Per fortuna Roma non si è aggiudicata EXPO 2030. Un mio vecchio articolo del 2015.

Per fortuna Roma non si è aggiudicata EXPO 2030. Un mio vecchio articolo del 2015.

 

Resti di Expo Hannover 2000, nel 2013.

 

Un mio vecchio articolo scritto nel 2015, prima dell’inizio di Expo a Milano. Può essere di consolazione per la mancata assegnazione dell’edizione del 2030 a Roma. Il pacco se lo prenderà Riad…

Spero di sbagliarmi e non vorrei passare per essere un gufo, ma è evidente che l’Expo si rivelerà un insuccesso, sia in termini di visitatori che in termini d’affari e d’immagine. L’invasione di turisti cinesi non si materializzerà perché il lavoro di canalizzazione di questo particolare turismo non è stato fatto in maniera organica da parte della Ambasciata d’Italia a Pechino e da tutti i nostri consolati sparsi per la Cina, nonché dagli uffici di turismo, dall’ICE, dalla Rai che ha creato un patetico website e via dicendo.

E’ stato tutto un “fai da te” disordinato, senza una regia centralizzata, senza un controllo rigoroso per contenere i costi e la corruzione; mi dicono che manca il personale che sappia dare indicazioni in inglese, molti degli obbiettivi ecologici iniziali sono stati accantonati e la cementificazione ha distrutto  terreno agricolo contraddicendo l’idea di base della esposizione.

“Facile per te parlare, ora!” dirà qualcuno, eppure questo lo avevo già scritto in un articolo uscito sul Secolo d’Italia pubblicato mercoledì 12 Dicembre 2007 a pag. 9 e che s’intitolava “Milano copi Londra, non Shanghai”.

Iniziavo lamentando che il sindaco di Milano, Letizia Moratti, non avesse voluto incontrare il Dalai Lama in visita a Milano, perché temeva l’ostilità cinese nell’assegnazione dell’Expo a Milano, e poi continuavo notando:

 

“Crediamo, però, che le preoccupazioni della Moratti siano eccessive: la Cina non c’entra nulla. La decisione di assegnare l’Expo verrà presa da un ente inter-governativo francese, chiamato Bureau International des Expositions (BIE), una sorta di fossile precedente la Prima guerra mondiale, che ha la funzione di regolare la cadenza di certe manifestazioni espositive internazionali. L’Italia ne fa parte, pagando ogni anno la propria quota associativa.

A differenza di quanto accade per giochi olimpici o per i mondiali di calcio, il nome World Expo non è brevettato e ogni Paese, in teoria, potrebbe usarlo. Infatti nel 1964 gli Stati Uniti organizzarono una propria World Expo, a New York, senza richiedere la benedizione di Parigi. E non solo, a partire dal 2001, dopo che per due anni il Congresso aveva rifiutato di ratificare il pagamento dei contributi annuali alla BIE, il segretario di Stato Colin Powell sanzionò l’uscita definitiva del proprio Paese da questa pseudo organizzazione.

L’edizione del 2000 fu tenuta ad Hannover, in Germania e fu un fiasco clamoroso: arrivò a far notizia soprattutto per il fatto che la municipalità tedesca si ritrovò con un buco da 1 miliardo di dollari: avevano preventivato 40 milioni di spettatori, ma se ne presentarono soltanto 18 milioni. L’edizione del 2005 si svolse ad Aichi, in Giappone, non riuscite a trovarla sul mappamondo? Neppure noi… Quella del 2008 si terrà a Saragozza in Spagna. L’edizione del 2010, invece, è stata data a Shanghai. E sapete chi erano gli altri illustri concorrenti a quell’ambito traguardo? Yeosu, nella Corea del Sud e Queretaro in Messico. E, anche qui, comprendiamo tutte le difficoltà del lettore in materia di geografia. Yeosu, non doma, tornò all’assalto aggiudicandosi l’edizione speciale del 2012, battendo sul filo di lana Wroclaw e Tangeri. Non ne avete sentito parlare? Neppure noi. Ora, noi capiamo i motivi dell’interesse manifestato da Shanghai nell’accaparrarsi questa esibizione, un po’ meno quelli di Milano.

Questo genere di manifestazioni sono le tenaglie che usa il partito comunista cinese per rafforzare la propria presa sul potere: servono solo per fini propagandistici. Non a caso, già da qualche anno, ogni capo di Stato che passa per Shanghai, vien portato a vedere il progresso dei lavori per l’Expo 2010 e gli vengono promessi contratti per partecipare alla realizzazione degli impianti e per gli sviluppi successivi. Vedendo tutto quel fervore edilizio, alcuni statisti tornano a casa con l’idea che si tratti di qualche cosa di molto importante, pur non capendo bene di che si tratti. A questa regola non era sfuggito neppure Romano Prodi quando, nel settembre 2006, aveva visitato i padiglioni che stanno sorgendo lungo il fiume Huangpu e che, una volta completati, accoglieranno quei 70 milioni di visitatori che hanno già messo in preventivo.  Sappiamo che i milioni per i cinesi non sono assolutamente un problema, ma i soldi che non entreranno in cassa invece lo sono. E, infatti, le previsioni per la fiera di Shanghai parlano già di una perdita netta di circa 3 miliardi di dollari, ma con il 40 percento coperto dal governo e il resto da banche e sponsor privati, gli organizzatori possono dormire sonni tranquilli.

Questo genere di circhi hanno fatto il loro tempo, oggi non servono più a mostrare ciò che un Paese produce, perché per saperlo basta fare una ricerca in internet. Gli operatori di ciascun settore non ne hanno bisogno, mentre ai turisti non interessa girare per questi caravanserragli: per questo motivo votano con i propri piedi, disertandole. Questo può spiegare perché il numero dei visitatori è sempre al di sotto delle aspettative degli organizzatori e spiega perché, alla fine, il bilancio va scritto con l’inchiostro rosso e non con quello nero. Crediamo che Milano non ne abbia bisogno e che dovrebbe, piuttosto, prendere esempio da città come Londra e New York, non da Shanghai e da Yeosu. Il sindaco dovrebbe agevolare una trasformazione di Milano da centro industriale a centro per i servizi avanzati, impegnandosi a far funzionare bene i mezzi di trasporto, snellire la burocrazia, abbassare le tasse e pagare meglio chi lavora. Milano va sviluppata in senso culturale, artistico e dello stile di vita. Non servono più queste grandi fiere, nate nell’Ottocento per vellicare l’orgoglio nazionalistico del popolo: è meglio investire in risorse per rendere pulite e sicure le strade. Milano ha bisogno di essere guidata da un sindaco visionario, aperto alle nuove istanze civili che scuotono il mondo”.

Questo è quanto scrivevo e che ancor oggi sottoscrivo. Uno dei maggiori problemi causati dall’Expo sarà l’utilizzo dei padiglioni a fine fiera, basta vedere cosa è successo a Saragozza e Hannover, dove si osservano dei paesaggi desolanti, dei veri e propri monumenti alla follia dei paesi ricchi che hanno soldi da buttare.

Ripetiamolo: non è più il tempo per questi circhi, oggi si viaggia, si comunica velocemente ed esistono una miriade di fiere specialistiche in tutto il mondo. Non serve a nulla concentrare in un posto dei capannoni dove si raccoglie di tutto e perciò nulla di preciso e sarebbe ora di smetterla con queste esposizioni che servono solo ad alimentare la vanità di uomini politici, di architetti e di sedicenti esperti di alimentazione.

Concludo con la speranza di aver scritto una gran quantità di fesserie, e che l’Expo 2015 si rivelerà un successo memorabile, che chiuderà in positivo, che rilancerà la nostra economia e che i capannoni si trasformeranno in centri di aggregazione sociale e culturale.

Angelo Paratico

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