. Gabriele, al centro di una moltitudine in festa, adorava con gli altri il Signore. Questi gli porse il suo sguardo compiaciuto, l’Arcangelo comprese e, col volto reclinato, si dispose a parlare. Tutti ristettero, quasi tremanti, in attesa delle sue parole.

“È bella – disse – è orma di Paradiso”.

“Al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, sia gloria” – nel Paradiso s’udì improvviso.

Gli angeli festanti, roteando su sé stessi, quasi vortici inarrestabili, danzavano nell’immensità tra canti e preghiere. Poco prima, il prodigio s’era compiuto: l’eterno Figlio s’era incarnato nel seno di una vergine donna, il Creatore s’era fatto creatura, l’immensità s’era limitata nel grembo di una madre.

“Tu, o Dio, ci stupisci – riprese Gabriele – tu, il Signore degli eserciti, il tre volte Santo, ti umili nella carne dell’uomo. Quando assistevo sbalordito e senza fiato alla creazione dei cieli e della terra, delle cose tutte, non immaginavo affatto che un giorno, in maniera così celata e vereconda, Tu avresti concepito una meraviglia ancor più grande: tua Madre”.

Una luce vermiglia percorse il cielo infinito… una schiera di angeli corse da oriente ad occidente, roteando come fiamma di fuoco, lodando e cantando la gloria del Signore. Gabriele, con profonda nostalgia, memore di un ricordo ancor vivo, iniziò a dire: “Era il momento in cui, dopo il tramonto, nella prima sera, il tempo sembra fermarsi per i mortali. Il rosso occaso, da poco scomparso dietro i monti, annunciava un giorno nuovo. Scesi dalle celesti dimore… la primavera già schiudeva il suo incanto. Avvertivo lo struggimento del cielo desideroso di ricongiungersi con l’umanità e la nostalgia di questa verso la patria perduta.

Mi diressi verso la casa di Nazaret. Entrai da lei… la vidi. Qualcosa turbò anche me”. “Cosa? Dicci cosa, Gabriele”, proferì curioso Raffaele. “Non credevo affatto – riprese – che alla bellezza del Paradiso potessero mancare il suo sorriso, il suo sguardo, i suoi occhi dolcissimi e belli. Pregava intensamente; avvertivo il mistero della sua preghiera, il fuoco che da essa si liberava e giungeva sino al cuore di Dio. Non volli disturbarla. Quale grande empietà sarebbe stato interromperla! Rimasi là, incantato, tanto che pregai anch’io il Signore chiedendogli di donarmi la grazia di avvicinarmi a così pura e bella creatura. Aleggiava in quella stanza la potenza dello Spirito…”.

“E poi, Gabriele? Cos’altro è successo? Su dai, parla” – proruppe il principe delle milizie celesti. Il messaggero continuò: “Michele, è tanto bella perché tanto ama. Potrei dire che l’orma più grande dell’onnipotenza divina è stata scolpita in lei. La mirai – ricordo – intenta a pregare: il volto chinato dolcemente in avanti e le mani giunte. Sul capo, un candido velo copriva verecondo la chioma nera ed ondulata. M’avvicinai trepidante e rispettoso. Scorsi il profilo del suo nobile viso… le sue gote incontaminate e pure… i lineamenti delicati… ed i suoi occhi…”

“Sì, racconta, dicci dei suoi occhi” intervenne all’improvviso Raffaele che non riusciva a contenere la meraviglia.

“Quando le fui di fronte, prima ch’ella potesse vedermi, alzò lo sguardo al cielo. Di un acceso verde, quegli occhi sono il capolavoro di Dio: immensi come l’azzurro spazio, profondi tanto quanto gli abissi del mare. D’ora innanzi si dirà del turbamento ch’ella provò nell’incontrarmi; ma vi assicuro che sebbene di questo non si farà mai cenno, il mio turbamento fu ancor più grande: mi trovavo dinanzi ad un angolo di cielo infinito, dinanzi ad un capolavoro di umiltà e magnificenza”.

“E poi, cosa accadde oltre?” chiese di nuovo Michele.

“Non appena ebbe terminato di pregare, mi feci innanzi. S’era appena levata dall’inginocchiatoio, quando le dissi: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te».

A quelle mie parole, l’Immacolata rimase turbata come ogni uomo che contempli il mistero: mi fissava attentamente con sguardo profondo, poi, quando comprese chi fossi, mi sorrise.

Era circondata da tanta luce e quel sorriso, accennato e pudico, rivelava l’immensità e la profondità delle sue virtù. Iddio, che l’ha voluta per madre, l’ha rivestita degli abiti più belli.

Con far soave e gentile mi porse la mano chiedendomi di rialzarmi. Vi assicuro, fratelli, che non v’è nulla di più bello che raccogliere un suo invito ed esaudire un suo desiderio. Ad un tratto, mi disse: «Perché mi hai salutato in quel modo?».

«Non temere – le dissi – perché hai trovato grazia presso Dio».

Ricordo ancora – e l’eternità stessa non potrà affievolirne la traccia – l’espressione accesa di quei suoi occhi: vi lessi la potenza del Padre, la sapienza del Figlio e il soffio d’amore dello Spirito”.

A questo punto l’Arcangelo si fermò un tantino, quasi rapito nell’estasi del ricordo. “Continua, Gabriele – replicarono gli altri – non fermarti”.

Egli riprese: “Le dissi che nella mente di Dio era conservato un segreto infinito, un mistero altissimo dal quale sarebbe rifiorita l’alleanza tra il Cielo e l’uomo. Le dissi che il momento era giunto e che per compiere l’opera della redenzione, il Signore aveva deciso di farsi uomo. «Tu sei stata scelta qual Madre di Dio – le rivelai stentando a parlare, tanto grande era la commozione del momento – l’Eterno in te si farà bambino».

Mi fissò attentamente.

Io continuai: «In virtù di questo, Iddio ti ha resa, sin dal primo istante del tuo concepimento, Immacolata e priva della benché minima traccia di peccato: tu sei la piena di grazia, tu sei ricolma di Dio».

Tacque alcuni istanti. Ad un tratto tentò nuovamente di parlare, ma qualcosa la frenò. Cadde inginocchio per terra e, elevati gli occhi al cielo, si affidò nuovamente al suo Signore.

«Hai ferito d’amore – le dissi – il cuore di Dio. La tua umiltà e la tua fedeltà hanno innamorato il Paradiso. Tutta bella tu sei… e non vi è in te macchia alcuna che possa sporcare l’abito di cui Iddio t’ha rivestita».

Una lacrima le corse lungo le vermiglie gote.

Mentre Gabriele narrava, i serafini oranti, dagli alti troni della loro gerarchia, intonarono nuovamente il gloria, alle loro voci fece eco tutto il Paradiso.

Il messaggero riprese: “Le dissi: «Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù». Attonita ascoltò quelle parole; poi, come riavutasi da un momento di confusione, disse: «Ma come sarà possibile? Sebbene promessa sposa, ho consacrato a Dio la mia verginità. Come mai adesso il Signore mi chiede di rinunciare al voto che liberamente gli ho fatto?». «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Non temere; tu sarai Madre, né il tuo voto sarà infranto, nulla è impossibile a Dio. Il Signore ha accettato la tua offerta e la custodisce gelosamente, ma, nella sua onnipotenza, chiama te, donna esemplare a divenire madre di sé stesso. Esulta figlia di Sion, tra tutte le donne della storia, tu sola sei stata prescelta qual Madre di Dio. Né sulla terra, né in cielo, il Signore ha potuto trovare alcuna che potesse esserti pari o superiore. Attraverso le tue materne gioie, verrà al mondo il sole di giustizia. Tuo figlio sarà grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo. Riceverà in eredità il trono di Davide e il suo regno non avrà fine. Tu sarai la Madre di Dio».

A quelle parole rimase silenziosa. Quanti pensieri corsero nella sua mente in quel momento e chissà quali furono: Iddio ha voluto tenerli nascosti perché il sublime è incomunicabile… soltanto Egli li ha conosciuti e benedetti”.

“Cosa accadde dopo? – chiese ancora Michele impaziente – come reagì al tuo annuncio?”. “Quello fu l’attimo in cui tremò il cielo e la terra: Iddio aveva proposto… a lei la libera scelta. Il creato sapeva che qualunque risposta fosse stata data, nulla sarebbe stato più come prima. La fissai… la mente umana concepiva grandi perplessità. Divenire madre, così all’improvviso e senza intervento umano, chi mai avrebbe creduto a questa storia? E Giuseppe, avrebbe compreso il prodigio? E il paese con tutti i suoi limiti e pregiudizi, cosa avrebbe pensato? Io divenire la madre di Dio? Quanti interrogativi in quel momento. Ma subito notai una ferma risoluzione sul suo volto: il timore, giustificabile e comprensibile, in lei dileguò in un sol istante. La vidi alzare gli occhi al cielo… il suo volto brillò come d’incanto: «Ecco – disse – sono la serva del Signore…».

Nel cielo della sera, una stella luminosissima saettando nell’aria percorse il firmamento da un lato all’altro: era il segno con cui il Signore benediva l’ora che segnò i destini della redenzione.

Et Verbum caro factum est.

Ella vide quell’astro luminoso, corse alla finestra e rimase a contemplare… in quell’istante immaginò le gioie della sua maternità: con la mente fantasticò sul primo sguardo e sul primo bacio che ella avrebbe dati al Figlio. Lo strinse col pensiero tra le sue braccia, lui, l’onnipotente indifeso… Non sapeva ancora che un dì avrebbe accompagnato il Creatore sul sublime altare del Golgota.

«Sai – mi disse – il pianto di Eva tramuterò in gioia. Per me, come scala che il cielo alla terra congiunge, giungerà la salvezza del Signore. La nostalgia divina, per mezzo di mio Figlio, sarà acquietata: l’umanità vedrà il volto di Dio».

Aveva appena terminato di parlare quando un rumore improvviso, lugubre e sinistro, s’avvertì. «Non lo temo – mi disse convinta e sicura – non vincerà su di me. Mi odierà con tutta la sua miseria, ma non vincerà giammai. Io sono la piena di grazia… il Signore è con me! Ricordo di aver letto che nel giorno del peccato di Adamo, Iddio pose l’antica inimicizia: io sono quella Donna e mio Figlio il lignaggio che gli schiaccerà il capo. Non lo temo. Quanti a me ricorreranno saranno protetti dalle sue minacce ed invulnerabili alle sue insidie. Non perderò nessuno di quanti a me ricorreranno con fede e intima tenerezza… nessuno perirà. Benedirò quanti avranno sul loro labbro il mio nome, quanti mi ameranno come loro madre. Moltiplicherò le mie preghiere per questi miei figli e prometto, sì, prometto di condurli all’Onnipotente».

Era ritornata sul suo inginocchiatoio a pregare, un altro sussurro dell’anima, poi disse: «Avvenga di me quello che hai detto».

Mi genuflettei dinanzi a quel tabernacolo nel quale dimorava il mio Signore, indi, indugiando, mossi le ali verso il Paradiso”.

Gabriele aveva terminato il racconto… tutti ristettero silenziosi ed assorti. Ad un tratto il cielo s’accese: le schiere beate, dai più alti troni, si mossero vorticosamente… il Signore si compiacque: tutto fu luce, nel Paradiso risuonò sublime il nome di Maria.

 

Angelo Franco

 

One Reply to “Racconto  dell’Arcangelo Gabriele dopo l’Annuncio a Maria”

  • gaetano.zanotto@alice.it

    By gaetano.zanotto@alice.it

    Reply

    Ho letto con attenzione il racconto dell’arcangelo.
    Già dal dipinto manca la colomba dello Spirito Santo. L’arcangelo tiene una frasca e non il giglio.
    Anche il testo lascia intravedere che non è l’annunciata ma la dormizione.
    Grazie molto interessante il racconto

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