Ogni 28 aprile ci fa tornare in mente i corpi straziati dei fascisti appesi a testa in giù a Piazzale Loreto. Di tanto in tanto questa immagine riappare, a volte applicata anche ai nostri attuali governanti, come monito e insulto. Accennando a Clara o Claretta Petacci, si è giustamente detto che, al di là della satira, si dovrebbe aver rispetto per una donna uccisa a 33 anni per via del suo amore per un uomo, un tempo potente e adulato e poi abbandonato da tutti.
Si è anche detto che la Petacci fu stuprata dai partigiani, ma davvero accadde questo? Storicamente è difficile ricostruire tutti i passaggi di quanto veramente accadde a Giulino di Mezzegra e a Dongo. Con il passare del tempo s’è creato un intricato groviglio di bugie e di mezze verità, che sviano anche gli storici più precisi e spassionati. Lo storico Arrigo Petacco disse che l’unica cosa certa è che Mussolini fu accoppato e tutto il resto è soggetto a discussione: da chi, dove, come?
Certi partigiani presenti a Dongo erano effettivamente capaci di violentare le proprie prigioniere, come scoprì a proprie spese la moglie di Marcello Petacci, pure lui barbaramente assassinato a Dongo, solo perché scambiato per Vittorio Mussolini. Zita Ritossa, sua moglie, era stata una fotomodella e il maggiore dei loro due bambini, Benvenuto Petacci, assistendo alla morte del padre e alle violenze (sessuali) subite dalla madre, sviluppò in seguito dei gravi problemi psichici.
I maggiori capi politici dell’insurrezione erano contrari all’esposizione dei cadaveri a Piazzale Loreto. Pare che il solo Emilio Sereni la reputasse una cosa naturale, si dice che rispose all’indignato governatore militare di Milano, l’italo-americano Charles Poletti: “La storia è fatta così. Alcuni devono non solo morire, ma morire vergognosamente!”
Diversamente la pensava Sandro Pertini, che proruppe con un: “Avete visto? L’insurrezione è disonorata!” Ferruccio Parri, sconsolato, affermò: “Questa esibizione di macelleria messicana è terribile e indegna: nuocerà al movimento partigiano per gli anni a venire!”.
Quando fu appesa per i piedi alla pensilina di un distributore di benzina, a Piazzale Loreto, la gonna di Clara Petacci cadde giù, mostrando la sua vagina. Fu don Pollarolo, cappellano dei partigiani, a prendere l’iniziativa di fissare la gonna con una spilla da balia che gli diede una donna. Questa soluzione si rivelò inefficace, intervennero allora dei pompieri che, con una corda, legarono la gonna intorno alle sue gambe.
Questa storia della Petacci nuda a testa in giù creò molto scalpore e, forse per questo motivo, nella versione dattiloscritta dei fatti di Dongo, scritta successivamente da Walter Audisio, egli inserisce il particolare delle mutandine mancanti della Petacci, in quella che diverrà la versione ufficiale data dal PCI.
Audisio disse che quando prelevò Clara nella camera di casa dei De Maria a Giulino di Mezzegra, la mattina del 28 aprile, per essere portata con Mussolini sul luogo della fucilazione, lei gli disse: “Non trovo le mutandine” al che lui le disse: “Tira via, non pensarci!”.
Un dettaglio che in una relazione storica normale non sarebbe mai apparso, essendo di poco conto ma che, evidentemente, andava inserito per spiegare quanto s’era visto a Piazzale Loreto. Ovvero, un po’ come dire che ‘non siamo stati noi a toglierle…’. Perché allora era senza mutandine? Forse aveva avuto le mestruazioni e se ne era liberata? O come suggerirono altri “il porco Mussolini passò la sua ultima notte facendo sesso con la sua amante”, nonostante i partigiani armati fuori dalla porta?
L’unica fonte che parla dello stupro di Clara Petacci, molti anni dopo i fatti, è ascrivibile a Enrico Grossi, che raccolse le confidenze del professor Caio Mario Cattabeni, il medico legale che il 30 aprile 1945, all’Istituto di medicina legale di Milano, ricevette i corpi martoriati di Clara e di Mussolini, per effettuare l’autopsia.
Grossi conosceva bene il dottor Cattabeni, che redasse un verbale dell’autopsia e, alcuni mesi dopo, vergò una memoria dell’indagine necroscopica per una rivista medica. A parte ciò, egli mantenne poi un totale riserbo sulle impressioni ricavate in quella storica e per lui difficilissima giornata.
Enrico Grossi aveva conosciuto il Prof. Cattabeni nel 1970, poi lo incontrò casualmente durante un viaggio in treno. Affrontò con lui l’argomento e, stando al Grossi, il professore sganciò una bomba: «Mi raccontò che, terminata l’autopsia del Duce, iniziarono a compiere quella sulla Petacci. Il corpo di Claretta presentava varie ecchimosi sul ventre e segni di graffiature sulle cosce, nella parte interna ma anche nella parte posteriore. Com’è noto, a Piazzale Loreto, la Petacci non indossava le mutandine. Tolsero il corpo della donna, che già mostrava la rigidità cadaverica, da una specie di cassa grezza dove era deposto e lo adagiarono su un telo. Dalla sua vagina fuoruscì un liquido sieroso misto a sangue e anche dell’altro liquido che a lui parve liquido seminale. Quando deposero il corpo sul tavolo, l’abbondante fuoruscita di liquido non s’interruppe’”. Prosegue il Grossi: “A quel punto – mi confidò Cattabeni – ho ricevuto l’ordine tassativo di soprassedere all’autopsia” e la donna fu rimessa nella cassa e sepolta così com’era. Tant’è che anni dopo, quando venne riesumato il suo cadavere, nel suo reggiseno, che ancora indossava, rinvennero un grosso diamante che s’era fatto cucire dentro, come avevano fatto la zarina e le sue figlie a Ekaterinburg, in Russia.
Ci pare strano che a distanza di 3 giorni il liquido seminale e il sangue fossero ancora fluidi e, forse, si trattava di resti di mestruazioni, oppure di linfa e dell’inizio della decomposizione. Esiste un’ultima ipotesi, che non è mai stata contemplata prima: dei rapporti sessuali sul cadavere a Dongo, oppure sul camion della Tinto Stamperia Pessina, che trasportava quei corpi sino a Milano, o addirittura dopo l’esposizione di Piazzale Loreto, ma questa è una possibilità remota.
In conclusione, credo che Clara Petacci non fu violentata, perché mancò il tempo e l’incalzare degli eventi fu vorticoso. Da varie fonti, ma in particolare dalla vicina di casa dei De Maria, Dorina Mazzola, intervistata da Giorgio Pisanò, sappiamo che nel giro di 8 ore si ebbero ben 12 scariche di fucileria e pistolettate, con un gran via vai di persone che entravano e uscivano da quella casa.
Angelo Paratico