Indro Montanelli e il suo incontro con il doppelgänger di Adolf Hitler

Indro Montanelli e il suo incontro con il doppelgänger di Adolf Hitler

Indro Montanelli, nome completo Cilindro Alessandro Raffaello Schizògene Montanelli (1909 – 2001), è stato un grande giornalista, saggista e commediografo.

Ieri, 11 luglio 2023, Marcello Veneziani ha ricordato ancora una volta la storia del giovane tenente Montanelli che si prese una bambina eritrea, Destà, di 13 anni per moglie. In realtà questa fu solo una fantasia, per un fatto mai avvenuto. Si svolsero delle indagini precise nei luoghi della sua permanenza ed è stato dimostrato che non ci fu nulla del genere, anche perché non sarebbe mai stato tollerato dai suoi superiori.

Montanelli fu un giornalista della vecchia scuola che, come dicono gli anglosassoni, non consentono alla verità di mettersi di traverso a una bella storia

Non era vero che il 29 aprile 1945 si aggirava fra i cadaveri di Piazzale Loreto, come scrisse, ma stava in Svizzera. Non è vero che diede una mano a Mario Appelius in Finlandia, invece è vero il contrario e mai lo ringraziò. Dichiarò che Pinelli fosse un informatore della polizia, ma poi fu costretto a ritrattare.

Fra le bugie di cui viene accusato c’è quella di aver raccontato di una ‘strana ‘intervista’ fatta ad Adolf Hitler, il 1 settembre 1939, presso al Corridoio di Danzica.
Indro scrisse di essersi appartato per un bisogno personale fra i cespugli, quando da una strada secondaria vide passare su un blindato tedesco il Fuhrer in persona che spuntava fuori dalla torretta da un mezzo corazzato. Egli chiese chi fosse quello spilungone con l’impermeabile e gli occhi azzurri. Gli dicono che è un giornalista italiano. Allora, salta giù dal mezzo e gli va incontro, cominciando a sbraitargli in faccia, in tedesco, senza che Montanelli, che pure conosceva il tedesco, capisca alcunché. Dopodiché risalì sul carro e se ne andò via.
Massimo Fini scrisse un bellissimo articolo raccontando di un pranzo con il novantenne Montanelli in un ristorante di Milano durante il quale questa storia rifece capolino:

Poco dopo, proseguendo la conversazione, Indro si vantò di aver intervistato tutti i personaggi importanti della sua epoca. «Mi mancano solo Stalin e Mao». E io, malignamente: «Però Malaparte li ha intervistati». Al che Indro disse immediatamente che non era vero. «Ma io quelle interviste le ho lette» replicai.
«Se l’è inventate Malaparte» troncò lui.
Passò qualche minuto, eravamo ormai al caffè, e Indro dichiarò di aver intervistato Adolf Hitler. E cominciò uno stupefacente racconto. Il giorno, secondo certi calcoli, dell’invasione della Polonia, lui, Montanelli, si trovava, unico giornalista italiano in mezzo ad altri colleghi stranieri, su un certo ponte di una certa città dove sarebbe dovuto passare necessariamente il comando tedesco. E infatti arrivano. Hitler è in piedi su un carro armato vestito da soldato semplice, decorato della sola croce di ferro (e questo, credo, è il solo particolare veritiero del racconto), vede Montanelli, scende dal blindato e punta dritto proprio su di lui. La ragione di questo singolare comportamento risiederebbe, secondo Montanelli, nel fatto che in quel momento il Fuhrer sperava ancora in un intervento dell’Italia a fianco della Germania e quindi gli serviva un giornalista italiano per lanciare un messaggio a Mussolini. «Naturalmente fu un monologo» si schermì con noi Indro, rifacendo la voce abbaiante di Hitler.
«Io non riuscii a piazzare nemmeno una parola. Dopo venti minuti di arringa Hitler girò i tacchi e risalì sul carro armato».
Naturalmente restava da spiegare come mai questa eccezionale intervista, sia pur monologante, non fosse mai uscita. Montanelli raccontò che ci fu un intervento del ministero della Propaganda tedesco sul Minculpop – le interviste al supremo Führer del Terzo Reich erano infatti proibitissime – per cui non se ne fece nulla.

Massimo Fini terminò l’articolo concludendo, bonariamente:

E forse il segreto della sua straordinaria vitalità e freschezza sta proprio in questo miscuglio di infantilismo e di narcisismo. Noi siamo dei bambini invecchiati, Montanelli è un vecchio bambino.

Ciò che Massimo Fini ignorava è che assieme a Montanelli stavano lo scultore Arno Breker e l’architetto Albert Speer, il quale poi confermò, nel 1979, la veridicità di quello strano incontro. Eppure, un Adolf Hitler era a Berlino in quei giorni. Chi fu, dunque, quel personaggio che Montanelli, per così dire, intervistò?

Era sicuramente una controfigura, un doppelgänger, o un kagemusha come dicono in Giappone.
Si dice che, di questi doppi, Adolf Hitler ne avesse a disposizione più d’uno. Zarah Leander, un’amica e cantante favorita del Führer, confidò a Leni Riefensthal che: “Sì, Hitler aveva dei doppi, anche Eva Braun aveva la sua controfigura, non esistono dubbi in proposito”.

Conosciamo il nome di una di queste controfigure del dittatore tedesco, si chiamava, Gustav Weler (o Webber) e si dice che sia stato ucciso dalla SS e il suo corpo fatto trovare ai soldati russi a Berlino, con una pallottola nella fronte. Il suo corpo fu portato a Mosca e seppellito nel recinto della prigione di Lefortovo. Ed esiste un filmato russo che ce lo mostra nel giardino della Cancelleria:

(550) Gustav Weler body (Hitler´s double) – Berlin 1945 – YouTube

Ma quel cadavere era davvero di Gustav Weler? Secondo il chirurgo e scrittore britannico W. Hugh Thomas, autore del libro Doppelgangers uscito nel 1996, Gustav Weler era ancora vivo alla fine della Guerra e fu intervistato da una commissione Alleata per stabilire il fato di Adolf Hitler. Dunque, quel cadavere fatto trovare ai russi era di un ulteriore doppio?

Queste controfigure erano state istruite a imitare la voce e i gesti di Hitler e lo scrittore e storico Nicholas Kinsey aggiunge che addirittura arrivarono al punto di operare la loro spina dorsale, per replicare le cicatrici rimaste su quella di Hitler, causate da vecchie ferite ricevute durante la I Guerra Mondiale.

Dunque, siamo sicuri che anche Benito Mussolini non ebbe una controfigura?

Nel libro di Angelo Paratico si ipotizza che il Mussolini appeso a testa in giù a Piazzale Loreto fu una sua controfigura, un ex dentista di Parma.

Spigolature attorno al libro “La Storia Cancellata degli Italiani” di Dino Messina

Spigolature attorno al libro “La Storia Cancellata degli Italiani” di Dino Messina

Dino Messina ci ha abituati a libri che brillano per originalità e incisività. L’anno scorso avevamo letto con grande piacere il suo bellissimo “Italiani per forza. Leggende contro l’unità d’Italia che è ora di sfatare”. Da pochi giorni è uscita una sua nuova ricerca, intitolata  “La Storia Cancellata degli Italiani”, scorrevole e piacevole, nel quale si tratta della “Cancel Culture” che, partita dagli Stati Uniti, si sta ormai diffondendo in tutto il mondo.

Stati Uniti a parte, la furia messa nell’azzerare o normalizzare il passato è vecchia come l’uomo e la storia ne è piena. L’imperatore cinese Qin Shi Hung, noto come il Primo Imperatore, unificò la Cina e morì nel 210 prima di Cristo. Fu sontuosamente seppellito a Xian. Negli ultimi anni del suo regno, ordinò che tutti i libri che trattavano di storia e di filosofia venissero bruciati, così che il suo nome segnasse l’anno zero. Catone il Vecchio s’alzava spesso dal suo scranno in Senato per raccomandare che Cartagine venisse distrutta, che i suoi monumenti venissero abbattuti e che venisse sparso sale sui suoi campi, per renderli sterili. Alla fine lo accontentarono, ed ha funzionato. Gli imperatori della dinastia Flavia ordinarono a Tacito e Svetonio di scrivere bestialità nelle biografie dei loro predecessori, discendenti di Cesare e Augusto, così che i giorni presenti apparissero migliori di quelli passati. Ci riuscirono, perché sino a oggi abbiamo solo delle vignette caricaturali per descrivere i regni di  grandi sovrani come Tiberio e Nerone. Come si dice nel libro di George Orwell 1984 “chi controlla il presente scrive il passato e prepara il futuro”. Questo è un concetto validissimo ancor oggi, con tanti personaggi che lo applicano più o meno consapevolmente.

Venendo ai giorni nostri, nel bel libro di Dino Messina vengono trattati vari episodi d’insofferenza per il passato che hanno riempito pagine dei nostri quotidiani: vi si parla di foibe, di fascismo, di colonialismo prefascista, di Lombroso e Pasolini, presentando con equità i vari punti di vista e lasciando libertà al lettore di decidere cosa ci sia di vero o di falso.

Nel leggere il libro di Messina mi son gettato d’impeto sul quarto capitolo, dedicato a Cilindro Raffaello Alessandro Schizogene (detto Indro) Montanelli. Il capitolo s’intitola: “Montanelli lì non riposa” e tratta delle polemiche, da lui stesso generate, circa la sua sposa, Destà, quattordicenne, o dodicenne a seconda della versione, che comprò in Eritrea quando era un giovane tenente dell’esercito italiano. A causa di queste sue ammissioni lo sfregio della sua memoria culminò con una serie di articoli al vetriolo e l’8 marzo 2019 con il versamento di una lattina di vernice rossa sul suo monumento.  Dino Messina, con grande misura, riporta anche una pagina intitolata: “E se fosse una storia inventata?”. Ecco, appunto, ricordavo delle letture del tempo nella quali veniva dimostrato inconfutabilmente che quella era una storia inventata, forse frutto di certe sue letture delle opere di Rudyard Kipling.

La creazione di belle storie frutto della sua fantasia e di begli incontri mai accaduti, fu un fatto abbastanza comune in Montanelli, il quale forse applicava il vecchio detto britannico, ben noto in Fleet Street, “Never let the truth stands on the way of a good story”, ovvero mai permettere alla verità di mettersi di traverso a una bella storia. Montanelli non fu mai un cronista, bensì uno straordinario romanziere e affabulatore.

Ecco, questo episodio di Montanelli mi pare ottimo per invitare i giornalisti alla prudenza. Questo invito vale anche per le donne del “Me Too”, perché  prima di condannare o assolvere bisogna studiare per bene le carte e poi, nel dubbio, sospendere il proprio giudizio ed evitare di sputare controvento. Questo è l’insegnamento che traiamo dalla lettura del libro di Dino Messina.

Angelo Paratico