Ernest Hemingway fu una spia sovietica

Ernest Hemingway fu una spia sovietica

Hemingway in Cina

 

Nicholas Raynolds, storico, ex ufficiale dell’esercito americano e poi dirigente della CIA, ha da poco pubblicato con HarperCollins un avvincente ed equilibrato libro, intitolato: “Ernest Hemingway’s secret adventures, 1936-1961. Writer, Sailor, Soldier, Spy”.

La sua ricerca su Hemingway iniziò alcuni anni fa, dopo aver letto che nell’ agosto 1944, in compagnia di un colonello del OSS aveva liberato il bar del Ritz di Parigi. Si chiese che stesse facendo in tale compagnia, e si chiese se anche lui avesse collaborato con i servizi segreti statunitensi. Incuriosito, prese a indagare in vari archivi e a leggere le memorie di persone che lo avevano conosciuto, finché, a un certo punto, scoprì che non aveva lavorato solo come spia americana ma anche per il “Commissariato per gli affari interni sovietico” il temutissimo NKVD, predecessore del KGB. Le conferme di questo fatto cominciarono a filtrare anche da frammenti di rapporti resi pubblici in Russia, dopo la caduta del muro di Berlino e dalle memorie di alcuni celebri transfughi, come Alexander Vassiliev e Alexander Orlov.
Queste rivelazioni colpirono l’autore come una “gomitata nello stomaco” ma poi lo spinsero a indagare, per cercare di capire per quale motivo Hemingway lo aveva fatto, dato che egli rimase sino alla fine della sua vita un anarcoide, un patriota che non ebbe mai bisogno di soldi.

Nel 1934, il comune di Key West in Florida dichiarò bancarotta e il governo federale fu costretto a intervenire. Hemingway vi risiedeva con la sua seconda moglie e lanciò un pesante attacco politico al presidente Roosevelt per certe sue decisioni, a suo dire, contrarie all’interesse di categorie più umili, che ancora non si erano risollevate dalla grande depressione del ‘29. Queste sue prese di posizione furono apprezzate dal partito comunista americano e dal suo giornale “New Masses” che vi diede ampio risalto.
Allo stesso tempo in Unione Sovietica vennero tradotti e stampati certi suoi saggi e il suo traduttore russo, Ivan Kashkin, iniziò con lui una fitta corrispondenza, che continuò per molti anni. Questo fatto, in un Paese in preda alla fobia anti-americana, non può esser visto come casuale e di sola pertinenza letteraria.
In quegli anni, Hemingway aveva sviluppato una forte intolleranza nei confronti del fascismo e del nazismo, che poi si radicalizzò con la guerra civile spagnola. Odiava Mussolini e Hitler, ma a ben guardare, per visione del mondo e aspirazioni era simile a loro: possedeva un carattere autoritario e forcaiolo, da macho intollerante, bellicoso e nutriva simili aspirazioni catartiche a livello mondiale.

Andò in Spagna nel 1937, dove già dalla fine dell’anno precedente Stalin inviava meno combattenti di Hitler e Mussolini, ma più istruttori e più uomini dei servizi segreti, per sostenere le forze repubblicane che combattevano Franco. Oggi sappiamo che lo fece per distogliere l’attenzione dalle feroci purghe che stava conducendo in Russia e per rafforzare il fronte comunista internazionale.
Hemingway in Spagna incontrò Alexander Orlov, il capo del NKVD e superiore di Palmiro Togliatti, Aldo Lampredi, Luigi Longo. I gendarmi sovietici si occupavano più che altro di condurre purghe interne – a quel tempo erano ossessionati dai trotzkisti – conducendo interrogazioni, torture e poi facevano sparire le loro vittime. Almeno una delle loro basi in Spagna era stata attrezzata con un crematorio sul retro, per far sparire i cadaveri. Ma anche i franchisti da parte loro si macchiarono di orrendi crimini, come sempre accade durante le guerre civili.
L’esperienza spagnola fu per molte persone traumatizzante e lo fu anche per Ernest Hemingway, che vi radicalizzò le sue opinioni. Nel frattempo si era messo con la donna che sarà la sua terza moglie, l’affascinante bionda Martha Gellhorn.
I sovietici, intuendo l’importanza di un autore come lui, gli affiancarono una loro spia, l’olandese con talenti artistici, Joris Ivens, membro del Comintern e, successivamente, il tedesco Gustav Regler. Similmente si comportarono con Arthur Koestler e John Dos Passos, ma con questi due autori Hemingway romperà i rapporti, perché criticarono i comunisti che secondo lui, nonostante i loro crimini, erano gli unici a combattere il nemico.
Tornato temporaneamente negli Stati Uniti, Hemingway tenne una conferenza a New York molto favorevole all’azione sovietica in Spagna, stigmatizzando l’inerzia delle democrazie occidentali. Piacque a Orlov e sappiamo che a partire da quel momento gli venne data carta bianca da parte russa. Orlov lo rivide il 7 novembre 1938, anniversario della rivoluzione russa e della difesa di Madrid, ma già cominciava a dubitare dell’efficacia del supporto concesso a quel genere di intellettuali e anni dopo scriverà nelle sue memorie un giudizio molto tranchant: “Hemingway e i tipi come lui erano i principali motivatori di quella guerra, nel senso che influenzavano l’opinione pubblica verso la causa repubblicana…e questo prolungò inutilmente il conflitto.”
L’esperienza spagnola si concluse con il suo crollo psicofisico. Parlando a Randolfo Pacciardi, l’eroico comandante delle brigate Garibaldi e gran maestro della massoneria, il quale si preparava a partire, senza aver più una patria, un lavoro e una casa, tornato in camera scoppiò in lacrime come un bambino, come ricorda Martha Gellhorn nelle sue memorie.

Nel 1940 Ernest Hemingway incontrò varie volte il capo del NKVD per gli Stati Uniti, Jacob Golos e una traccia della disponibilità di Hemingway a collaborare è emersa recentemente dagli archivi di Mosca, tant’è che gli venne assegnato uno pseudonimo da usarsi in tutte le comunicazioni che lo riguardavano. Era diventato l’agente Argo.
Golos era entusiasta di lui e raccomandò Mosca di fissare un incontro in estremo Oriente perché egli stava per partire per un lungo viaggio da quelle parti. Hemingway diede a Golos dei francobolli cubani, dicendogli di darne uno quando un loro agente segreto voleva farsi riconoscere dopo averlo contattato.
I dettagli di quanto si dissero non li conosciamo e non sappiamo fin dove si spinse Hemingway con la sua disponibilità, ma il patto fra Stalin e Hitler e la successiva invasione della piccola Finlandia non mutarono la sua visione positiva nei loro confronti.
All’inizio del 1941, Hemingway e la Gellhorn partirono per la Cina dove incontreranno Chou Enlai e Chang Kaishek. Visitarono prima la base di Pearl Harbour e Hemingway, profeticamente, scrisse che era una follia tenere aerei e navi così concentrati ed esposti a un attacco improvviso. Un’altra intuizione notevole riguarda la colonia britannica di Hong Kong e del clima di spensieratezza che vi regnava, nonostante la guerra combattuta dai giapponesi oltre il confine: egli profetizzò che i britannici avrebbero fatto la fine di topi in trappola.

Ritornato nella sua casa di Cuba e stanco della Gellhorn, convinse l’ambasciatore americano all’Avana di fargli condurre una sorta di guerra segreta a inesistenti spie naziste sull’isola e poi di andare a caccia di fantomatici sottomarini a bordo del suo peschereccio, il Pilar.
Nel 1943 ritornò in Europa, partecipando al D-Day in Normandia e poi avanzò verso Parigi, come combattente e inviato speciale – si mise a capo di una banda di partigiani comunisti – mostrando un coraggio suicida ed effettivamente fu fra i primi a entrare a Parigi, prendendo poi parte alla grande battaglia nelle Ardenne, alla fine del 1944.
Nell’aprile del 1945 tornò negli Stati Uniti in compagnia della sua quarta moglie, Mary Welsh, stabilendosi nella sua casa di Cuba.
Il 5 marzo 1946 Winston Churchill a Fulton pronunciò il suo famoso discorso con il quale ebbe ufficialmente inizio la Guerra Fredda, ma il commento di Hemingway fu che “Churchill non Stalin è un pericolo alla pace nel mondo.”
Seguì la rivoluzione di Castro e il maccartismo, poi il Nobel nel 1954 per il suo “Il vecchio e il mare” ma a 61 anni, nel 1960, Hemingway era un relitto umano: aveva subito moltissimi incidenti – in Uganda era passato attraverso due incidenti aerei nello stesso giorno – ferimenti, rotture, concussioni, esagerava con l’alcool ma, soprattutto, era fortemente depresso e soffriva di attacchi di paranoia, a tal punto da dover essere sottoposto a elettroshock.
In particolare vedeva agenti della FBI ovunque, pensava che lo spiassero, lo pedinassero ovunque andava, che fossero nascosti nel bagno di casa sua per registrare le sue conversazioni, che tenessero il suo telefono sotto controllo.
Tentò più volte di suicidarsi, in Wyoming lo bloccarono mentre in aeroporto stava per buttarsi contro l’elica d’un aereo. Ma il 2 luglio 1961 ci riuscì, sparandosi nel petto con il suo fucile da caccia.

Nel 1980 venne resa pubblica la pratica del FBI riguardante Ernest Hemingway e questo parve dimostrare che, in effetti, lo scrittore aveva avuto ragione a temere l’FBI. In realtà uno studio attento di quelle carte dimostra l’esatto contrario. Non fu mai pedinato, né intercettato, e l’interesse nei suoi riguardi fu determinato soltanto dal suo voler intercettare spie tedesche a Cuba durante la guerra: l’FBI voleva capire chi era e soprattutto esser certa che non avrebbe combinato dei guai, imbarazzandoli.
Non seppero mai dei suoi contatti con il NKVD ma, forse, questi suoi sensi di colpa e tardivi timori furono l’origine della sua paranoia. Temeva che loro sapessero e pensava che la sua reputazione di patriota, di americano tutto d’un pezzo, ne sarebbe uscita indelebilmente macchiata.

Angelo Paratico